di Roberto Ciccarelli
Procede come uno schiacciasassi l’applicazione della «Buona scuola» dopo la rottura del tavolo dove i sindacati hanno cercato di negoziare inutilmente con il ministero dell’Istruzione (Miur) il rispetto di criteri «oggettivi», stabiliti cioè in base all’esperienza e alle graduatorie seguite fino ad oggi, la scelta dei docenti neoassunti (tra immissione in ruolo e concorso) da parte del «preside manager». Il Miur ha imposto una quarantina di «requisiti nazionali», mentre i sindacati erano disposti ad accettarne fino a 11.
La disputa non era affatto tecnica: questa è la riforma sulla selezione del docente. I renziani la vogliono come nell’impresa dove un «manager» valuta le «competenze» dell’aspirante lavoratore e sceglie in base alle esigenze della «produzione». La trasformazione della scuola in un’impresa, e della gestione del docente in management del capitale umano, passa da qui ed è quello che sta accadendo in queste ore. Per i sindacati questa è la «chiamata diretta» – una procedura che sovverte la costituzionalità del ruolo del docente e in generale della pubblica amministrazione dove si viene assunti per concorso e si segue una graduatoria di meriti e anzianità di servizio. È almeno a partire dalla riforma Brunetta che tutti i governi cercano di svuotare energicamente questo dato costituzionale per sostituirlo (o assorbirlo) nelle pratiche dell’organizzazione neoliberale dello Stato basato sulla «meritocrazia».
Una meritocrazia che, a seguire i tortuosi percorsi della riforma della scuola e il serratissimo calendario imposto dal Miur per la scelta dei docenti, non sarà così meritocratica. Perché la scelta del docente resta a discrezione del preside che sceglierà, tra i 40 criteri contenuti nelle linee guida per la chiamata diretta, i quattro che si adattano alla sua idea di impresa. Molti di questi criteri non riguardano l’attività didattica propriamente intesa, ma la capacità di coordinare progetti e personale, ottenere fondi ad esempio. È il sintomo della trasformazione del docente in imprenditore capace di insegnare, ma anche di stabilire rapporti con chi può finanziare i suoi progetti, attività ritenuta fondamentale da quando sono stati tagliati alla scuola 8,4 miliardi di euro. Il Miur intende premiare questa capacità nella distribuzione delle cattedre.
Oltre alla preoccupazione del caos che si scatenerà ad agosto nelle segreterie, i sindacati pongono un altro problema: il mercato dei titoli legati alla selezione e la concorrenza tra insegnanti e scuole. Questo, in fondo, è l’obiettivo della «Buona Scuola» e il suo inveramento. I docenti trasformati in capitale umano obbligato alla «mobilità»; il preside trasformato in un manager-selezionatore e valutatore; le procedure assegnate all’arbitrio di un singolo al punto che più di qualcuno denuncia la possibilità di abusi. Circola in rete una petizione alla ministra Giannini, e diretta anche al presidente dell’Anac Cantone in cui i docenti denunciano il rischio «corruzione» e chiedono il ritiro della «chiamata diretta». Eventualità improbabile, considerato il furore ideologico del governo.
Colpisce anche la frenesia che scuoterà il sistema scolastico tra il 25 luglio e il 15 settembre, termine entro il quale i docenti avranno presentato le loro «autocandidature», i presidi li avranno scelti e saranno concluse le assegnazioni di incarico d’ufficio degli uffici scolastici regionali. In pratica i docenti avranno 5 giorni per presentare le domande, i dirigenti tre per valulare i loro curricula, i provveditorati un giorno per definire gli incarichi di coloro che non saranno stati selezionati. Il tutto senza escludere il «colloquio» con il quale il manager sceglierà il candidato per la sua «squadra» per tre anni. Questa imprenditorializzazione della scuola lascia il campo a conflitti e contenziosi di ogni tipo. Il caos e l’inflazione dell’arbitrio sono conseguenze del neoliberismo all’italiana.
Fonte: il manifesto
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