La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 6 novembre 2015

Il diritto alla cultura

di Andrea Ranieri
Il decreto sulle misure urgenti per la fruizione del patrimonio storico e artistico della nazione è stato convertito in legge. Il decreto fu emanato dopo che un'Assemblea sindacale, del resto regolarmente convocata con largo preavviso, aveva reso impossibile per alcune ore l'accesso dei turisti al Colosseo. Il governo, sfruttando l'onda di una ben orchestrata campagna mediatica, decide con la legge di considerare, per quel che riguarda i diritti sindacali, i beni culturali come attività che "rientrano tra i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117 secondo comma lettera m della Costituzione". Il tutto senza nessun aggravio di spesa per le finanze pubbliche. Ma l'articolo 117 della Costituzione al punto indicato dal decreto prevede che i livelli essenziali delle prestazioni vadano ben oltre la fruizione dei beni per i turisti, ma fa riferimento ai "diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale". Per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro condizione economica e sociale.
Il governo non ha evidentemente pensato a questo, che richiederebbe l'apertura di un immediato tavolo di confronto con il sistema degli enti locali per definire le prestazioni essenziali in questione atte a garantire il diritto alla cultura dei cittadini, equiparato dalla legge al diritto alla salute e all'istruzione. Gli assessori alla cultura delle Regioni e dei Comuni hanno sperimentato in questi anni come la assenza della cultura fra i beni essenziali di cui va garantita la fruizione abbia pesato sulle loro possibilità di spesa, in presenza dei tagli ai bilanci degli enti locali delle ultime finanziarie.
Ne hanno pagato il prezzo servizi fondamentali per garantire l'accesso di tutti alla cultura come le biblioteche comunali, molte delle quali sono state costrette a ridurre il personale e i tempi di apertura. Come hanno dovuto, i Comuni, ridurre le azioni positive per fare accedere ai beni e alle attività culturali le fasce di popolazione in difficoltà economica e sociale. E quelle rivolte agli anziani ed alle scuole, per avvicinare i giovani alla grande musica, all'arte, al teatro. E quelle per la tenuta e lo sviluppo del tessuto culturale del territorio che e' elemento essenziale dell' identità e della coesione sociale delle città. E se i livelli essenziali di prestazione che devono essere garantiti ai cittadini non vengono determinati il rischio di una ulteriore contrazione della spesa sarà ancora più forte vista la perdita di autonomia e di flessibilità della fiscalità locale dopo l'abolizione della TASI sulla prima casa, sostituita da trasferimenti dello Stato. Se vogliamo evitarlo occorre che all'interno dei trasferimenti sia inserita anche la quantità di risorse necessarie a definire e garantire i livelli essenziali di prestazione di cui parla la legge. In un Paese in cui il sistema degli enti locali ha investito in percentuale ai propri bilanci ben più dello Stato, non basta un aumento del la spesa del centro per affermare che c'e' stata una svolta significativa del sistema Paese sul terreno della cultura.
Infine se la cultura è considerata bene pubblico essenziale come la sanità le spese dei cittadini per accedere al bene cultura, al cinema, al teatro, ai musei, a un corso di una Università popolare, dovrebbero avere lo stesso trattamento fiscale e lo stesso sistema di detrazioni delle spese sanitarie.
Tutto questo ha un costo, mentre la legge approvata non prevede costi. Ma proprio questo rivela i limiti e la cattiva fede che la anima. Affermare la cultura come bene essenziale per poli limitarsi a servirsene per regolare il diritto di sciopero senza porsi il problema di come garantirne il diritto all'accesso a tutti i cittadini è davvero poco dignitoso e poco costituzionale.

Fonte: Huffington post - blog dell'Autore 

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