di Marco Santopadre
Subito dopo l’introduzione l’altro ieri dello stato d’emergenza per tre mesi, il vicepremier Numan Kurtulmus aveva affermato che la speranza era quella di poterlo in realtà revocare entro una quarantina di giorni. Ma ieri il presidente Erdogan ha fatto sapere che, se ce ne sarà bisogno, non esistono ostacoli legali e politici ad una estensione della condizione che permette un ulteriore accentramento dei poteri nelle mani del capo dello stato e del suo cerchio magico. Ed oggi grazie allo Stato d’Emergenza il governo ha prolungato la durata massima del fermo di polizia senza bisogno di convalida del giudice dagli attuali 2 giorni fino a 7.
A quasi una settimana dal fallito golpe, Erdogan aggiorna il bilancio dei feriti a 2.185 persone dalle 1500 precedenti. Confermato invece il bilancio di 246 vittime, esclusi i morti tra golpisti, di cui non si conosce il numero preciso (si va da 25 a 104). Per quanto riguarda la loro sepoltura, non solo le autorità religiose sotto controllo statale hanno negato le esequie religiose per i ‘traditori’, ma la maggior parte di loro verranno tumulati in appositi recinti all’interno dei cimiteri. Kadir Topbas, sindaco islamista di Istanbul, ha annunciato la creazione di quello che ha definito ‘cimitero dei traditori’ destinato appunto a coloro che hanno preso parte al tentativo di colpo di stato di sette giorni fa. “Chiunque visiterà il luogo li maledirà e non potranno riposare nelle loro tombe ha detto l’esponente dell’Akp Topbas. Una vera e propria ‘damnatio memoriae’.
Dopo aver proibito a milioni di dipendenti e funzionari pubblici di lasciare il paese e aver chiesto il rientro immediato in patria di molti accademici turchi all’estero, le autorità turche hanno revocato il passaporto di 10.856 cittadini sospettati di avere collegamenti con gli organizzatori del fallito putsch e in generale con la confraternita di Fethullah Gulen, di cui Ankara continua a chiedere l’estradizione agli Stati Uniti, paese dove l’imam/magnate vive ormai dal 1999. Lo ha annunciato il ministro dell’Interno Efkan Ala, lasciando intendere che il processo di revoca dei passaporti non è terminato.
Cresce il numero delle persone coinvolte nelle purghe erdoganiane, con le epurazioni salite a più di 65 mila. Nelle ultime ore, tra gli altri, 529 dipendenti sono stati sospesi dal ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni, 197 da quello delle Risorse idriche e forestali, 300 dalla tv di Stato Trt e 29 dall’ente che regola le telecomunicazioni (Rtuk).
Il governo ha annunciato oggi che le persone accusate per il fallito golpe saranno giudicate da tribunali civili ma nel corso di un maxi-processo organizzato nella capitale Ankara. Lo ha annunciato il ministro della Giustizia, Bekir Bozdag: “Non servono tribunali speciali. Servirà un grande spazio per gli accusati, gli avvocati, gli osservatori e le famiglie. Il processo si svolgerà nel distretto di Sincan ad Ankara”. Il numero degli arrestati, ha reso noto il ministro dell’Interno, Efkan Ala, è salito intanto a 10.607. Per 4.496 ‘sospetti’ l’arresto è già stato convalidato.
Intanto è stata anticipata alla prossima settimana la prevista riunione del Consiglio Militare Supremo (Yas), che decide le nomine e certifica i pensionamenti dei vertici dell’esercito.
Dalle decisioni del Consiglio, ha annunciato lo stesso Erdogan, “emergerà una nuova struttura” delle Forze Armate, dopo il fallito golpe del 15 luglio nel mirino del regime che punta ora non solo ad espellere tutti gli elementi non completamente fedeli ed allineati, ma anche a diminuirne il peso nella società e ad aumentarne il controllo politico. Secondo i media locali, il ‘rimpasto’ potrebbe riguardare molti degli attuali comandanti che, pur non avendo partecipato al putsch, sono nel mirino per non essere riusciti a evitarlo e contrastarlo adeguatamente.
