La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 7 novembre 2015

Europa: ce la facciamo?

di Marco Bascetta e Sandro Mezzadra
È quan­to­meno dal 2010, quando la crisi glo­bale ha col­pito vio­len­te­mente l’Europa nelle forme di una «crisi dei debiti sovrani», che il pro­cesso di inte­gra­zione nel vec­chio con­ti­nente ha assunto una diversa tem­po­ra­lità e una diversa dire­zione. L’imposizione alla Gre­cia (ma anche ad altri Paesi, tra cui la Spa­gna, il Por­to­gallo, l’Irlanda e per molti versi anche l’Italia) di dure poli­ti­che di auste­rità è sem­brata segnare l’avvio di un’accelerazione sul ter­reno dell’ortodossia «ordo­li­be­rale». Una nuova «Europa tede­sca» comin­ciava a deli­nearsi, con un rial­li­nea­mento delle stesse isti­tu­zioni comu­ni­ta­rie attorno alla cen­tra­lità della Banca Cen­trale e un ulte­riore svuo­ta­mento delle istanze «rap­pre­sen­ta­tive», a tutto van­tag­gio di quelle esecutive.
Il «Fiscal com­pact» e il «Mec­ca­ni­smo Euro­peo di Sta­bi­lità» avreb­bero rati­fi­cato e appro­fon­dito que­ste ten­denze, ponendo la sta­bi­lità mone­ta­ria, la disci­plina fiscale e i pro­grammi di auste­rità come vere e pro­prie norme costi­tu­zio­nali – tanto a livello euro­peo quanto all’interno dei sin­goli Stati mem­bri. Che die­tro que­ste norme agis­sero bru­tali rap­porti di forza e una buona dose di vio­lenza lo si è visto nella prima metà di quest’anno, nello scon­tro che ha oppo­sto il governo greco e la «troika dei cre­di­tori». Una nuova figura dell’Europa sem­brava emer­gere, certo ricol­le­gan­dosi a ten­denze ben pre­senti già all’origine del pro­cesso di inte­gra­zione ma inter­pre­tan­dole selet­ti­va­mente e subor­di­nando a un impianto «ordo­li­be­rale» aggior­nato a fronte dei pro­cessi con­tem­po­ra­nei di finan­zia­riz­za­zione l’intera costi­tu­zione mate­riale dell’Unione Euro­pea. All’«integrazione attra­verso il diritto», che fin dagli anni Ses­santa aveva inter­pre­tato il dive­nire comu­ni­ta­rio, si sosti­tuiva l’integrazione attra­verso la vio­lenza della moneta.
Negli stessi giorni di luglio in cui, dopo il refe­ren­dum, il governo greco veniva pie­gato a que­sta nuova realtà costi­tu­zio­nale dell’Europa, tut­ta­via, comin­ciava a pro­fi­larsi un’altra crisi, subito defi­nita «crisi dei migranti» o «dei rifu­giati». E oggi vediamo per la prima volta le imma­gini di un con­fine interno allo «spa­zio Schen­gen», quello tra Austria e Slo­ve­nia, for­ti­fi­cato. Altri «con­fini interni» erano stati chiusi più o meno selet­ti­va­mente nel corso dell’estate, quello di Ven­ti­mi­glia ma anche quelli tra Austria e Ger­ma­nia e tra Ger­ma­nia e Dani­marca per esem­pio. Ma l’immagine di un con­fine interno for­ti­fi­cato rimanda imme­dia­ta­mente ad altre imma­gini, alla mol­ti­pli­ca­zione di muri che ha scan­dito i tempi della “crisi dei migranti” ai con­fini dell’Europa: al muro tra Unghe­ria e Ser­bia, o a quello tra Mace­do­nia e Gre­cia. E que­ste imma­gini mostrano in fondo fino a che punto la «crisi dei migranti» sia una crisi dell’Europa, delle sue isti­tu­zioni e del suo pro­getto di inte­gra­zione ma anche della sua costru­zione di spa­zia­lità poli­tica, giu­ri­dica ed eco­no­mica. La chiu­sura delle fron­tiere non può che con­fi­gu­rarsi come una rea­zione a catena.
Que­sta crisi è stata for­zata e rive­lata dal movi­mento di pro­fu­ghi e migranti nel corso degli ultimi mesi. Prima imma­gini di nau­fragi, corpi senza vita di donne, uomini e bam­bini a svuo­tare di ogni legit­ti­mità le poli­ti­che euro­pee di con­trollo dei con­fini. Poi, attorno a ognuno di que­sti con­fini, la forza incon­te­ni­bile, refrat­ta­ria a ogni prin­ci­pio d’ordine, di un movi­mento che ha tra­volto grate e stec­cati, fili spi­nati e muri, ripor­tando con vio­lenza all’interno dello spa­zio euro­peo quella poli­tica e quella sto­ria che il governo finan­zia­rio e mone­ta­rio della crisi aveva voluto negare in que­sti anni. La mar­cia del 4 set­tem­bre di migliaia di pro­fu­ghi e migranti, da Buda­pest verso Vienna, ha avuto un for­mi­da­bile signi­fi­cato sim­bo­lico da que­sto punto di vista, di vera e pro­pria sfida all’Europa – alle sue isti­tu­zioni, alla sua auto­rap­pre­sen­ta­zione e alle sue genti.
