La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 21 luglio 2016

Se la democrazia si piega ai diktat di questa finanza

di Andrea Baranes
Bisognerebbe contare il numero di volte in cui politici e media hanno annunciato di avere varato la soluzione definitiva per mettere al sicuro il sistema bancario. E il numero di volte in cui poco dopo, puntualmente, si è ripresentata una situazione di emergenza, una crisi, un possibile disastro. In Italia il fondo “Atlante” era stato presentato come la soluzione ai problemi dei nostri istituti di credito. Pochi giorni dopo la Brexit “tsunami” sui mercati, “terremoto” in Borsa, ed eccoci al punto di partenza. Il governo ai ferri corti con Bruxelles sugli aiuti da mettere in campo, dopo Atlante spunta il fondo “Giasone”, c’è chi parla di un super-fondo del governo, arriva la boccata di ossigeno di una garanzia pubblica fino a 150 miliardi sulle obbligazioni bancarie, ma molti sostengono che non sia ancora sufficiente.
La Brexit è stata sicuramente un evento di portata storica, e almeno in parte inatteso. Perché, però, per l’ennesima volta ci sono le banche al centro della bufera? Perché, tra implicazioni politiche, sociali, sui diritti, ci troviamo per l’ennesima volta a parlare (quasi) solo delle possibili conseguenze e minacce al sistema finanziario?
Non ci sono dubbi sul fatto che la Brexit possa avere conseguenze sul piano economico. Dall’incertezza sul futuro al comprendere quali potranno essere i rapporti dell’UE con la City di Londra, fino a oggi capitale finanziaria del vecchio continente. Ancora prima, bisogna mettere in conto l’irrazionalità dei mercati e i comportamenti in “gregge”: se qualcuno inizia a vendere il prezzo scende, il che porta altri a vendere a loro volta, in una spirale che si auto-alimenta e scatena il panico.
Pensiamo a una banca come a una piramide rovesciata. La punta è costituita dal suo patrimonio, semplificando molto dai soldi di proprietà della stessa banca e su cui si può contare nei momenti di difficoltà. Sopra questo c’è la massa di prestiti concessi. Sopra ancora, per molte banche c’è uno strato ancora più grosso, e sono le operazioni speculative, in derivati e dintorni. La punta tiene tutto in equilibrio. Se però c’è un crollo in Borsa, avvengono due cose. La punta si assottiglia, perché il valore delle azioni della stessa Banca crolla, come avvenuto negli ultimi giorni con i vistosi cali sui mercati delle azioni di quasi tutte le banche europee. Nello stesso momento lo strato più grosso della piramide pesa sempre di più a causa delle perdite sui mercati. Il risultato è una struttura estremamente squilibrata.
Investitori e mercati vedono questo squilibrio e vendono i titoli della banca in difficoltà, o addirittura speculano su un possibile crollo. E nuovamente la spirale rischia di auto-alimentarsi.
Questo discorso è vero in particolare per molte delle più grandi banche europee, che negli ultimi anni hanno investito sempre di più in Borsa, scommesso su titoli sempre più complessi, arrivando a porre un “rischio sistemico” per l’intero sistema finanziario. È il caso di Deutsche Bank, gigante della “virtuosa” Germania che secondo l’autorevole parere del Fondo Monetario Internazionale pone il maggiore rischio sistemico al sistema internazionale. Parliamo di una banca con un’esposizione di oltre 50.000 miliardi in derivati, e che negli ultimi giorni è crollata in Borsa. Una piramide di dimensioni enormi che poggia su una punta sottilissima.
E il gigante tedesco non è certo un caso isolato in Europa. Gran parte dei gruppi di maggiore dimensione si trovano in una situazione analoga. Con un problema in più: che il sistema finanziario è strettamente Inter-correlato, ovvero le grandi banche sono legate le une alle altre. Non solo gigantesche piramidi rovesciate ed estremamente instabili, ma talmente vicine l’una all’altra che se ne viene giù una parte un effetto domino.
Se questa è la situazione, mantenere l’equilibrio è estremamente difficile, al primo soffio di vento rischia di venire giù tutto. Le possibilità sono due: o si cambiano gli architetti e si costruiscono piramidi diverse, o si puntella il tutto dall’esterno, sperando che regga. Fuor di metafora, o si cambia alla radice l’attuale sistema finanziario, o l’unica possibilità è continuare a iniettare soldi e garanzie pubbliche, in attesa che succeda un miracolo, o più realisticamente fino alla prossima crisi e al prossimo salvataggio.
