La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 7 novembre 2015

Sanità. Le Regioni colpite e affondate

di Ivan Cavicchi
Ormai non con­tano più niente, scre­di­tate per le loro ordi­na­rie immo­ra­lità, mal­trat­tate per le loro inca­pa­cità , disprez­zate dal governo per­ché isti­tu­zioni che non gover­nano. Sono il simu­la­cro di se stesse. Senza scampo, appa­iono sot­to­messe ad un cesa­ri­smo del governo che le irride e le piega ai pro­pri voleri. «Fate più effi­cienza», dice Padoan; «smet­tete di dire bugie i soldi che vi diamo sono più che suf­fi­cienti» ammo­ni­sce Renzi.
Ser­gio Chiam­pa­rino, dopo essersi tagliato da solo il fondo sani­ta­rio nazio­nale, non può dire ora che i soldi non gli bastano e quindi sospende il giu­di­zio. In realtà non vede l’ora di tagliare la corda. Non fa che dire che non si dimette per la legge di sta­bi­lità ma per i debiti della sua Regione, anche se si dovrebbe dimet­tere pro­prio per que­sta legge. Poi c’è Enrico Rossi. Il pre­si­dente della Toscana, con 50000 firme sul grop­pone cioè con un refe­ren­dum popo­lare con­tro la sua poli­tica sani­ta­ria, fa il book­ma­ker e vuole sapere da Renzi se il «governo scom­mette sulla sanità pub­blica». E lui ci scom­mette? Oppure Catiu­scia Marini la pre­si­dente dell’Umbria. Con disar­mante sem­pli­cità ci dice che le regioni non sono le con­tro­parti del governo ma delle sem­plici depen­dance del governo dove allog­gia la ser­vitù. Insomma la sanità è col­pita ancora una volta, e a parte i tagli, è l’intero sistema isti­tu­zio­nale che deci­deva con la con­cer­ta­zione sul suo finan­zia­mento ad essere stato azzerato.
Il rap­porto tra sanità e poli­tica ormai non ha più alcuna inter­me­dia­zione né isti­tu­zio­nale, né sin­da­cale. Il defi­nan­zia­mento della sanità è un impe­ra­tivo cate­go­rico del governo al quale tutti devono atte­nersi . Dalla spen­ding review siamo pas­sati allo spen­ding power. Ormai a coman­dare sulla sanità c’è solo ed uni­ca­mente Renzi. Quindi Regioni addio, ma addio anche al mini­stero della salute, poli­ti­ca­mente incon­si­stente, spae­sato, con la Loren­zin lacera e smar­rita ridotta ormai all’accattonaggio nella spe­ranza di evi­tare lo scio­pero dei medici rag­gra­nel­lando qual­che spic­ciolo per tacitarli.
Mai come ora la sanità pub­blica è stata sola di fronte alle poli­ti­che del governo. E’ que­sta soli­tu­dine oggi il suo peg­gior nemico.
Gli unici ad opporsi oggi sono i medici. Pen­sate un po’, la figura pro­fes­sio­nale più mode­rata della sanità, la più bor­ghese di tutte, la più con­so­cia­tiva e acco­mo­dante, che per anni, nono­stante il mondo andasse da un’altra parte, ha usato il suo peso sociale per cam­biare il meno pos­si­bile. I medici con­tro Cesare. Roba da matti! Il 28 novem­bre a Roma si svol­gerà la loro mani­fe­sta­zione e nello stesso giorno sem­pre a Roma le con­fe­de­ra­zioni sin­da­cali faranno la stessa cosa ma sul rin­novo dei con­tratti del pub­blico impiego. Si ammet­terà che in que­ste strane con­te­stua­lità, dico­to­mie e giu­stap­po­si­zioni qual­cosa non va. Come si fa a tenere sepa­rati il lavoro nel Pi e la sanità e i suoi diritti ? Ma soprat­tutto come si fa a dele­gare solo ai medici una bat­ta­glia gene­rale come è quella della difesa dell’art 32 della Costituzione?
I medici, scen­dono in piazza per soprav­vi­vere come medici, per­ché in sanità l’attacco al lavoro in gene­rale e al loro in par­ti­co­lare, ma soprat­tutto al loro ruolo, vale come la fine della loro pro­fes­sione e nello stesso tempo come la più effi­cace stra­te­gia con­tro la sanità pub­blica. Ma oggi si può accet­tare di deca­pi­ta­liz­zare il lavoro, soprat­tutto dei medici, per far fuori la sanità pub­blica? I con­tratti nel Pi cer­ta­mente mediano i rap­porti tra lavoro e wel­fare ma pro­prio per que­sto essi non sono più solo un pro­blema lavo­ri­stico e il wel­fare non è più solo una forma di redi­stri­bu­zione del red­dito. Al con­tra­rio sono gli stru­menti senza i quali i diritti gra­zie al Pi diven­tano non esigibili.
Il pub­blico impiego con la deca­pi­ta­liz­za­zione del lavoro perde la sua fun­zione sociale. Ma allora, se è così, per­ché non fare una mani­fe­sta­zione uni­ta­ria sui diritti impe­diti dalla deca­pi­ta­liz­za­zione del lavoro di cui i con­tratti sono solo uno dei pro­blemi e riu­ni­fi­care in un blocco sociale tutte le cate­go­rie pub­bli­che inte­res­sate? Ma soprat­tutto per­ché non costruire una piat­ta­forma sul lavoro come ter­reno di riforma per la sanità per dimo­strare che vi è un’altra idea di soste­ni­bi­lità e di svi­luppo? Per­ché non allar­gare la difesa del lavoro oltre i rin­novi con­trat­tuali, visto che il lavoro, se ripen­sato, può com­bat­tere le tante dise­co­no­mie della sanità? Se la sanità e i medici saranno lasciati soli per noi cit­ta­dini, sarà dura.
La legge di sta­bi­lità a parte i tagli lineari, pre­vede una stan­dar­diz­za­zione delle pre­sta­zioni misu­rata sui “prezzi base” più bassi cioè sgan­ciata dai biso­gni effet­tivi delle per­sone. Mini­stero e Regioni, messe alle strette dal governo, hanno pen­sato di rispar­miare cam­biando la natura pro­fes­sio­nale del medico e ridi­men­sio­nando la natura pub­blica del sistema. Per loro fare dav­vero il medico e avere una buona sanità pub­blica è incom­pa­ti­bile con le risorse asse­gnate. Ma que­sto è un pro­blema solo dei medici o di tutti noi? Per carità sap­piamo tutti che i medici non sono stin­chi di santi e che da per­fetti indi­vi­dua­li­sti si sono sem­pre fatti gli affari loro, ma da que­sto deri­varne la neces­sità di mano­met­tere per­fino i loro doveri, mi pare fran­ca­mente ecces­sivo. Se la soli­tu­dine della sanità non diven­terà un nostro pro­blema i medici per­de­ranno la loro bat­ta­glia ma noi i nostri diritti .

Fonte: il manifesto 

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