di Adriana Pollice
«Comunità che discutono le forme di autonormazione civica degli spazi che quotidianamente fanno vivere, questo per noi è neomunicipalismo»: Giuseppe Micciarelli è avvocato, partecipa ai tavoli di Massa Critica e altre realtà di movimento di Napoli che studiano percorsi giuridici per la definizione e l’utilizzo dei beni comuni. Un lavoro in parte condiviso con l’amministrazione che ha portato, il primo giugno, all’approvazione della delibera di giunta 446, con cui si riconoscono sette edifici in città come «spazi per loro stessa vocazione divenuti di uso civico e collettivo».
Lunedì scorso Mara Carfagna, eletta in consiglio comunale con Forza Italia, ha contestato la delibera nel suo primo discorso tra gli scranni dell’opposizione. Stessa musica dal Pd con Valeria Valente, anche lei eletta in consiglio comunale, che ha dichiarato: «Ancora una mossa maldestra. Non sarebbe giunta l’ora di avviare la vendita e messa a reddito del patrimonio immobiliare comunale annunciato dal sindaco già cinque anni fa?».
Lunedì scorso Mara Carfagna, eletta in consiglio comunale con Forza Italia, ha contestato la delibera nel suo primo discorso tra gli scranni dell’opposizione. Stessa musica dal Pd con Valeria Valente, anche lei eletta in consiglio comunale, che ha dichiarato: «Ancora una mossa maldestra. Non sarebbe giunta l’ora di avviare la vendita e messa a reddito del patrimonio immobiliare comunale annunciato dal sindaco già cinque anni fa?».
Nel 2011 la prima amministrazione de Magistris ereditò un comune con i conti disastrati con conseguente adesione al predissesto. La ricetta proposta da tutti i governi per risanare le casse dei comuni è la vendita del patrimonio pubblico. A Napoli si sta provando a restituirne una parte alle comunità. I sette edifici a cui fa riferimento la delibera 446 sono pezzi di storia: a Bagnoli ci sono Villa Medusa, frequentatissima dagli anziani del quartiere, e lo storico Lido Pola; a Materdei l’ex Convento delle Teresiane convertito dagli occupanti in Giardino Liberato e l’ex Monastero di Sant’Eframo trasformato a fine Ottocento in un Opg e adesso restituito al quartiere con la sigla Je so’ pazzo; tra Materdei e il Vomero c’è l’ex scuola media Schipa occupata da precari e famiglie in emergenza abitativa; al centro storico l’ex Conservatorio di Santa Maria della Fede tornato alle attività artistiche come Santa Fede Liberata e l’ex Convento delle Cappuccinelle trasformato poi nel carcere Filangieri (uno dei due minorili, insieme a Nisida, per cui si battè Eduardo De Filippo quando divenne senatore a vita) abbandonato per anni e trasformato adesso in Scugnizzo liberato.
«Nel 2012 una comunità di artisti e tecnici occupò l’Asilo Filangieri – spiega Micciarelli -, a Roma c’era un percorso simile al Teatro Valle. Noi però rifiutammo di imboccare la strada della fondazione. Giuristi, filosofi, tecnici e attivisti hanno lavorato sul concetto di autogoverno attraverso un regolamento d’uso».
A maggio 2012 ci fu la prima delibera di giunta che riconosceva l’esperienza dell’Asilo mentre la proprietà, con i relativi oneri ordinari e straordinari, rimaneva al comune. Da allora si sono susseguite altre delibere sull’Asilo e sulla regolamentazione dei beni comuni nel 2013, 2014 e 2015 in un percorso di continuo sviluppo della giurisprudenza in materia.
«Il nodo da sciogliere era lo strumento della cessione per assegnazione – continua Micciarelli -. Il pubblico cede un pezzo di patrimonio, l’assegnatario per sostenerne i costi finisce per metterlo a reddito sottraendolo così alla collettività per un interesse privato. Il meccanismo si interrompe se i beni sono amministrati in forma diretta da comunità di riferimento, in assenza di lucro, per il soddisfacimento di diritti fondamentali. L’uso civico e collettivo urbano non è uso esclusivo, è aperto a chi ne condivide il regolamento». Al pubblico restano la proprietà e gli oneri di gestione ma le comunità si impegnano con il loro lavoro a tenere gli spazi vivi e aperti, li attrezzano e svolgono attività documentate (artistiche ma anche per i minori, sportelli per precari e lavoratori, ambulatori popolari…).
«Il primo provvedimento in materia è del 2011 e modifica lo statuto comunale con l’introduzione della categoria di bene comune – spiega l’assessore alle Politiche urbane, Carmine Piscopo -. Con la delibera di giugno i beni del patrimonio storico artistico, che hanno conservato il carattere monumentale, vengono preservati perché costituiscono reddito sociale per le prossime generazioni. Attiveremo un processo di ascolto e monitoraggio del territorio per sviluppare gli usi collettivi in forma aperta».
Fonte: Il manifesto
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