La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 5 novembre 2015

I volti che interrogano il presente

di Niccolò Nisivoccia
È andato cer­can­doli per anni in giro per l’Europa, la sua è stata quasi un’ossessione, come lo sono sem­pre le idee forti che ven­gono da lon­tano. Cer­cava i par­ti­giani soprav­vis­suti, Danilo De Marco. Il primo lo aveva da sem­pre a por­tata di mano, nella sua Udine: era Ser­gio Cocetta, nome di bat­ta­glia Cid. De Marco lo cono­sceva da decenni, da quando lui era ancora un bam­bino e il Cid invece già un uomo, dal «volto di pie­tra roma­nica», che aveva molto da rac­con­tare e da inse­gnare, e da cui infatti De Marco molto ha imparato.
Tutto è comin­ciato da lì, nel 2004. Poi gli altri par­ti­giani, com­ples­si­va­mente più di mille, De Marco li ha tro­vati altrove, non solo in Ita­lia ma anche in Fran­cia, in Spa­gna, in Ger­ma­nia, in Ser­bia, in Gre­cia, in altri luo­ghi ancora. È andato «spi­go­lando» fra le loro esi­stenze, let­te­ral­mente rac­co­glien­done le sto­rie come si rac­col­gono le spi­ghe di fru­mento nei campi di grano dopo la mie­ti­tura.
Li ha sco­vati, li ha cono­sciuti, ha intrec­ciato con loro rela­zioni di fidu­cia sulla base di parole, sguardi e silenzi. Erano tutti già molto vec­chi, com’è natu­rale, per­ché nel 2004 erano già tra­scorsi sessant’anni dalla fine della guerra; e molti nel frat­tempo sono morti, come lo stesso Cid, pochi altri sono ancora vivi. Ma tutti soprav­vi­vono nelle foto­gra­fie che De Marco ha scat­tato dei loro volti, cin­quan­ta­cin­que delle quali ora sono espo­ste a Trie­ste fino all’8 dicem­bre (in una mostra per­so­nale inti­to­lata Par­ti­giani di un’altra Europa), nelle sale al piano terra di Palazzo Gop­ce­vich, a due passi da piazza Unità. E pare dav­vero una rap­pre­sen­ta­zione poten­tis­sima della Sto­ria come comu­nione di destini indi­vi­duali, come cora­lità: acco­stati così come sono uno di fianco all’altro, in grande for­mato (ogni foto misura 110 x 130 cm., salvo una ancora più grande), que­sti cin­quan­ta­cin­que volti in bianco e nero sem­brano appunto un coro di voci mute, ma solo nel senso che a rima­nere muto è lo spet­ta­tore che li veda per la prima volta. Una mera­vi­glia poetica.
La realtà è che i volti di De Marco ci par­lano, ci inter­ro­gano, ci scuo­tono. Come giu­sta­mente ha notato Gian Paolo Gri in uno dei testi che cor­re­dano il cata­logo (nel quale com­pa­iono anche testi dello stesso De Marco, di De Luca, di Quin­ta­valle, di De Luna, di Manea, di Cap­pello e di Cicala), non sono volti neo­rea­li­sti, ma iper­rea­li­sti: nes­suna nostal­gia, in altre parole, nes­suna volontà com­mi­se­ra­tiva o com­me­mo­ra­tiva. Non sono volti che guar­dano verso il pas­sato, bensì verso il futuro, ma sono iper­rea­li­sti anche per­ché escono quasi fisi­ca­mente dalle cor­nici che li con­ten­gono, quasi gal­leg­giando nell’aria sugli sfondi bian­chi, neri e grigi. Lon­tani, per­ché fis­sati in una tra­scen­denza che li rende eterni, ma imma­nenti al tempo stesso.
Il nostro volto, scri­veva Bor­ges in un suo rac­conto, è la somma di tutti i volti che incon­triamo vivendo; e così anche la Sto­ria, se fosse pos­si­bile raf­fi­gu­rarla, avrebbe le sem­bianze di tutti coloro che hanno con­tri­buito a costruirla. Qui non si tratta di doman­darci se e quanto il con­tri­buto della lotta par­ti­giana, in Ita­lia o in altri Paesi, sia stato neces­sa­rio o super­fluo. È una discus­sione abu­sata e ste­rile. Quel che è certo è che la lotta par­ti­giana, ovun­que, aveva con­sen­tito di recu­pe­rare dignità altri­menti smar­rite; ed è que­sta dignità che leg­giamo oggi sui volti di De Marco, nei loro occhi acquosi ma custodi della «con­sa­pe­vo­lezza di aver scelto giu­sto», di un «biso­gno di verità e libertà». È la mede­sima dignità che leg­giamo anche in altre foto del per­corso di De Marco, quali ad esem­pio quelle dei con­ta­dini mes­si­cani o dei Sem Terra brasiliani.
Certo il pre­sente che stiamo attra­ver­sando ha man­te­nuto solo in parte le pro­messe e le aspet­ta­tive per la rea­liz­za­zione delle quali que­gli uomini e quelle donne ave­vano com­bat­tuto, met­tendo a repen­ta­glio le loro stesse vite; e da que­sto punto di vista i loro volti dise­gnano non tanto la Sto­ria quale è, ma quale avrebbe potuto essere. E tut­ta­via non espri­mono un rim­pro­vero; piut­to­sto, ci indu­cono a pro­se­guire la loro opera. Ecco per­ché, oltre alla dignità, que­sti volti hanno inscritta su di sé una grande forza; ed ecco per­ché guar­dano verso il futuro. La dimen­sione esi­sten­ziale di cui dovremmo essere capaci, diceva Camus, è la dimen­sione della rivolta, che signi­fica saper opporre dei no e rinun­ciare ai pro­pri egoi­smi, quando biso­gna, in nome di una soli­da­rietà ele­vata a pra­tica quo­ti­diana. I par­ti­giani di De Marco erano e sono uomini e donne in rivolta esat­ta­mente in que­sto senso; e con­ti­nuano a trac­ciare una via, che ci invi­tano a seguire.

Fonte: il manifesto 

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