Proprio oggi dalla provincia meridionale di Siirt è arrivata la notizia che il colonnello Levent Onder, vice comandante del Terzo Comando Brigata, “divorato dai sensi di colpa per non essere riuscito a fermare il tentativo di golpe, si sarebbe tolto la vita sparandosi un colpo di pistola alla testa”.
Intanto il regime, che rafforza il controllo sulla società attraverso misure autoritarie, continua a fare appello anche ad una mobilitazione reazionaria che chiede di continuare a vigilare contro l’eventualità di nuove ‘provocazioni’. E’ più che evidente che Erdogan punti alla relativa stabilizzazione di una piazza reazionaria da affiancare agli organismi repressivi.
Durante la notte l’accesso a diverse caserme turche è stato bloccato da folle di sostenitori del presidente dopo la diffusione di false voci sulla possibilità di una nuova sollevazione da parte dei militari. I manifestanti hanno sigillato con bulldozer e camion le entrate delle basi militari di Etimesgut nella capitale Ankara, di Maslak a Istanbul e di Siirt, nel sud-est.
Sempre ieri sera migliaia di persone hanno sfilato a Istanbul lungo uno dei ponti sul Bosforo sventolando bandiere turche e mostrando striscioni ‘patriottici’ con slogan del tipo la “nostra bandiera, il nostro paese”, ritratti di Erdogan e vessilli dei movimenti che sostengono il regime. Non sono naturalmente mancati gli slogan contro Fethullah Gulen, definito abitualmente ‘cane’ oltre che ‘terrorista’. Il folto corteo è partito dal quartiere di Kisikli, sulla sponda asiatica per approdare su quella europea.
Da quando la sera del 15 luglio i muezzin delle moschee di Istanbul e lo stesso Erdogan hanno chiesto al popolo di scendere nelle strade per sbarrare la strada ai militari la piazza non si è mai svuotata. Accanto ai militanti del governativo Giustizia e Sviluppo si vedono sempre più sostenitori dell’Mhp, il Partito Nazionalista di destra teoricamente all’opposizione. Ma i manifestanti che fanno il saluto dei Lupi Grigi sono sempre di più. Si sono visti anche striscioni a favore del fascista Sedat Peker, esponente di un clan mafioso che negli anni ’90 partecipò alla guerra sporca contro i curdi e i movimenti di sinistra.
Per il resto, per la maggior parte la piazza reazionaria è composta da un gran numero di membri dei ceti sociali medio bassi – lavoratori, commercianti, giovani – ed anche dai rappresentanti di quella nuova classe media sorta grazie alle politiche espansive di Erdogan e dell’Akp, basate sulla speculazione edilizia, sulle grandi opere, sull’inurbamento di milioni di abitanti dell’Anatolia profonda che negli ultimi anni sono andati ad ingrossare la metropoli sul Bosforo ma anche Ankara e Smirne.
Per il 15 luglio del prossimo anno Erdogan ha annunciato la celebrazione di una giornata di commemorazione dei “martiri” periti per difendere il regime dal colpo di stato. “Le generazioni future non dimenticheranno mai gli eroi della battaglia per la democrazia”, ha affermato il capo dello Stato durante una conferenza stampa.
Dopo una settimana di stordimento completo, i partiti di opposizione provano a recuperare un minimo di protagonismo e agibilità politica. Il partito nazionalista laico e di centrosinistra, il Chp, ha convocato per questo fine settimana una manifestazione “Per la Repubblica e la Democrazia” in quella Piazza Taksim che dopo esser stata nel 2013 l’epicentro della contestazione progressista al regime erdoganiano è diventata da venerdì scorso una piazza reazionaria.
Nelle intenzioni del ‘sultano’, quella piazza, così come l’intero paese, dovranno presto cambiare completamente volto. Lo stesso Erdogan pochi giorni fa ha annunciato che intende, nella piazza che è stata teatro delle proteste del movimento ‘Occupy Gezi’, costruire due caserme, un teatro dell’opera (al posto di quel centro culturale di Ataturk che fino a qualche giorno fa sembrava intoccabile) e una nuova moschea.
Fonte: Contropiano
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