La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 5 novembre 2015

La solidarietà al tempo della crisi

di Alessandra Quarta e Michele Spanò
La crisi economico-finanziaria esplosa nel 2008 ha avuto devastanti conseguenze negli Stati europei e, tra questi, in Italia. L’aumento della disoccupazione, indotto dalla chiusura di molte imprese e dall’assenza di politiche industriali capaci di generare nuovi posti di lavoro, ha colpito larghe fasce della popolazione e in particolare quella giovanile (il cui tasso di disoccupazione ha oggi superato il 40%). L’arresto della crescita economica ha contribuito a diffondere la povertà relativa e quella assoluta, aggravando le condizioni di vita di molte famiglie, soprattutto nel sud dell’Italia, dove il sistema di welfare e gli investimenti in spesa sociale versavano già in condizioni critiche. Negli ultimi anni, sono stati principalmente i Comuni a finanziare la spesa sociale, con un impegno diverso sul territorio nazionale e un conseguente effetto negativo in termini di diseguaglianza; le sovvenzioni statali, al contrario, sono diminuite drasticamente, fino ad azzerarsi in settori particolarmente delicati (ad esempio il Fondo Nazionale per le persone non autosufficienti e il Fondo Nazionale Affitti).

L’attuale situazione economica induce processi di esclusione sociale in grado di compromettere il diritto alla salute, il diritto alla casa e quello al lavoro, rendendo di fatto evanescenti le garanzie giuridiche esistenti. All’interno di questo scenario, è tuttavia possibile isolare una serie, non esigua, di “pratiche di resistenza” alla crisi. Nel corso degli ultimi anni, infatti, le incertezze e i problemi determinati dalla crisi economica sono stati molto spesso affrontati attraverso processi collaborativi e di condivisione, cooperativi e solidali, che meritano di essere analizzati con sguardo critico e con la consapevolezza che essi, negativamente e specularmente, altro non segnalano se non, da un lato, le mancanze del sistema pubblico e, dall’altro, le disfunzioni del mercato.

Gruppi informali e spontanei di soggetti hanno cominciato a dar vita a nuove pratiche di solidarietà o a sperimentare l’autorganizzazione per rispondere a bisogni fondamentali individuali o collettivi. La reviviscenza di esperienze comunitarie ne attesta una nuova centralità: la cooperazione diviene infatti la premessa e l’operatore di una diversa distribuzione di costi e benefici. In Europa, la Grecia – dove l’applicazione delle misure di austerità come antidoto alla crisi economica ha finito per produrre una forma feroce di eterogenesi dei fini, determinando un ingente impoverimento della popolazione e l’impossibilità da parte dello Stato di garantire il benessere dei cittadini – ha conosciuto esperienze di questo tipo: il collasso del servizio sanitario nazionale, ad esempio, è stato affrontato attraverso risposte costruite “dal basso”, con l’apertura di ambulatori sociali e farmacie solidali, diventate importanti pratiche di resistenza alla crisi.

Anche in Italia è ormai possibile fornire una mappa dettagliata di pratiche tra loro molto diverse che assolvono obiettivi altrettanto differenziati, ma che presentano tuttavia tratti comuni: reagiscono alla crisi economica attraverso soluzioni alternative tanto al sistema pubblico che al mercato, attivano meccanismi di solidarietà e di cooperazione, sono disciplinate da statuti e consuetudini. Dal punto di vista del pensiero economico, queste esperienze, riconducibili alla cd. sharing economy, stimolano una riflessione generale sull’attuale modello economico neoliberale, basato su una forma radicale di individualismo e sulla convinzione che il meccanismo concorrenziale sia l’unico capace di soddisfare bisogni differenti e in competizione tra loro.

Alcune di queste pratiche nascono come risposta diretta a una situazione di bisogno o di assenza determinata dalla crisi: si pensi, ad esempio, al cohousing, che consente di affrontare l’esigenza abitativa in una dimensione comunitaria; al coworking, che rappresenta una nuova forma del lavoro; o agli strumenti di finanza etica, che consentono di finanziare attività, progetti e imprese sociali che, altrimenti, non riuscirebbero ad accedere agli ordinari canali di credito. Queste esperienze, pur evidenziando una disfunzione nelle politiche pubbliche, si dimostrano alternative anche al sistema privato e in particolare al mercato, opponendo alla concorrenza la cooperazione. In altri casi, l’autorganizzazione finisce per sostituire il Welfare State, introducendo nel nostro ordinamento soluzioni dette di neo-mutualismo, che appaiono modellate su quelle adottate all’inizio del ‘900. La creazione di ambulatori sociali e di sportelli che offrono servizi di cd. bassa soglia (indirizzati cioè a persone che versino in una situazione economica di estrema difficoltà senza alcuna condizionamento d’accesso, es. costo della prestazione, titolarità di documenti di identità e di riconoscimento) si inserisce in questa stessa cornice e consente di interrogarsi su quanto questo fenomeno possa costituire una riserva di creatività sociale e istituzionale destinata a durare e a “supplire” a uno Stato che non finisce di “ritirarsi” dal sociale.

A cavallo tra queste due “famiglie” di pratiche, si colloca il fenomeno del crowdfunding: la raccolta di finanziamento presso il pubblico, attraverso piattaforme digitali, ha conosciuto un’ampia diffusione negli ultimi anni e rappresenta un’alternativa all’assenza di risorse pubbliche, ma anche un modo di finanziare progetti imprenditoriali, sociali e culturali capaci di influenzare “emotivamente” il donatore.
Questo frammentato scenario – che di certo non esaurisce l’ampio numero di pratiche emerse in risposta alla crisi, ma di cui il convegno vuol essere un primo tentativo di campionatura e mappatura – racconta realtà che sempre più rappresentano i nuovi stili di vita delle italiane e degli italiani.

Il convegno si propone di offrire una presentazione e un’analisi di alcune di quelle pratiche che possono essere ricondotte al quadro di senso sopra descritto, raccogliendo sensibilità e pratiche diffuse e facendole dialogare con giuristi, economisti, filosofi, politologi e antropologi. Per ciascuna pratica oggetto di approfondimento, sarà scelto un caso specifico e un soggetto promotore che lo possa raccontare, al fine di introdurre l’argomento ed evidenziare alcuni nodi della discussione. L’obiettivo è di colmare la lontananza che spesso si registra tra pratiche sociali e scienze umane, costruendo un momento di confronto che consenta di verificare la duttilità di alcune categorie, la necessità di nuove elaborazioni teoriche e l’eventuale capacità di rispondere a necessità e istanze sociali sempre più urgenti.

Fonte: Alfabeta2

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