Angela Mer­kel, occorre rico­no­scerlo, lo ha in qual­che modo com­preso. Non si tratta qui di ana­liz­zare cri­ti­ca­mente la con­ca­te­na­zione di eventi e deci­sioni poli­ti­che che sono seguiti all’apertura tede­sca ai pro­fu­ghi siriani all’inizio di set­tem­bre: modi­fica restrit­tiva del diritto d’asilo, intro­du­zione di cri­teri selet­tivi nell’organizzazione dell’«accoglienza», ten­ta­tivo di ren­dere il flusso dei migranti in qual­che modo van­tag­gioso per un mer­cato del lavoro e per un’economia tede­sca messa a dura prova dagli scan­dali che hanno coin­volto Volk­swa­gen e Deu­tsche Bank. Il punto è piut­to­sto inter­ro­garsi sul signi­fi­cato di quelle parole della Can­cel­liera già dive­nute famose (e oggetto di lazzi e iro­nie): Wir schaf­fen das, «ce la fac­ciamo». I pre­sup­po­sti di que­sta affer­ma­zione ci sem­bra pos­sano essere così rias­sunti: dopo il supe­ra­mento della crisi greca, affer­mata la guida tede­sca sul ter­reno eco­no­mico e finan­zia­rio in Europa, la «crisi dei migranti» costi­tui­sce un’occasione per legit­ti­mare que­sta guida dal punto di vista poli­tico e per­fino morale senza peral­tro scal­firne l’«esemplare» soli­dità economica.
Non è neces­sa­rio imma­gi­nare chissà quale cini­smo die­tro le parole di Mer­kel. Pos­siamo anzi pen­sare che non ve ne fosse trac­cia, che la Can­cel­liera e il suo entou­rage fos­sero real­mente con­vinti che, come in molti ave­vano ripe­tuto nei mesi scorsi, la sta­bi­lità mone­ta­ria e il rigore finan­zia­rio apris­sero effet­ti­va­mente oppor­tu­nità poli­ti­che per avan­zare sul ter­reno dell’integrazione euro­pea. Solo che quanto è acca­duto negli ultimi due mesi dimo­stra che non è vero. A pochi mesi dalla prov­vi­so­ria con­clu­sione della crisi greca, è la stessa geo­gra­fia dell’Unione Euro­pea a essere esplosa, a mostrare una fram­men­ta­zione che sem­pre più rapi­da­mente si avvi­cina alla soglia di una radi­cale ingo­ver­na­bi­lità. L’assetto imma­gi­nato da Schaeu­ble si infrange sulla sua stessa uni­la­te­ra­lità logica.
Le ele­zioni polac­che del 25 otto­bre, con l’affermazione della destra nazio­na­li­sta, coro­nano un pro­cesso che, a par­tire dal rilan­cio del «gruppo di Vise­grad» (Polo­nia, Unghe­ria, Repub­blica Ceca e Slo­vac­chia) con­tro ogni ipo­tesi di ripar­ti­zione per quote di pro­fu­ghi e migranti, ha por­tato al rie­mer­gere di una vio­lenta spac­ca­tura tra Est e Ovest nel cuore dell’Unione. Angela Mer­kel può ben insi­stere sul ter­reno euro­peo, fino a paven­tare (salvo rapida retro­mar­cia) san­zioni finan­zia­rie e imporre deci­sioni a mag­gio­ranza in con­sessi in cui ha sem­pre pre­valso la regola dell’unanimità: solo che le mino­ranze non si pie­gano alla mag­gio­ranza. Può andare in visita a Istan­bul, ten­tando di coin­vol­gere Erdo­gan nella gestione della crisi euro­pea dei migranti, fino a pro­spet­tare una ria­per­tura dei nego­ziati per l’ingresso della Tur­chia nella UE. Ma, tanto più dopo l’esito delle ele­zioni tur­che di dome­nica scorsa, que­sto signi­fica legit­ti­mare le stra­te­gie interne e «regio­nali» del nuovo Sul­tano, aumen­tando gli attriti con altri Stati mem­bri e com­pli­cando ulte­rior­mente gli sce­nari già cata­stro­fici della guerra siriana.
