di Teodoro Andreadis Synghellakis
Il parlamento di Atene ha dato luce verde alla nuova legge elettorale, con il voto favorevole di Syriza, del partito conservatore dei Greci Indipendenti e della piccola formazione Unione dei Centristi. I punti principali della nuova legge voluta dal governo di Alexis Tsipras prevedono l’abolizione del premio di maggioranza di cinquanta seggi per la prima forza politica ed il ritorno al proporzionale, seppur con la soglia di sbarramento del 3% dei voti per poter entrare in parlamento.
Per quanto riguarda il diritto di voto, dai diciotto anni previsti sinora, si scende ai diciassette, con un apertura verso i più giovani. Quest’ultimo provvedimento entrerà in vigore subito, sin dalle prossime elezioni, mentre i restanti – non essendo stati approvati a maggioranza qualificata – saranno validi fra due tornate elettorali. La maggior parte dell’opposizione ha criticato la maggioranza di governo, sostenendo che ha cambiato la legge elettorale perché sa di aver perso la fiducia dei greci. Il centrodestra ritiene, inoltre, che l’abbandono del premio di maggioranza possa creare una serie di problemi legati all’instabilità politica. La sinistra ellenica, tuttavia, risponde che in realtà si creano governi stabili quando si dà vita a delle iniziative che mettono al centro dei progetti la coesione politica. Quanto ad alcuni sondaggi che vedrebbero in vantaggio il centrodestra di Nuova Democrazia nelle intenzioni di voto, dalle parti di Syriza si ricorda che le società demoscopiche greche, in tutti gli ultimi round elettorali hanno fallito clamorosamente.
Nel frattempo, la Grecia continua a chiedere con forza l’alleggerimento del proprio debito pubblico. Nell’incontro con il segretario al tesoro Usa Jack Lew, Tsipras ha sottolineato che il paese, malgrado si trovi vicino ad un’area molto difficile “rimane un forte punto riferimento sia per la stabilità che per la sicurezza”. Ha chiesto, quindi, “la solidarietà dei partner”, con dei messaggi che permettano “di arrivare a dare un importante sollievo al problema del debito”. Washington riconosce che il governo di Syriza e Anel ha fatto “un duro lavoro” e attraverso Lew ribadisce che l’impegno politico per un alleggerimento del debito ora deve trasformarsi in una politica concreta.
Le buone intenzioni, quindi, ci sono. Ora, però, bisognerà vedere come si svilupperà il perenne scontro tra le istituzioni europee ed il Fondo Monetario Internazionale. Uno scontro che spesso sembra creato ad arte, nel quale l’Fmi si pone a favore di misure per il debito e l’Europa frena. A tutto questo, si aggiunge il “dossier lavoro”, che verrà aperto ufficialmente in autunno. Gli accordi con i partner europei prevedono che per la Grecia, si faccia riferimento “alle migliori pratiche e legislazioni”, in materia, appunto, di leggi sul lavoro. Ma il dubbio che si pone non è di poco conto: migliori per chi? Per i lavoratori, con la reintroduzione dei contratti collettivi di lavoro (come vorrebbe il governo) o per i datori di lavoro, con la liberalizzazione dei licenziamenti e l’ufficializzazione dei contratti aziendali e personali?
Per quel che riguarda, infine, il caso Turchia, ormai fuori controllo, i magistrati greci hanno voluto esprimere la loro solidarietà a quelli del problematico “vicino di casa”, i quali sono oggetto di fortissime epurazioni e persecuzioni. E sempre ieri sono stati trasferiti ad Atene gli otto militari turchi che all’indomani del tentato golpe, avevano chiesto asilo politico in Grecia. Per ora gli è stata inflitta una condanna simbolica di due mesi, per essere entrati illegalmente in territorio ellenico. È stata applicata la condizionale ed ora si attende, a patire dal 27 luglio, che vengano esaminate le richieste di asilo. Ankara insiste perché i militari le vengano “restituiti” immediatamente, ma i loro avvocati fanno sapere che se le richieste dei loro clienti non dovessero venire accolte, sono già pronti una serie di ricorsi. Si insisterà, in modo molto incisivo, sul fatto che in caso di estradizione, gli otto membri delle forze armate rischierebbero anche di essere condannati a morte.
Fonte: Il manifesto
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