La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 6 novembre 2015

Prove di "grande sinistra": la «Torino in comune» di Airaudo

di Marco Vittone
A chi nel 2011 osava dire che il pros­simo sin­daco di Torino avrebbe dato l’addio alla Fiat veniva dato del «bar­bu­tun», ver­sione pie­mon­tese, per l’esattezza chiam­pa­ri­niana, del «gufo» ren­ziano. Nel 2015 il Lin­gotto si chiama Fca, guarda Oltreo­ceano e ha sede fuori con­fine; quel che rimane di Mira­fiori sconta, invece, lun­ghi periodi di cassa inte­gra­zione e vive con incer­tezza il pro­prio futuro. Com’è cam­biata la città in que­sti anni di crisi? Si è impo­ve­rita, ha perso l’ebbrezza, forse un po’ effi­mera, dell’economicamente inso­ste­ni­bile Olim­piade 2006, ed è diven­tata il capo­luogo più povero del Nord Italia.
Piero Fas­sino, eletto quatto anni e mezzo fa con il 56,6 per cento, si appre­sta a com­ple­tare il man­dato. Non ha ancora sciolto il nodo sulla sua rican­di­da­tura, ma alla fine lo farà: le pres­sioni romane (Mat­teo Renzi) sono troppo insi­stenti, sep­pure l’ultimo segre­ta­rio dei Ds pre­fe­ri­rebbe fare altro. Sarà il can­di­dato del Pd e dei Mode­rati, pic­cola e potente for­ma­zione gui­data da Gia­como Portas.
La cam­pa­gna elet­to­rale è par­tita. E l’inizio di novem­bre pare già deci­sivo. Prima, l’assemblea pro­vin­ciale di Sel che ha san­cito la fine delle coa­li­zioni di cen­tro­si­ni­stra, poi l’investitura di Gior­gio Airaudo, ormai quasi uffi­ciale pros­simo can­di­dato della sinistra.
Torino diventa così la prima città dove si con­suma lo strappo nel cen­tro­si­ni­stra, anti­ci­pando solo di un passo la stra­te­gia nazio­nale di unità nella «cosa rossa». Se sarà un labo­ra­to­rio lo capi­remo a breve. Il primo segnale lo si avrà il 14 novem­bre, il giorno scelto da Airaudo per incon­trare coloro che in que­ste set­ti­mane hanno sol­le­ci­tato una sua can­di­da­tura. Non sarà un appun­ta­mento di ceto poli­tico, l’iniziativa è rivolta «a tutti quelli che vogliono costruire una poli­tica che risolva le dise­gua­glianze e vada oltre al non si può fare». La sua lista si chia­merò «Torino in comune». Si augura un ini­zio par­te­ci­pato. Que­sta mat­tina, l’attuale depu­tato indi­pen­dente di Sel ed ex segre­ta­rio nazio­nale della Fiom, sve­lerà il luogo — si voci­fera un’ex fab­brica, natu­ral­mente -– e i carat­teri dell’incontro: «Sarà qual­cosa di innovativo».
Il ’non si può fare’ è stato, secondo Airaudo, uno dei motivi del fal­li­mento di Fas­sino: «Torino è lace­rata, la for­bice tra le due città, quella bene­stante e quella povera, si è allar­gata. Fas­sino ha fal­lito per­ché come molti altri sin­daci, lui con mag­gior respon­sa­bi­lità visto che è pre­si­dente dell’Anci, ha subito le poli­ti­che del governo cen­trale di Renzi e Alfano, senza tro­vare solu­zioni alter­na­tive. Il cen­tro­si­ni­stra ha esau­rito la sua pro­po­sta, è rima­sto solo il cen­tro». E se la sini­stra cerca il suo per­corso auto­nomo, il Movi­mento 5 stelle can­di­derà l’apprezzata e bat­ta­gliera con­si­gliera comu­nale Chiara Appen­dino, la più temuta avver­sa­ria dell’attuale sindaco.
È pos­si­bile un rap­porto tra quest’ultima e l’area di Airaudo? «Solo se escono dall’autosufficienza», dice il par­la­men­tare. Il pro­getto a sini­stra è pronto a par­tire. Il Prc è d’accordo, in Sel invece nono­stante la mag­gio­ranza del par­tito lo sia, si notano due impor­tanti defe­zioni: l’assessora in comune Maria Gra­zia Pel­le­rino e quella in Regione Monica Cerutti, con­tra­rie allo strappo.
Marco Gri­maldi, capo­gruppo in Regione di Sel, approva invece il no all’alleanza con il Pd: «Pur­troppo il cen­tro­si­ni­stra è già morto a livello nazio­nale gra­zie alle pic­cole e grandi intese con i “diver­sa­mente ber­lu­sco­niani” e alla muta­zione gene­tica del Pd. È impos­si­bile rico­struire un’alleanza con un Pd a tra­zione ren­ziana, che riceve e acco­glie il soste­gno da Ver­dini. Un Pd che vuole la nostra scom­parsa o la nostra sus­sun­zione». La cri­tica di Gri­maldi alla giunta Fas­sino parte dalla «nega­zione che la nostra città sia in estrema dif­fi­coltà». Soprat­tutto «sono le rispo­ste alla crisi che non ci con­vin­cono, basti vedere l’assoluta povertà di dibat­tito sulle voca­zioni pro­dut­tive e sui numeri degli inoc­cu­pati e dei sot­toc­cu­pati». Gri­maldi con­clude: «Troppe case senza fami­glie, troppe fami­glie senza casa non è solo uno slo­gan. Torino è la capi­tale degli sfratti e la sini­stra, invece di scan­da­liz­zarsi per le occu­pa­zioni, dovrebbe porsi il pro­blema di rimuo­vere que­sta ingiustizia».

Fonte: il manifesto 

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