La divi­sione tra Est e Ovest si sovrap­pone in ogni caso a quella tra Nord e Sud, dive­nuta dram­ma­tica negli anni della crisi eco­no­mica, con esiti impre­ve­di­bili e poten­zial­mente cri­tici. Attorno a Calais, d’altra parte, il rap­porto tra l’Unione Euro­pea e la Gran Bre­ta­gna si è cari­cato di ulte­riori ten­sioni, tanto più signi­fi­ca­tive quanto più si avvi­cina il refe­ren­dum pro­messo da Came­ron. La cre­scita di vec­chie e nuove destre in molti Paesi euro­pei con­tri­bui­sce ulte­rior­mente a que­sti pro­cessi di fram­men­ta­zione, pro­muo­vendo pro­cessi di ri-nazionalizzazione della poli­tica che solo uno sprov­ve­duto o un fur­fante può pen­sare di caval­care da sini­stra: ancora una volta pro­fu­ghi migranti hanno costretto vec­chie e nuove destre a rive­larsi per quello che sono. Que­sto insieme di dina­mi­che ha delle rica­dute pre­cise all’interno della stessa Ger­ma­nia, dove i mar­gini di mano­vra di Mer­kel sono com­pressi non sol­tanto dalla mol­ti­pli­ca­zione degli attac­chi neo-nazisti con­tro pro­fu­ghi e rifu­giati e dalla cre­scita di forze come Pegida e Alter­na­tive für Deu­tschland ma anche dallo scon­tro ormai aperto con la CSU e con il gover­na­tore della Baviera Horst See­ho­fer. La poli­tica in Europa lavora a pieno ritmo con­tro L’Europa politica.
Ce la fac­ciamo, dun­que, signora Mer­kel? La Can­cel­liera con­ti­nua a gio­care la carta euro­pea anche per risol­vere i pro­blemi poli­tici interni (e per recu­pe­rare un con­senso che per la prima volta si sta ero­dendo, in pre­senza, peral­tro, dell’eclissi di una social­de­mo­cra­zia afa­sica e impo­tente). Ma è pro­prio sul ter­reno euro­peo che si trova ormai di fronte una crisi che ria­pre la domanda di fondo sulla dire­zione del pro­cesso di inte­gra­zione met­ten­done in discus­sione le forme assunte negli ultimi anni. Una “crisi esi­sten­ziale”, ripe­tono ormai anche pacati osser­va­tori delle vicende europee.
Den­tro que­sto qua­dro di desta­bi­liz­za­zione e ogget­tiva «aper­tura», occorre inter­ro­garsi su quelle che sono le impli­ca­zioni, i rischi e le oppor­tu­nità per la «nostra parte», per chi osti­na­ta­mente con­ti­nua a pen­sare che sia solo den­tro lo spa­zio euro­peo che una nuova «forza inven­zione», uno scarto dalle «com­pa­ti­bi­lità», può deter­mi­nare le con­di­zioni per una poli­tica radi­cale della libertà e dell’uguaglianza. Certo, la crisi euro­pea è oggi ter­reno di azione essen­zial­mente per nuove e vec­chie destre. Ma la loro cre­scita è accom­pa­gnata da una cre­scente oppo­si­zione, da una pola­riz­za­zione sociale e dell’opinione visi­bile anche in un Paese come l’Ungheria, dove negli scorsi mesi il movi­mento di soli­da­rietà con pro­fu­ghi e migranti (e dun­que con­tro Orban) è stato ben più signi­fi­ca­tivo di quanto sia apparso nelle cro­na­che main­stream. In Austria, dove quel movi­mento è stato ancora più forte, Vienna non è stata con­qui­stata dall’Fpoe di Heinz-Christian Stra­che, men­tre in Ger­ma­nia qual­siasi mani­fe­sta­zione di Pegida o Alter­na­tive für Deu­tschland deve misu­rarsi con ini­zia­tive mol­ti­tu­di­na­rie che si col­lo­cano sul ter­reno dell’antifascismo e dell’antirazzismo: su quel mede­simo ter­reno su cui agi­scono quo­ti­dia­na­mente nella soli­da­rietà con pro­fu­ghi e migranti grandi reti civi­che e di movimento.
La cosid­detta «crisi dei migranti», in realtà feno­meno iscritto nella «lunga durata», ha rive­lato una ben più pro­fonda «crisi euro­pea»: le com­pa­ti­bi­lità sta­bi­lite in que­sti anni sul ter­reno mone­ta­rio e finan­zia­rio sono strut­tu­ral­mente messe sotto asse­dio da que­sta crisi. La pola­riz­za­zione sociale e cul­tu­rale, con­tro il ricom­pat­ta­mento degli spazi nazio­nali, è una con­di­zione essen­ziale per comin­ciare a imma­gi­nare una poli­tica radi­cale euro­pea che sia in grado di rove­sciare la crisi nell’apertura di un nuovo campo di pos­si­bi­lità poli­ti­che. Altre con­di­zioni sono date e potranno sor­gere sul ter­reno isti­tu­zio­nale ed elet­to­rale, ad esem­pio in Por­to­gallo, in Spa­gna, in Irlanda. Ma quel che è indi­spen­sa­bile è l’irruzione sulla scena di movi­menti e lotte capaci di riem­pire di con­te­nuti una “grande coa­li­zione” euro­pea, di orien­tare l’azione poli­tica e di far matu­rare un pro­gramma. Più mode­sti di Angela Mer­kel, poniamo da subito in forma inter­ro­ga­tiva le sue parole: ce la facciamo?

Fonte: il manifesto 

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