di Federico Giusti
C'era un tempo in cui le società partecipate nascevano per aprire ai privati la gestione dei beni pubblici con gli enti locali a rivestire un ruolo marginale eccezion fatta per la nomina dei dirigenti che sovente erano politici riciclati. Poi società in house e in parte le partecipate sono anche servite per aggirare il tetto di spesa per il personale con cessione di rami di azienda a società fatte in casa con relativo personale. Da tempo il Governo Renzi sta lavorando ad una dismissione di massa delle partecipate, hanno iniziato i goveni precedenti introducendo nella legge di stabilità 2014 l'obbligo per gli enti locali di dismettere quote in società non essenziali, da allora numerose aziende sono in liquidazione con tempi lunghi e prospettive incerte.
Da settimane si discute su quali criteri dettare per la dismissione delle società partecipate, nel frattempo si è scoperto che i managers sono strapagati e con i bonus si portano a casa milioni di euro di soldi pubblici.
Il testo della riforma delle partecipate trasmesso al Parlamento per l’ultimo parere non tiene conto delle indicazioni pervenute dal Parlamento, il solito ed ennesimo autoritarismo di un governo bonapartista restio a rispettare la Costituzione e il dibattito parlamentare.
Da qui a fine luglio la partita dovrebbe chiudersi ma la discussione non verte sulla effettiva utilità delle partecipate ma sul limite di fatturato. I parlamentari avevano infatti recepito le indicazioni degli enti locali che stabilivano a 500mila euro il valore medio di fatturato dell’ultimo triennio sopra il quale mantenere in vita la ocietà; il testo trasmesso dal Governo alle Camere torna alla regola originale: ossia che la partecipata per rimanere in vita deve superare il fatturato di un milione negli ultimi tre anni.
Se cosi' sarà ben 2600 partecipate dovranno essere dismesse e nessuno sembra occuparsi delle migliaia di dipendenti.
Il Governo ha fretta di dismettere le partecipate regalando al privato la gestione di servizi e beni pubblici, Per il rapporto dell’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, basta questo parametro a condannare 2.600 partecipate locali, mentre di altrettante non si conosce il valore della produzione ed è probabile che la maggioranza di queste abbia dimensioni medio-piccole.
Cancellati anche due correttivi sulle perdite. Esclusi i servizi «di interesse generale» (trasporti, idrico, energia, rifiuti ecc.), la riforma chiede di perfino una perdita di bilancio inferiore al 5% del fatturato degli ultimi 5 anni viene ritenuta una condizione insufficiente
La logica del pareggio di bilancio ormai riguarda tutti\e, non importa che siano beni pubblici o servizi essenziali, tutto deve piegarsi alla regola del business.
Particolarmente dura la scure contro le società a maggioranza pubblica titolari di affidamenti diretti per oltre l’80% del valore della produzione, due anni di perdite sono sufficienti a revocare incarichi agli amministratori e a chiudere i battenti.
C'è infine la indicazione dei sei mesi entro i quali gli enti proprietari dovranno predisporre piani di razionalizzazione per chiudere, entro 12 mesi, le società. Dal 2018 arriverà l’obbligo dei piani ordinari annuali, giusto per evitare che le aziende dismesse con il piano straordinario possano rinascere.
A questo decreto che rischia di distruggere colossali investimenti pubblici si aggiunge l decreto sulle Camere di commercio, obiettivo del Governo è quello di ridurle a 60 enti con un taglio di personale pari a un quinto degli organici.
La riorganizzazione del pubblico prende quindi corpo nella forma di una ulteriore débâcle dei servizi pubblici e con la concreta minaccia di cancellare migliaia di posti di lavoro.
Fonte: controlacrisi.org
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