La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 6 novembre 2015

Horizon 2020, l’Europa somiglierà a Matrix

di Rachele Gonnelli
L’Europa delle ban­che è sor­pas­sata, ormai, quella futura sarà l’Europa dei droni. O meglio dei sistemi di sor­ve­glianza auto­ma­tiz­zati. Si chiama Hori­zon 2020 la trave por­tante della nuova archi­tet­tura euro­pea. Un nome pom­poso per un pro­getto molto ambi­zioso che rimo­del­lerà diritti e abi­tu­dini dei cit­ta­dini, facen­doli asso­mi­gliare ad un incubo tipo Matrix.
Per­ché dopo la moneta unica, il passo suc­ces­sivo che è stato deciso dalla tec­no­cra­zia di Bru­xel­les per arri­vare a una reale inte­gra­zione euro­pea riguarda il set­tore della sicu­rezza. A par­tire dalle fron­tiere per arri­vare ai con­trolli delle con­ver­sa­zioni tele­fo­ni­che e ai fil­traggi delle atti­vità sui social media. Tutto in un’ottica di pre­ven­zione dei rischi: dalle cata­strofi natu­rali al ter­ro­ri­smo, dal cyber­crime alla pre­ven­zione di som­mosse e crisi sociali ai traf­fici di droga, pas­sando per l’integrazione degli inter­venti euro­pei in caso di inter­ru­zioni tem­po­rea­nee di ser­vizi e approv­vi­gio­na­menti idrici e ener­ge­tici in un sin­golo paese o in una zona dell’Europa. Tutto ruota però attorno ai grandi movi­menti di esseri umani e al con­trollo, satel­li­tare e non, delle fron­tiere esterne e interne all’Unione.
Hori­zon 2020 è dotato di un fondo da 77 miliardi di euro ma que­sta cifra, pur nella sua enor­mità, è solo una parte dell’investimento che le isti­tu­zioni euro­pee hanno fatto e che ser­virà a cata­liz­zare su que­sto campo ricerca scien­ti­fica avan­zata, inno­va­zione indu­striale, pro­du­zione di sistemi da espor­tare all’interno del bacino d’azione, l’area del Medi­ter­ra­neo, e fuori, oltre a con­di­zio­nare l’impiego delle risorse dei sin­goli Stati.
Prima di Hori­zon 2020 infatti ci sono stati sette «pro­grammi qua­dro»: così sono stati defi­niti i piani plu­rien­nali di svi­luppo di un pro­gramma di archi­tet­tura sociale ora inti­to­lato: «Società sicure: tute­lare la libertà e la sicu­rezza dell’Europa e dei suoi cittadini».
Il piano Società sicure, che è un po’ la filo­so­fia di tutto l’impianto, è stato dif­fuso pro­prio ieri dalla piat­ta­forma di data-journalism Sta­teWatch, che porta avanti da anni l’eredità di Sno­w­den pub­bli­cando rap­porti della Com­mis­sione euro­pea, con tanto di bud­get e rimandi ai piani spe­ci­fici su ogni sin­golo aspetto del pro­getto com­ples­sivo, pro­getti dai nomi poe­tici — Brid­ges, G-Sextant, G-Mosaic, Sea­Billa– cofi­nan­ziati dalle grandi agen­zie euro­pee — da Fron­tex all’Agenzia spa­ziale euro­pea, l’Esa — e dalle cor­po­ra­tion industrial-militari come Fin­mec­ca­nica, Tha­les, Bae system e molte altre, ma anche da uni­ver­sità e cen­tri di ricerca in Ita­lia e negli altri 27 Stati mem­bri, pro­getti ai quali spesso col­la­bora come part­ner anche la Nato. E non solo.
Nell’ambito del pro­getto Per­seus, atti­vato nel 2011 e appena ter­mi­nato (32 part­ner tra cui la Nato e 13 paesi tra cui l’Italia, costo totale 42 milioni di euro di cui 27 a carico della Ue), ser­vito come per tra­ghet­tare il know-how acqui­sito nel set­timo Piano Qua­dro nella nuova cor­nice di Hori­zon 2020, si pre­vede anche la rea­liz­za­zione di un aliante subac­queo senza equi­pag­gio, un drone marino dotato di idro­fono, cioè di un sistema acu­stico com­pu­te­riz­zato per cap­tare gli impulsi sonori da varie sor­genti e deco­di­fi­care i segnali. Il drone marino attra­verso appo­siti algo­ritmi sarebbe in grado di clas­si­fi­care i natanti, la loro gran­dezza e il loro carico.
L’Ue ha recen­te­mente stan­ziato 24 milioni di euro per la ricerca di nuovi pro­to­tipi di droni «made in Europe», all’interno del «Secu­rity research pro­gramme», un pro­gramma da 1,7 miliardi di euro. Oltre ai droni ci sono radar, moto­ve­dette, nuovi aero­mo­bili e data-system in grado di rea­liz­zare model­lini in 3D o di fil­trare enormi quan­tità di dati da con­ver­sa­zioni tele­fo­ni­che di dispo­si­tivi fissi e mobili, tablet e smart­phone. C’è anche un pro­getto di ricerca per valu­tare i pos­si­bili rischi di per­dita della pri­vacy (3 milioni di euro). Ma è dieci volte più ricco il bud­get del bien­nio 2015–2016 per stu­diare un metodo di scree­ning a distanza del com­por­ta­mento deviante, «non con­forme» in situa­zioni di calca, una sorta di pre­fil­trag­gio che limiti l’utilizzo di per­so­nale di frontiera.
Il pro­getto dovrà stu­diare anche il qua­dro giu­ri­dico dell’implementazione di un simile sistema e gli even­tuali rischi sociali. Si legge espres­sa­mente che «si tratta anche di valu­tare l’accettabilità da parte della società di una per­dita par­ziale della pri­vacy oltre ai rischi di discri­mi­na­zione». Ne fa parte il pro­getto Tass, Total Air­port Secu­rity, gui­dato dalla società israe­liana Verint System, con part­ner come la Bae System bri­tan­nica per l’integrazione dei sistemi di con­trollo aeroportuali.
Nel sogno dei tec­no­crati — Società sicure — si descrive un’Europa dove un viag­gia­tore, a seconda dei para­me­tri bio­me­trici rile­vati a distanza e dello scree­ning infor­ma­tico sui suoi rap­porti, sarà giu­di­cato «con­forme» e quindi pas­serà veloce, «senza ral­len­ta­menti» ai var­chi di fron­tiera. E altri — è facile imma­gi­nare chi — invece saranno sot­to­po­sti a con­trolli e respingimenti.

Fonte: il manifesto 

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