La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 5 novembre 2015

Renzi, una forza del passato

di Michele Prospero
La stra­te­gia di medio periodo del par­tito della nazione, inteso come spon­ta­nea con­fluenza degli elet­tori di destra nelle acco­glienti sigle del Pd, viene pre­ci­sata negli edi­to­riali che Angelo Pane­bianco sta pub­bli­cando sul Cor­riere. Impe­gnan­dosi in una stre­nua difesa dell’Italicum, cele­brato come una garan­zia certa di gover­na­bi­lità, il poli­to­logo ha affer­mato che ogni ripen­sa­mento sulla via del tra­guardo delle grandi riforme è assurdo e che i peri­coli paven­tati da poli­tici esi­tanti sono sem­plici pro­dotti di fantasia.
Egli ha così accre­di­tato la sicura affer­ma­zione elet­to­rale di Renzi ricor­rendo a un teo­rema che in verità pog­gia su basi labili. La destra, sostiene, non potrà mai votare in massa per il M5S al secondo turno e, inol­tre, il sog­getto di Grillo è desti­nato a sgon­fiarsi in pros­si­mità del bal­lot­tag­gio. La apo­dit­ti­cità di que­ste sue asser­zioni Pane­bianco le ricava da un postu­lato (in realtà un canone meta­fi­sico o un pio desi­de­rio) che crede inop­pu­gna­bile. E cioè che gli elet­tori votano con il por­ta­fo­glio sal­da­mente cucito nelle tasche.
Motivo per cui i bar­bari sogna­tori non pas­se­ranno, a meno che alle urne si rechino degli attori irra­zio­nali dispo­sti a com­piere atti di auto­le­sio­ni­smo economico.
Secondo il Cor­riere il voto al M5S andava bene nel 2013, quando occor­reva orga­niz­zare (e anche via Sol­fe­rino con­tri­buì all’impresa) lo «sber­leffo ai poteri costituiti».
Ora che il ser­vi­zio dei gua­sta­tori è stato garan­tito, non serve più a nulla il soste­gno al movi­mento che pren­derà «molti meno voti del 2013». A col­pire il M5S, sino a ridi­men­sio­narne le ambi­zioni, è la per­ce­zione del nudo inte­resse eco­no­mico che vieta a chi ha i conti in banca di mar­ciare verso l’ignoto. Gratta il libe­rale e vien fuori un mate­ria­li­sta vol­gare. E, pro­prio su que­ste basi molto pro­sai­che, Pane­bianco indica in maniera peren­to­ria le ragioni dell’inevitabile suc­cesso di Renzi: «Un gril­lino a palazzo Chigi sca­te­ne­rebbe il panico in tutte le piazze internazionali».
Più che a una demo­cra­zia com­pe­ti­tiva egli pensa a un sistema rigi­da­mente pro­tetto che va messo sotto osser­va­zione dai custodi dell’ordine del mer­cato mon­diale. Biso­gna scon­giu­rare che dalle fra­gili menti dei cit­ta­dini escano strane pre­fe­renze, in com­pleta vio­la­zione della dot­trina dell’utilità e dell’interesse bene inteso for­mu­lata da Ben­tham o Mill. Dalla difesa dei pre­cisi cal­coli mone­tari, visti come movente prin­ci­pale della scelta razio­nale di voto, Pane­bianco fa discen­dere la sua pro­spet­tiva poli­tica con un fer­reo auto­ma­ti­smo, e cioè il soc­corso scon­tato della destra al Pd per sal­vare i depo­siti ban­cari altri­menti violati.
Que­sta ana­lisi, che esi­bi­sce un rea­li­smo cinico in fondo è solo un ten­ta­tivo di auto ras­si­cu­ra­zione. Tra­scura peral­tro che gli inte­ressi mate­riali che il governo ha inco­rag­giato con le sue mano­vre sono quelli delle imprese, che pesano molto nella con­fe­zione delle leggi di bilan­cio ma meno impatto hanno nel con­teg­gio delle schede elet­to­rali. L’allargamento della soglia del paga­mento in con­tanti mira ad ampliare la coa­li­zione sociale gover­na­tiva coin­vol­gendo nella festa per la mitica ripresa anche set­tori del com­mer­cio, delle libere pro­fes­sioni. Ma, come in un gioco a somma zero, ciò che gua­da­gna verso il mondo delle imprese e del lavoro auto­nomo, l’esecutivo lo perde nel campo del lavoro dipen­dente pub­blico e pri­vato, delle pen­sioni, del pre­ca­riato, della disoc­cu­pa­zione, del voto di opinione.
