di Chiara Cruciati
Mercoledì l’editorialista del quotidiano turco Hurriyet, Yusuf Kanli, si diceva certo della mannaia che sarebbe caduta sulla testa dei media nazionali. Non ha tardato ad arrivare, naturale proseguimento delle epurazioni di massa in corso e della generale campagna repressiva che da anni strangola la stampa indipendente. Agenzie web offline, riviste fisicamente chiuse dalla polizia, licenze radio e tv revocate e tesserini da giornalista sospesi. Tutto rientra, nella narrativa del regime dell’Akp, il partito di governo, nella pulizia “necessaria” degli elementi considerati vicini al movimento Hizmet dell’imam Fethullah Gülen, capro espiatorio del tentato golpe.
In cima alla piramide stanno gli arresti: a finire dietro le sbarre ieri sono stati il direttore del quotidiano Meydan, Levent Kenez, e il caporedattore Gulizar Baki. Gli uffici del giornale – considerato vicino a Hizmet – sono stati perquisiti. Nelle ore precedenti scomparivano dall’etere 13 canali televisivi e 12 stazioni radio: licenza revocata su decisione governativa concretizzata dalla Rtük, l’ente garante delle telecomunicazioni.
È invece scampata all’arresto Arzu Yildiz, reporter dell’agenzia web Haberdar, perché non si trovava a casa al momento del raid delle forze di sicurezza. Un nome noto in Turchia: a maggio una corte di Tartus l’ha condannata a 20 mesi di prigione (è ancora libera in attesa dell’appello) ed è giunta a ritirarle la custodia dei figli. La sua colpa era stata quella di pubblicare immagini di un’udienza del maggio 2015 del processo a carico dei giornalisti di Cumhuriyet, Dundar e Gul, accusati di aver rivelato segreti di Stato a seguito di un reportage che mostrava i rapporti stretti tra gruppi islamisti in Siria e servizi segreti turchi.
Mercoledì era stata la rivista settimanale satirica Leman a vedersi arrivare la polizia alle porte: i poliziotti sono entrati con la forza nei centri stampa con le rotative ancora calde. La ragione? La copertina ospitava una vignetta che prendeva in giro golpisti e amici del presidente: un gruppo di soldati ribelli gioca a poker con sostenitori dell’Akp, in palio patatine fritte.
Ma i più colpiti restano i giornalisti locali. Stavolta la stangata (la prima) è stata sferrata dal Consiglio Generale per l’Informazione, responsabile per l’ufficio del primo ministro del riconoscimento delle credenziali giornalistiche. In poche ore 34 reporter turchi si sono visti revocare i tesserini perché – specifica l’ufficio – «minaccia alla sicurezza nazionale». Quattordici di loro sono dipendenti diMeydan, fa sapere l’agenzia stampa governativa Anatolia.
Anche qui i tentacoli del potere si affidano ciechi alla narrazione del Sultano: «Il sostegno ad un’organizzazione terroristica non può essere considerata parte delle attività della stampa. L’operazione che abbiamo compiuto non deve essere intesa come una limitazione alla libertà di informazione», è stato il secco commento del vice direttore del Consiglio Generale, Ekrem Okutan.
E infine i casi più inquietanti, quelli di autocensura. In questi giorni le notizie più immediate e scomode si scovano nei social network (i turchi, abituati ai continui blackout imposti da Erdogan, sono ormai maestri nell’aggirarne gli oscuramenti). Più difficile trovarne sui quotidiani del paese, tanto che in molti si affidano alle agenzie internazionali. L’autocensura passa anche per la collaborazione più o meno diretta con il processo di epurazione in corso: il quotidiano kemalista Milliyet ha licenziato il direttore, Ercüment Erkul, per aver ordinato due edizioni speciali nella notte del tentato golpe. Ufficialmente, dunque, cacciato per aver provocato una perdita finanziaria all’editore.
Sono invece 60 i giornalisti licenziati dall’agenzia stampa Cihan, indipendente prima di venire commissariata dal governo, lo scorso marzo. Un commissariamento violento: la polizia ha attaccato le sedi dell’agenzia, che produceva anche il noto quotidiano di opposizione Zaman, con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Il timore che serpeggia da giorni è che il pugno di ferro prosegua spedito: i media indipendenti parlano di liste nere di giornalisti che condurranno di certo a numerosi arresti. I primi effetti si vedono già: giovani sostenitori di Erdogan, una delle tante squadre punitive che stanno facendo la ronda da giorni alla caccia di “traditori”, hanno attaccato mercoledì notte gli uffici del quotidiano Gazetem a Istanbul, accusato di aver sostenuto il golpe.
Fonte: il manifesto
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