La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 6 novembre 2015

La debole ripresa e la svolta che non c’è

di Roberto Romano
La Com­mis­sione Ue, incon­sa­pe­vol­mente, con­ferma la debo­lezza dell’economia euro­pea. La ripresa si intra­vede, ma rimane debole. Alcuni paesi cre­scono di più; altri sono in linea con la media del 2% per il 2016; altri con­ti­nuano a rima­nere fana­lino di coda.
L’Italia con­so­lida il suo tri­ste pri­mato e cre­sce sem­pre meno dell’area euro. La minore cre­scita dell’Italia rispetto all’Europa è di un punto per­cen­tuale di Pil nel 2015 e di 0,5 punti nel 2016. L’Italia, dall’ingresso dell’euro, ha cumu­lato un ritardo di oltre 13 punti di Pil, ovvero una minore cre­scita di quasi 200 miliardi.
Per dirla tutta, la cre­scita del Pil tra il 2003 e il 2014 è nega­tiva di 3 punti, cioè siamo più poveri rispetto al 2003, e qual­cuno si ostina a soste­nere che l’Italia non è più un pro­blema per l’Europa, ma la soluzione.
Le pre­vi­sioni eco­no­mi­che della Com­mis­sione euro­pea dicono qual­cosa di più. Il vice­pre­si­dente Dom­bro­v­skis, respon­sa­bile per l’euro e il dia­logo sociale, ha soste­nuto: «Le pre­vi­sioni eco­no­mi­che odierne indi­cano che l’economia della zona euro pro­se­gue sulla via di una cre­scita mode­rata. Que­sta cre­scita è soste­nuta in gran parte da fat­tori tem­po­ra­nei quali i bassi prezzi del petro­lio, la mag­giore debo­lezza del tasso di cam­bio dell’euro e la poli­tica mone­ta­ria acco­mo­dante con­dotta dalla Bce».
Sono due le infor­ma­zioni fon­da­men­tali. La prima è legata all’inconsistenza delle poli­ti­che euro­pee per la cre­scita della Com­mis­sione. Quel poco di agio poli­tico ed eco­no­mico arriva dalle poli­ti­che della Bce. La Com­mis­sione rimane un attore austero e tri­ste, inca­pace di pre­fi­gu­rare qual­siasi azione di poli­tica eco­no­mica. La Bce non è un cam­pione di buone poli­ti­che, ma all’interno del pro­prio man­dato, vin­co­lato da rigide norme, è riu­scita a fare quel che poteva. L’altro e non banale aspetto è legato al con­te­nuto della cre­scita: è det­tata da fat­tori tem­po­ra­nei e non ripro­du­ci­bili. Se con­si­de­riamo la bassa (nega­tiva) cre­scita dei paesi Brics e la con­tra­zione del com­mer­cio inter­na­zio­nale, pun­tare sulla domanda estera per la cre­scita eco­no­mica è, giu­stap­punto, un azzardo.
Gli appunti della Com­mis­sione diven­tano strin­genti per l’Italia. Nelle pre­vi­sioni eco­no­mi­che tro­viamo il pro­blema di strut­tura del Paese. Gli inve­sti­menti fissi per il 2015-‘16 e ‘17 sono visti in forte rialzo: rispet­ti­va­mente più 1,2%, più 4% e più 4,8%, men­tre i beni stru­men­tali cre­scono del 4,5% nel 2015, 6,5% nel 2016 e 7,3% nel 2017. Non credo sia pos­si­bile — troppo grande la dif­fe­renza dagli anni pre­ce­denti nel men­tre si è ridotta la base pro­dut­tiva del 25% -, ma il punto è un altro. Gli inve­sti­menti sono fon­da­men­tali per far ripar­tire il paese, così come la domanda interna, ma ana­liz­zando la dina­mica di import ed export si vede chia­ra­mente che l’import cre­sce più dell’export.
Se con­si­de­riamo i con­sumi pri­vati in cre­scita — più 1,4% per il 2016 — e la dina­mica delle impor­ta­zioni, è evi­dente che inve­sti­menti e domanda interna sono sod­di­sfatte da mag­giori impor­ta­zioni. In altri ter­mini, mag­giori con­sumi e inve­sti­menti non sono sino­nimo di cre­scita. Infatti, il tasso di disoc­cu­pa­zione rimane sal­da­mente al di sopra dell’11%. Se aumen­tano con­sumi e inve­sti­menti, soprat­tutto quest’ultimi, nel men­tre la disoc­cu­pa­zione si riduce dello 0,8% tra il 2016 e il 2017, vuol dire che non riu­sciamo a creare lavoro nem­meno dove si inve­ste, per la sem­plice ragione che il Paese ha perso capa­cità pro­dut­tiva pro­prio nei beni stru­men­tali. Un segnale di declino, con tutte le sue rica­dute occu­pa­zio­nali e di pro­spet­tiva eco­no­mica. In que­sto set­tore, infatti, il sala­rio, il valore aggiunto per addetto e la pro­dut­ti­vità sono più alti della pro­du­zione nei beni inter­medi e di consumo.
Le poli­ti­che di bilan­cio pub­blico non aiu­tano. Al netto dell’incomprensibile uti­lizzo della fles­si­bi­lità euro­pea sugli immi­grati — 3 miliardi di euro uti­liz­zati per ridurre le tasse alle imprese che non pro­du­cono ric­chezza quanto le imprese euro­pee -, non ci sono inve­sti­menti, ma solo rin­vii. Il vero nodo sarà la pros­sima legge di sta­bi­lità — 2017 — che dovrà non solo disin­ne­scare altri 35 miliardi di clau­sole di sal­va­guar­dia, ma non potrà più farlo aumen­tando il defi­cit. Que­sta Legge di Sta­bi­lità doveva essere di svolta. La fles­si­bi­lità è una tan­tum. Il rap­porto della Com­mis­sione sot­to­li­nea il ritardo ita­liano, pen­sate alla disputa sulla ridu­zione delle tasse tra lavoro e immo­bili, ma il governo è cieco e forse anche sordo.

Fonte: il manifesto 

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