Intervista a Abdullah Demirbas di Eleanor Finley
Abdullah Demirbas è nato nel 1966 nella città di Diyarbakir (o Amed) in Kurdistan. Dal 2004 al 2012, ha fatto il sindaco di Diyarbakir, nel Distretto centrale di Sur che è stato in gran parte distrutto nei mesi scorsi da attacchi militari turchi. Mentre, tramite i social media, si diffondevano a livello globale le notizie della distruzione di Sur, il suo profondo significato culturale e storico è meno ampiamente noto. Per migliaia di anni, Diyarbakir è stata il cuore cosmopolita della regione mesopotanica. Sur è il sobborgo più antico della città con i documenti ufficiali che fanno risalire la città a oltre 3000 anni fa, anche se gli esperti locali suggeriscono che sia molto più antica.
Prima della sua distruzione, Sue era un luogo vivace e colorato con strade strette, l’ombra fresca, spesse mura di pietra, vicoli stretti e giardini rigogliosi. In quanto storia vivente riccamente articolata, Sur infrangeva lo stereotipo di un Medio Oriente arretrato dal punto di vista intellettuale e culturalmente vuoto.
Prima della sua distruzione, Sue era un luogo vivace e colorato con strade strette, l’ombra fresca, spesse mura di pietra, vicoli stretti e giardini rigogliosi. In quanto storia vivente riccamente articolata, Sur infrangeva lo stereotipo di un Medio Oriente arretrato dal punto di vista intellettuale e culturalmente vuoto.
Durante la sua carica, Demirbas è stato a capo di progetti sociali e culturali per rinnovare Sur e preservare non soltanto la sua eredità materiale e architettonica, ma anche la vita e la cultura dei suoi abitanti. Ha contribuito a creare il Consiglio dei Quaranta, un forum di molte confessioni religiose in tutte le comunità religiose di Amed, e anche a costruire un monumento civile al genocidio armeno, l’unico di questo tipo in Turchia [1]. Nel 2012, è stato costretto a lasciare il suo incarico ed è stato arrestato per avere usato la lingua curda in un procedimento del municipio. All’inizio di quest’anno si è trasferito da Amed a Istanbul dove insegna filosofia e politica in una scuola pubblica locale.
Nell’intervista che segue, Demibas ed io parliamo della storia di Sur e anche delle recenti ondate di violenza dello stato, della repressione e della minaccia di guerra civile in Turchia. E’ stata condotta a distanza in due sessioni e con l’aiuto di un traduttore. Il alcuni punti il testo è modificato per renderlo più breve e chiaro.
Mi può parlare di Amed prima del 2004?
"Quando noi del BDP (Partito della pace e della democrazia) ne abbiamo preso il controllo, non era in condizioni molto buone. In realtà era un luogo devastato, rovinato, ma in quei dieci anni abbiamo fatto molti lavori di restauro di chiese, moschee e sinagoghe, compresa una moschea Alawita e un tempio Yazida. Abbiamo fatto piani per conservare Sur che non erano mai stati fatti con precedenti governi o sindaci. Il nostro progetto era di ricostruire Sur come era prima degli anni ’30, somigliante a quella originale. Abbiamo anche creato istituzioni multiculturali per mescolare le varie radici culturali di Diyarbikir. Mentre facevamo tutta questa pianificazione e ricostruzione, ci occupavamo dei nostri valori democratici e ci assicuravamo che le persone partecipassero e dessero le loro opinioni su questi argomenti. Abbiamo fatto domande alle persone, alle ONG e anche agli studi degli architetti e a quelli di professionisti in campi correlati. Siamo quindi andati al Consiglio dei 40 e abbiamo fatto dei piani, consultandoci con loro."
Mi può dire di più sul Consiglio dei Quaranta? E’ un consiglio religioso?
"Sì, giusto. E’ un consiglio unico, in Turchia. Esiste con uguaglianza di genere, ed uguaglianza etnica e religiosa come priorità. Ci sono rappresentanti armeni, siriani, caldei, alawiti e perfino turcomanni che hanno opinioni diverse e contrapposte. Se vogliamo sintetizzare, cercavamo di fare in modo che Sur venisse a contatto con le sue radici storiche, dato che si stima che Sur abbia ottomila o novemila anni e che vi esistano oltre 33 diverse culture. Sur è il corpo principale di Diyarbakir e la rende una città con molte culture, con molte identità e con molte voci. Ma questa multi-cultura e diversità gli è stata negata con la fondazione della Repubblica turca che consiste soltanto di una singola nazione, di una sola lingua e di una sola religione. Volevamo quindi riabilitare tutti questi diversi frammenti che sono stati all’ombra della distruzione e tenerli vivi per il futuro. La parte filosofica di questo è credere che il mondo sia un giardino di fiori; che ci siano fiori diversi, di colori diversi, di forme diverse e che dobbiamo “vivere e lasciar vivere” in quel mondo. Questa è a nostra prospettiva e l’abbiamo voluta trasformare in realtà. Volevamo anche dare un modello di pace al Medio Oriente perché esso è costruito da diversi gruppi linguistici, religiosi e razziali. Programmiamo di fare di Diyarbakir, e specialmente di Sur, il centro della pace mediorientale."