Con pen­sioni di soprav­vi­venza, il sud abban­do­nato al declino irre­ver­si­bile, il pub­blico impiego per­se­gui­tato con acca­ni­mento tera­peu­tico, il ricatto del licen­zia­mento che pre­sto peserà sui nuovi assunti a tutele cre­scenti, l’universo poten­ziale di chi ritiene di non avere pro­prio nulla da per­dere da un atto di ribel­lione par­rebbe ster­mi­nato. E a nulla val­gono gli scon­vol­gi­menti sul piano degli averi che Pane­bianco agita allo scopo di incu­tere tre­more. La difesa dell’ordine costi­tuito sulla base dell’interesse eco­no­mico minac­ciato rischia di fare cilecca. Ser­vi­rebbe un sup­ple­mento di poli­tica.
Ed è soprat­tutto per ragioni poli­ti­che e cul­tu­rali che l’assioma del suc­cesso ren­ziano come dato acqui­sito non regge. Lo stile di governo che intende diver­tirsi con le regioni e stra­paz­zare il lavoro, l’esibizione di arro­ganza nelle riforme costi­tu­zio­nali, il ricorso a com­mis­sari e pre­fetti per gestire i ter­ri­tori sospen­dendo ovun­que la demo­cra­zia, il con­tra­sto sem­pre più palese tra il mito anti­ca­sta delle ori­gini e l’attaccamento a tutti i pri­vi­legi del potere con­qui­stato con astu­zia, creano una sem­pre più rigida oppo­si­zione tra il palazzo e la società.
Lo sce­na­rio pos­si­bile è che si ripeta la rego­la­rità della seconda repub­blica nelle forme di una nuova insor­genza popu­li­sta e che Renzi cada vit­tima del suo stesso imma­gi­na­rio anti­po­li­tico. La sua pre­di­le­zione neo­ri­na­sci­men­tale per i com­plotti, il rego­la­mento dei conti, gli agguati, cui aggiunge come maschere diver­sive le tec­ni­che del comico, del sor­riso, della fin­zione potreb­bero por­tarlo al tra­monto. Con­tro il potere gigliato che mar­cia con sim­bo­lo­gie aggres­sive, potrebbe mobi­li­tarsi una grande resi­stenza dal basso, tale da tra­vol­gere equi­li­bri che affret­tati inter­preti vor­reb­bero con­so­li­dati per un ventennio.
Se, a dispetto della demo­niz­za­zione dei cosac­chi in cam­mino, arriva a strut­tu­rarsi una pola­rità palazzo-società, che mar­cia sino a diven­tare la demar­ca­zione cru­ciale, il voto potrebbe rega­lare sor­prese. Esclusa dalla somma pro cin­que stelle pure la tota­lità dei soste­ni­tori di FI, esi­ste comun­que, tra i votanti della destra radi­cale, della Lega e del M5S un blocco di forze che parte già dalla dota­zione di un buon 45 per cento dei con­sensi. Se ad essi si aggiun­gono al bal­lot­tag­gio anche i voti pre­su­mi­bili di quanti nella sini­stra (non solo radi­cale) rifiu­tano per prin­ci­pio ogni pos­si­bi­lità di sce­gliere Renzi, non è da esclu­dere che dalle urne risuo­nerà il grido «game over», sta­volta rivolto al lea­der del Pd.
Se, come sem­bra ormai accla­rato, il Pd non mol­lerà prima del voto lo sta­ti­sta di Rignano indu­cen­dolo alla riti­rata, la sorte dello scon­tro è rischiosa. E ine­vi­ta­bile sarà il deflusso della com­pe­ti­zione lungo l’asse società-palazzo, essendo, con la bene­di­zione di De Bene­detti, feli­ce­mente stata archi­viata la pola­rità destra-sinistra. Solo un estremo atto di ribel­lione, che disar­cioni Renzi, potrebbe impe­dire ulte­riori col­lassi siste­mici. Ma il corag­gio di un sif­fatto rime­dio libe­ra­to­rio, e la luci­dità stra­te­gica nel cogliere il senso delle ten­denze, man­cano del tutto alle pal­lide com­parse che in par­la­mento dan­zano in attesa del grande crollo incom­bente. Il nuovo sog­getto della sini­stra per­ciò deve guar­dare oltre Renzi, una forza del passato.

Fonte: il manifesto 

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