Per le banche italiane, in realtà, i problemi sono altri. È vero che, tranne qualche eccezione, non si sono lanciate all’inseguimento del modello anglosassone di finanziarizzazione e speculazione, rimanendo relativamente più ancora ai prestiti all’economia reale, ma questo, paradossalmente, oggi costituisce un punto di debolezza.
Le nostre banche hanno sofferto meno delle omologhe francesi o tedesche quando la crisi era prettamente finanziaria, dopo il disastro dei subprime, ma sono in enormi difficoltà ora che la stessa crisi si è trasferita all’economia reale. A questo si sommano gestioni spesso clientelari per non dire truffaldine, con prestiti agli amici degli amici o per famigerate cattedrali nel deserto, che hanno portato oggi diverse banche in situazioni di estrema difficoltà, con sofferenze (ovvero percentuale di prestiti che non vengono restituiti) che in media per il nostro sistema bancario superano il 10%, un’enormità. Problemi che si sommano ad altri storici delle nostre banche, come i costi fissi eccessivi: negli anni passati c’è stata una corsa ad aprire sportelli e filiali ovunque, come si può facilmente vedere passeggiando in qualsiasi città italiana. Oggi, tra crisi e sviluppo dell’internet banking, questa montagna di filiali non rende e appesantisce i bilanci.
Questi e altri problemi che caratterizzano le banche italiane sono esasperati dalla visione e dal quadro normativo europeo. Regole che sembrano volere promuovere un unico modello bancario, cucito su misura per i gruppi di maggiori dimensioni. Solo per fare un esempio, lo scorso anno la BCE ha realizzato degli stress test per vedere la reazione delle banche a un’eventuale nuova crisi. Peccato che tali simulazioni abbiano preso in considerazione unicamente un peggioramento dell’economia reale e delle sofferenze, ma non una crisi finanziaria o sul mercato dei derivati. Seguendo tale impostazione, inevitabilmente le banche italiane sono risultate più deboli. Come accennato, l’analisi del FMI che ha valutato invece il rischio finanziario, porta a conclusioni ben diverse.
Questo per dire che sarebbe non solo possibile ma necessario promuovere differenti modelli bancari. La finanza etica, che non insegue il massimo profitto e rifiuta le attività speculative e valuta le ricadute non economiche dell’attività economica, si sta dimostrando un modello per molti versi migliore di quello “tradizionale”. Se come detto la media delle sofferenze per il sistema bancario italiano è oltre il 10%, Banca Etica, che presta a soggetti spesso considerati più rischiosi se non direttamente “non bancabili” dal sistema tradizionale (piccole cooperative, associazioni, ong) viaggi su tassi di sofferenza quattro volte più bassi. Una dimostrazione che si tratta di un modello vincente non “unicamente” dal punto di vista sociale, ambientale o della partecipazione dei soci, ma anche da quello economico e bancario.
Sarebbe per lo meno necessario riconoscere che diversi modelli di fare banca possono e devono coesistere, anche per rispondere a diverse necessità della società e del sistema economico e produttivo. Questa “biodiversità bancaria” viene invece ignorata se non ostacolata. Il risultato è un sistema finanziario tanto inefficace quanto inefficiente, che continua a non funzionare per sostenere l’economia ma pretende di piegare l’insieme delle regole e del funzionamento democratico ai propri esclusivi interessi, minacciando catastrofi se non viene continuamente salvato. Se l’insieme delle regole democratiche viene piegato ai diktat di questa finanza, non è difficile capire perché sia sempre più difficile riconoscersi in questa Europa. Un sistema finanziario sempre più grande e sempre più instabile. Una piramide che non solo rischia di crollare, ma che nella sua caduta sta trascinando con sé l’intera Unione Europea.

Articolo pubblicato su Left
Fonte: nonconimieisoldi.org 

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