di Matteo Bortolon
Poco tempo fa sulle colonne del 24-Ore compariva un articolo a proposito dell’Irlanda. Con tono a stento rattenuto l’articolista tradiva l’entusiasmo per il fatto che la «tigre celtica torna a ruggire». In cifre, si affacciava un aumento del Pil del +26,3%. Qualcosa di assolutamente inaudito: una crescita a due cifre (superiore al 9%) già è considerata eccezionale, tanto più oggi che nemmeno la Cina ci arriva più. In uno slancio lirico l’articolista ci rendeva noto che «Dublino è una storia di successo. Il paese è uscito dal piano di aiuti nel 2014 e rappresenta per i creditori il migliore e più evidente caso di recupero di una nazione in crisi». Che bello! Basterà capire la ricetta irlandese per uscire ottimamente dalle difficoltà. O no?
Per cominciare si spiega che una crescita così fragorosa da rasentare la favola è un po’ falsata dal fatto che “molte società multinazionali l’anno scorso si sono trasferite o hanno trasferito parte dei loro business nella «verde« Irlanda”. Adesso è un po’ più chiaro…
Purtroppo non è dato sapere quanto sia il dato reale depurato dal fatto che le attività di una grande impresa – magari realizzate sul continente – adesso vengono contabilizzate in una giurisdizione differente.
Ovviamente il rapporto debito/PIL si abbasserà (se le stime risulteranno confermate ovviamente), e nella frase precedente apprendiamo che «Così l’Irlanda sta lasciando in fretta la sua crisi alle spalle». Non riusciamo molto a vedere la consequenzialità…
In realtà qualche problemino c’è. Ma intanto cerchiamo di capire perché la «verde isola» è così attrattiva. L’Irlanda è sostanzialmente un paradisco fiscale nel cuore dell’Europa che ha attratto grandi imprese tassandone poco i profitti. Il 1 gennaio 2016 è entrata in vigore una nuova legislazione che abbassa le tasse sulle attività «immateriali» come il diritto di proprietà intellettuale, e le aziene ne hano approfittato. Alcuni liberisti definiscono questa strategia «attrarre investimenti con un regime di tassazione basso». Altri lo definirebbero più semplicemente «fregare il proprio vicino».
E comunque qualche altro piccolo problema c’è. Come il fatto che a suon di minacce le autorità UE hanno spinto i governi irlandesi a salvataggi del sistema bancario, con un rapporto debito/PIL che dal 25% nel 2007 è schizzato oltre il 120% nel 2013-14. E la ricetta per farlo scendere ovviamente è l’austerità. Dal 2014 si susseguono regolarmente proteste in tutto il paese contro la privatizzazione dell’acqua. La campagna «Right2Water» («diritto all’acqua») ha organizato a gennaio scorso 30 manifestazini in tutto il paese, partecipate da migliaia di cittadini.
Il cui umore non pare essere propriamente entusiasta dell’austerità, dato che fra il 2007-2013 secondo Eurostat la percentuale dei salari sul Pil è calata da 45,7% a 41%.
L’articolo del Sole faceva anche un fugare riferimento alla spesa dei consumatori in crescita del + 4,5%. Ma sei salati sono calati come si fa a consumare di più?
Ce lo spiega un report della Banca centrale d’Irlanda, intitolato indicativamente Household Credit Market Report, dei primi mesi del 2016. Ci dice che le famiglie irlandesi hanno il terzo più consistente debito privato (poco sopra il 150% rispetto al PIL). È la solita meccanica di sostituzione degli aumenti salariali con l’indebitamento. Niente di particolarmente nuovo. Una vera «storia di successo»…
Fonte: Il manifesto
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