di Andrea Colombo
Si chiamerà “Scelta civica verso Cittadini per l’Italia”, ma nel caso che a qualcuno la sigla sembrasse troppo orecchiabile forse verrà poi aggiunta la sigla Maie. Definisce una componente del gruppo misto della Camera che la settimana prossima, o forse quella successiva, dovrebbe confluire nel pattuglione composto dai deputati di Denis Verdini, già braccio destro di Berlusconi, e di Enrico Zanetti, già uomo di fiducia di Mario Monti. Coppia più improbabile non la si troverebbe nemmeno col lanternino, e già questo dice tutto. Grazie agli acquisti dal misto, gli alati rimpolpati dai civici supereranno la ventina e potranno formare il loro gruppo.
Peraltro anche quel che resta dello sfortunato partito fondato e poi abbandonato da Monti manterrà il nome di Scelta civica, tanto per rendere più chiara la faccenda.
Peraltro anche quel che resta dello sfortunato partito fondato e poi abbandonato da Monti manterrà il nome di Scelta civica, tanto per rendere più chiara la faccenda.
Questione di poco e il medesimo gruppo sbarcherà anche al senato, dove nel nome si limiterà a un più sobrio “Cittadini per l’Italia”, ma a palazzo Madama il numero dei Cittadini in questione è ancora un enigma. Verdini, in queste cose insuperabile, si sta lavorando i senatori Ncd, già nel frullatore per le lacerazioni interne. Probabile che qualcuno pescherà anche da quelle parti.
Il pezzo forte dell’offensiva studiata dal fiorentino sono però i Comitati centristi per il Sì al referendum. Marcello Pera, ex presidente forzista del senato, non ha ancora sciolto la riserva, ma le pressioni perché accetti di presiederli sono robuste. Vengono dalla strana coppia di cui sopra, che un paio di sere fa ha trascinato l’ex secondo cittadino dello Stato a cena, ma vengono anche dal cuore della tolda di comando renziana.
I comitati, a loro volta, dovrebbero avere soprattutto il ruolo di incubatrice per una formazione centrista nuova di zecca, quella a cui mira già da tempo lo ’stratega’ Denis. Proprio il referendum, in fondo, è il bivio che sta spaccando la compagine riunita sotto la sigla Area popolare: da una parte l’Udc di Cesa schierata con il No, dall’altra l’Ncd di Alfano e della nuova capogruppo Laura Bianconi a strenuo sostegno del Sì. Sembra semplice e ordinato ma non lo è. Nell’Udc, infatti, i rapporti tra Cesa e il padre fondatore Pier Casini sono al minimo storico. Nell’Ncd Schifani e i suoi nove senatori sono già tornati azzurri in tutto tranne che nel nome, e figurarsi se saranno dalla parte del Sì nell’ordalia referendaria.
Questo centro, che al confronto l’ex Jugoslavia sarebbe un modello di unità e concordia, in realtà è l’ideale per il progetto di Verdini. Il quale non ha alcuna intenzione di accontentarsi di due sparuti gruppetti di Cittadini. Mira a calamitare l’intera area governista del centro e la frana del partito di Alfano gli offre un’occasione d’oro. È ovvio che le tappe qui saranno meno celeri. Ci vorrà del tempo. Ma la marcia è già iniziata. La nuova capogruppo Ncd al Senato Bianconi, nella prima intervista dopo l’elezione, lascia più che qualche spiraglio aperto e alla camera il dialogo, sia pur con massima cautela e circospezione, è già iniziato.
Ma è soprattutto la forza delle cose che gioca a favore di Verdini. Dopo la defezione di Schifani e dei suoi, resa più pericolosa dal non essere conclamata, al senato il governo è appeso a un filo. Finché c’è il voto di fiducia va sul sicuro, ma sui singoli provvedimenti è ostaggio. La disgregazione del gruppo di Area popolare lascia campo aperto a ogni campagna acquisti: quelle di Verdini, certo, ma anche quelle azzurre. Al senato settembre già viene visto come una minaccia incombente e spaventosa. Brodo di coltura migliore per un gruppone centrista non potrebbe darsi.
Per Verdini sarà comunque un buon affare. A seconda di come andranno il referendum e la sentenza della Consulta sull’Italicum, le due spade di Damocle che pendono sul sistema vagheggiato da Renzi, potrà decidere come e dove spostare la sua truppa. Per Renzi la situazione è meno rosea. Da settembre e, se passerà il referendum, anche in seguito il suo sarà o un governo fragilissimo oppure il governo Renzi-Verdini. Non è precisamente l’ideale per rimotivare un elettorato che per il Pd di Renzi ha già dimostrato di non provare alcun trasporto.
Fonte: il manifesto
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