di Michele Giorgio
Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.
Sono versi di “Pensa agli altri” di Mahmoud Darwish, poeta “nazionale” palestinese e tra i massimi rappresentanti della poesia araba degli ultimi decenni. Per il ministro della difesa e figura di primo piano dell’ultradestra israeliana, Avigdor Lieberman, le poesie di Darwish sono paragonabili al “Mein Kampf” di Adolf Hitler. Pertanto gli autori del programma “Università nell’etere”, trasmesso da Galei Tzahal, la radio delle Forze Armate israeliane, seguitissima nel Paese, qualche giorno fa hanno commesso, a suo dire, un grave crimine mandando in onda un approfondimento sulla vita e l’opera di Darwish e leggendo in diretta una delle sue poesie più famose “Carta d’identità”. Dalla parte di Lieberman si è subito schierata la ministra della cultura, Miri Regev, che ha parlato di «pazzia» ed esortato la radio dell’esercito a dare spazio a poeti ebrei nazionalisti. La radio delle Forze Armate, ha proclamato Regev, «non può permettersi di glorificare Mahmoud Darwish che non era un israeliano, le sue poesie non sono israeliane e vanno contro i valori fondanti della società israeliana».
Il ministro della difesa ha convocato il direttore di Galei Tzahal, Yaron Dekel, per rimproverargli di non aver vigilato sui contenuti di “Università nell’etere”. «Trasmettere quelle poesie – gli ha detto – contravviene alla missione dell’emittente (dell’esercito) che è quella di rafforzare la solidarietà nella società, non di approfondire divisioni e di certo non quella di offendere la sensibilità pubblica». Ha aggiunto che le poesie di Darwish non possono «essere parte della narrazione israeliana» altrimenti, ha spiegato, «con la stessa logica potremmo aggiungere anche il Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini (accusato lo scorso ottobre dal premier Netanyahu, tra le contestazioni di storici e studiosi israeliani, di aver ispirato l’Olocausto a Hitler) o trasmettere una glorificazione dei meriti letterari del ‘Mein Kampf’».
Parole pesanti rivolte a una emittente che Lieberman non nasconde di voler chiudere, ufficialmente per ragioni di budget, in realtà anche per una certa indipendenza dal governo che Galei Tzahal ha dimostrato nel corso degli anni, pur essendo sotto il controllo del ministero della difesa. Nei mesi scorsi la radio era già finita sotto accusa per aver messo sullo stesso piano le famiglie israeliane che reclamano i corpi di due militari rimasti uccisi in combattimento a Gaza nel 2014 e quelle palestinesi che chiedono la restituzione di giovani uccisi dalle forze di sicurezza israeliane durante la nuova Intifada. Il procuratore generale Avichai Mendelblit ieri ha ricordato a Lieberman «non ha l’autorità per intervenire nella programmazione della radio dell’esercito». Il suo ammonimento non ha avuto alcun effetto. Amaro il commento di Shimon Schiffer, giornalista di punta del quotidiano Yediot Ahronot. «I redattori di Galei Tzahal credevano di essere indipendenti, hanno scoperto che lavorano per lo Stato e per il ministero della difesa. Credo sia importante per gli israeliani studiare anche Mahmoud Darwish, per comprendere e analizzare le radici del conflitto con i palestinesi. Però qui stiamo parlando delle trasmissioni di una radio del ministero della difesa e non sono sorpreso dell’accaduto».
Scomparso nel 2008 per complicazioni seguite a un intervento chirurgico negli Stati Uniti, Darwish resta uno dei simboli più forti della Palestina. Le sue poesie raccontano la guerra, la perdita della patria, l’oppressione del suo popolo, l’esilio a causa della Nakba nel 1948, quando era un bambino. Darwish rientrò dopo qualche tempo nella sua terra ma si considerava un “alieno” tra gli israeliani, tanto da decidere di andare via, in un lungo esilio tra Urss, Egitto, Cipro, Giordania, Libano e infine Francia. Membro del Consiglio Nazionale dell’Olp ebbe modo di tornare in Palestina dopo 26 anni in seguito agli Accordi di Oslo. Stimato in molti Paesi, Darwish ha visto solo una parte della sua produzione tradotta in italiano e sempre da piccole case editrici, in particolare da Epochè Edizioni. Soltanto nel 2014 è scesa in campo la Feltrinelli, non per pubblicare le sue poesie bensì tre suoi testi in prosa. Poesie di Darwish sono state pubblicate dalla Manifesto Libri nell’antologia “La terra più amata. Voci della letteratura palestinese”.
Fonte: il manifesto
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