Mi potrebbe parlare del monumento del Genocidio Armeno?
"Abbiamo costruito un monumento del genocidio, per la prima volta in assoluto in Turchia, nel 2013. Nel nostro discorso inaugurale, abbiamo dichiarato che abbiamo condiviso il dolore per il genocidio in modo che non sarà vissuto di nuovo. Per continuare ad esistere, lo stato turco ha spinto religioni diverse ed etnie diverse l’una contro l’altra. Questa è un approccio di divisione e di conquista. Il nostro approccio, però, è che in passato ci sono stati degli errori che noi dobbiamo affrontare, dei quali dobbiamo chiedere scusa e guardare in avanti insieme. Sappiamo che alcuni dei nostri antenati Curdi, durante il genocidio armeno furono usati come strumenti in questi massacri compiuti dallo stato turco. Abbiamo chiesto scusa con la costruzione di questo monumento, e abbiamo chiesto allo stato turco di chiedere scusa ai Cristiani, ai Cristiani armeni, ai Cristiani assiri, ai Curdi Yezidi, agli Ebrei e agli Alawiti e anche curdi musulmani. Se possiamo affrontare correttamente il passato insieme, potremo affrontare un vero futuro insieme e possiamo vivere insieme. Ecco il motivo per cui abbiamo costruito il monumento del genocidio."
Il municipio come ha affrontato la liberazione delle donne?
"Avevamo per la prima volta una gestione femminile della Turchia, e c’è un Consiglio delle donne anche all’interno della municipio. Come diciamo noi, le donne sono la metà della vita, e quindi vogliamo che le donne partecipino alla vita con libertà. Dato che le donne sono metà della popolazione, vogliamo che prendano il loro giusto posto. Mentre gestivo l’amministrazione di Sur, nel 2005, prendemmo la decisione che se un uomo che lavora la municipio abusa di sua moglie, la città taglierà il salario dell’uomo e lo darà direttamente alla donna. Se poi continua ad abusarne, gli chiediamo che lasci il lavoro e assumiamo la moglie al suo posto. Se l’uomo ha due mogli, lo licenziamo e prendiamo la prima moglie al suo posto. Abbiamo dato anche incentivi sul salario ai genitori che mandano le loro figlie a scuola per farle istruire. Abbiamo anche promosso la produzione di pomodori, peperoni e melanzane sui tetti delle case. Sarebbero mature d’estate e le donne le raccoglierebbero. Abbiamo fatto questo anche allo scopo di potenziare l’agricoltura organica, e di usare anche i semi originari di questi prodotti, come programma di semina."
Mi può parlare della guerra in Turchia? Che cosa sta succedendo?
"A causa della situazione del processo di risoluzione, terminato lo scorso aprile, c’è ora in corso un enorme conflitto e la Turchia è sull’orlo della guerra civile. Erdogan programma di essere il presidente e anche il sultano, ma poiché l’HDP (Partito Democratico del Popolo) [2] ha superato la barriera elettorale il 7 giugno, ha fermato la strada di Erdogan verso la presidenza e il sultanato e quindi Erdogan ha iniziato la guerra per vendicarsi. Il bombardamento durante il comizio a Diyarbakir proprio prima dell’elezione di giugno 2015, il bombardamento di Suruj e l’uccisione di due poliziotti turchi sono stati la causa scatenante della guerra. Poiché non c’era un osservatore del terzo partito, le due parti non si fidano più l’una dell’altra e nelle strade è iniziata uno scenario di guerra civile."
Stiamo però discutendo della risposta più che della domanda e invece vale la pena di parlare della domanda.
"Tutta la questione è il problema più che centenario dei Curdi e il problema della democrazia in Turchia. La principale strategia del governo per sunnizzare il paese, per creare uno stato musulmano sunnita, è di espandere al guerra. A causa di questi sogni di dittatura si è causato grande dolore alla gente, alla società e all’ambiente. Già 300.000 persone hanno dovuto trasferirsi. La maggior parte delle strutture e delle infrastrutture delle città, sono state distrutte. A Cizre e a Diyarkabir molti siti patrimonio mondiale sono stati totalmente demoliti. L’equilibrio socio-economico che era già molto sbilanciato, è stato totalmente capovolto di nuovo. Possiamo dire questo: a causa del sogno della dittatura, Erdogan ha iniziato una guerra civile."
Il PKK ha avuto un ruolo nell’interruzione del processo di pace?
