di Luca Celada
Il festival di angoscia e disgusto che è stata la republican national convention di Cleveland ha trovato degna conclusione ieri notte col discorso di investitura di Donald J Trump. Cominciato con quella che è sembrata una prova generale di annuncio di legge marziale. «Gli Americani che stanno vedendo questo discorso – ha esordito – hanno testimoniato di recente scene di inaudita violenza sulle nostre strade e caos nelle nostre comunità. Ho un messaggio per tutti voi: il crimine che oggi affligge la nostra nazione, presto – e voglio dire molto presto – finirà. Il 20 gennaio 2017, la sicurezza verrà ripristinata».
Non era un discorso a reti unificate di Recep Erdogan, o del presidente-sacerdote di Purge Election Year (la satira fantapolitica nelle sale americane in cui una feroce oligarchia presiede al massacro “controllato” della cittadinanza). Sembrava tuttavia implicitamente presagire un’epurazione “turca” per l’inizio dell’amministrazione Trump. Difficile immaginare che cosa oltre lo stato d’assedio potrebbe portare alla «sospensione immediata della violenza».
Non era un discorso a reti unificate di Recep Erdogan, o del presidente-sacerdote di Purge Election Year (la satira fantapolitica nelle sale americane in cui una feroce oligarchia presiede al massacro “controllato” della cittadinanza). Sembrava tuttavia implicitamente presagire un’epurazione “turca” per l’inizio dell’amministrazione Trump. Difficile immaginare che cosa oltre lo stato d’assedio potrebbe portare alla «sospensione immediata della violenza».
Trump non si è soffermato sulle misure che intende applicare a questo riguardo o contro «l’ondata criminosa» che nella sua visione distopica stanno sommergendo l’America. L’importante era concludere il film horror sceneggiato nei quattro giorni di convention con un epilogo degno di John Carpenter. Trump ha ripetutamente evocato gli attentati ai poliziotti di Dallas e Baton Rouge a riprova del baratro che minaccia il paese. Fino ad ora, sorprendentemente, nel paese è prevalsa una inusitata moderazione “bipartisan” rispetto a quei fatti. Ma la reazione violenta finora rimandata si è infine materializzata nelle parole di Trump che ha definite un «attacco a un poliziotto un attacco all’America stessa».
«Ho un messaggio per ogni ultimo individuo che intende minacciare la pace sulle nostre strade e la sicurezza della polizia», ha dichiarato minacciosamente. «Subito dopo il mio giuramento ordine e legge saranno ripristinati!».
Più che «la scintillante città» di Reagan, antecedente populista che rivestiva l’arcigno conservatorismo di un ottimismo patinato, quella dipinta da Trump è sembrata più l’Isola dei sopravvissuti di George Romero, in preda a bande di zombie (soprattutto etnici e forestieri). Poche ore prima del discorso, in una nuova clamorosa sparatoria in Florida, la polizia aveva preso di mira un terapeuta afro americano impegnato a calmare un paziente autistico in preda a una crisi. La polizia sopraggiunta ha dapprima intimato all’uomo di sdraiarsi in strada e poi pur mentre la vittima teneva le mani bene alzate e spiegava con calma la situazione, hanno fatto fuoco ferendolo alla gamba.
Non sono gli episodi che ha in mente Trump, che per oltre un’ora ha calcato su un’apocalittica congiuntura di terrorismo, immigrazione e criminalità – la trinità della paura per indurre l’elettorato a rifugiarsi nel campo armato del caudillo che è tornato a citare Nixon: «Io sono il candidato dell’ordine e della legge!».
Nella narrazione distopica c’è stato l’occasionale tentativo di aprire a un populismo “ecumenico”. Trump ha menzionato la comunità Lgbtq che proteggerà dall’«odio terrorista» visto ad Orlando (non dall’intolleranza iscritta nel programma ufficiale del proprio partito). Ed ha aperto improbabilmente ai sandersiani: «Stiamo insieme nell’opposizione al libero commercio per salvaguardare il lavoro».
Intrecciato al fosco autoritarismo, il discorso ha espresso l’antiglobalismo “di destra” spesso articolato dal nuovo populismo nazionalista, e un risentimento informe contro élites e intellettuali col loro «moralismo politicamente corretto». «Il nostro progetto porrà prima l’America, non il globalismo» ha esclamato Trump dando voce anche al nuovo isolazionismo per cui «l’America non verrà più automaticamente in soccorso di altri paesi senza un tornaconto specifico di sicurezza nazionale». Una versione vittimistica, amnesica e antistorica che ha tuttavia qualche probabilità di successo vista la paura e il rancore che da mesi va disseminando e che dopo Nizza, Dacca, Istanbul e ora Monaco sono destinate solo ad aumentare. Il vero fondamento del successo di Trump è tutto qui.
Fonte: Il manifesto
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