"Dall’inizio, dato che non c’era un terzo partito che faceva da osservatore, entrambi i partiti non si fidavano l’uno dell’altro. Ora che il processo di soluzione è diventato un processo di “non-soluzione”, il PKK ha aumentato i suoi attacchi e la violenza."
Quale è il ruolo di Abdullah Ocalan nel conflitto?
"Il Signor Ocalan è stato messo in isolamento fin dall’aprile 2015 e neanche i suoi alleati possono visitarlo e quindi non è informato. E questo è un dei motivi della violenza, dato che non può intervenire per fermarla. Quando il Signor Ocalan era al corrente di tutto, la violenza si era fermata del tutto. Quando lo stato turco ha smesso di incontrarlo, e lo ha isolato, anche la violenza verso lo stato è aumentata. Possiamo quindi dire facilmente che se Ocalan fosse ancora impegnato nel processo di risoluzione, questa violenza non si sarebbe verificata. E’ quindi nostro desiderio vederlo di nuovo impegnato in questo processo."
L’Unione Europa e gli Stati Uniti come considerano l’isolamento di Ocalan?
"Attualmente non hanno fatto obiezioni al riguardo se non con una voce debolissima. A causa della pressione pubblica, la delegazione del CPT (Comitato per la prevenzione della tortura, all’interno del Consiglio d’Europa) si è incontrata con lui alla fine di aprile, ma non hanno ancora pubblicato il comunicato stampa. Sono andati soltanto a vedere quali sono le sue condizioni, non a coinvolgerlo di nuovo nel processo di pace. Gli Stati Uniti non hanno agito da mediatori in questo processo. Gli Stati Uniti dovrebbero agire in maniera più efficiente perché lo sviluppo della pace e della giustizia in Turchia innescherà la stabilità nella zona mediorientale nel suo complesso. E sarà bene che le diverse etnie e le diverse convinzioni religiose cerchino di vivere in armonia in Medio Oriente. I curdi e il Signor Ocalan difendono la diversità e la pluralità di culture, razze, religioni, e il vero laicismo, ma in Turchia lo stato attuale è estremista, islamizzato e turchizzato. Varie volte hanno appoggiato l’ISIS, Al Qaida e altri gruppi estremisti islamici. Questo fatto spaventa gli sciiti, gli armeni, gli ebrei, i cristiani e gli alawiti (ne sono rimasti soltanto 600), e altre minoranze etniche e religiose, perché l’attuale stato turco non tollera le differenze. Il nostro desiderio è quindi che l’UE e gli USA facciano pressione sulla Turchia per cominciare di nuovo il processo di pace."
Quando è iniziato questo problema per i Curdi?
"Dal secolo scorso la Turchia ha avuto questo problema. La ragione è l’ideologia ufficiale della Turchia che ritiene che tutti in Turchia sono turchi; la loro lingua è turca, la loro cultura è turca, e sono tutti musulmani sunniti e quindi tutte le differenze culturali, razziali e religiose devono essere annullate. Nell’ultimo periodo dell’Impero Ottomano, anche gli iraniani e gli assiri furono obiettivo del genocidio. Dopo di questo, con la Repubblica, iniziarono a prendere di mira i Curdi a Dersim e la Repubblica di Agur. Poiché tutte queste persone rifiutarono questa identità unitaria, sono stati distrutti, anche se non si sono ribellati apertamente, ma soltanto perché hanno dichiarato apertamente che non sono gli stessi. Nessuno di questi problemi è stato risolto."
Quale è la soluzione per situazione attuale?
"Prima di tutto dovremmo avere una nuova costituzione che sia liberale, democratica e favorevole ai diritti civili universali in Turchia. In questa costituzione dovrebbero essere accettate tutte le differenze etniche, religiose, di genere. Ognuno dovrebbe avere il diritto di essere istruito nella sua madrelingua. Tutte le religioni e le convinzioni religiose della Turchia dovrebbero avere il diritto di essere rappresentate apertamente. Il sistema del protettorato, che è usato soltanto in Kurdistan, dovrebbe essere abolito e lo stato dovrebbe affrontare il suo passato, la sua storia di sangue, e chiedere scusa agli armeni, assiri, greci, curdi, ebrei e yazidi e anche ai turchi alawiti. Infatti la soluzione di fare una nuova costituzione possono essere considerate come rispondenti alle richieste costituzionali dell’UE."
C’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?
"La cosa che chiediamo alla fine alla comunità intellettuale, agli accademici e a tutta l’opinione pubblica internazionale, è di fare pressione sulla Turchia sia istituzionalmente che culturalmente perché fermi questo processo violento e si ritorni alla pace. Dovrebbero appoggiare le nostre politiche di ambientalismo, di genere e uguaglianza tra i sessi, perché crediamo fermamente e specialmente nell’indipendenza femminile, che è il principale pilastro delle libertà nella società. E, seconda cosa, nello stato dovrebbe essere favorito il multilinguismo."
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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