di Roma non si vende – Decide Roma
A pochi giorni dal ballottaggio «Decide Roma» torna a prendere parola. Lo facciamo con il metodo e con i contenuti di un percorso collettivo che si sta riappropriando, dal basso, della Politica. È infatti il potere stesso di decidere che va rimesso nelle mani dei cittadini, intrappolato ormai da troppo tempo negli schemi della rappresentanza politica, che prevedono un rapporto “fiduciario”. La fiducia dei cittadini nella rappresentanza è crollata già da un pezzo, e solo la partecipazione diretta e la lotta potranno favorire il cambiamento. Partecipazione, nel suo senso originario, è “prendere parte” alle decisioni che segnano la vita di una comunità. Per questa ragione la partecipazione non può esaurirsi all’interno dell’urna elettorale.
Uno dei temi che ci sta a cuore è quello del patrimonio pubblico, del suo uso e della sua gestione, il cui significato estensivo include, oltre agli spazi, anche la pubblica utilità dei servizi, oggi gravemente inficiati dai processi di precarizzazione del lavoro e della vita, oltre che dalla loro privatizzazione e vendita.
Ne abbiamo discusso, pubblicamente, con Virginia Raggi, e con altri candidati, al Nuovo Cinema Palazzo, in un confronto aperto e schietto, a cui Roberto Giachetti ha scelto di non prendere parte, nonostante le ripetute sollecitazioni. In quell’occasione abbiamo presentato la nostra proposta programmatica: la Carta di Roma Comune, discussa ed elaborata in decine di assemblee, affollatissime. In quella Carta sono espressi i principi fondativi di un nuovo modo di intendere il senso e il ruolo di tutto il “sistema pubblico”. Possiamo racchiuderli in tre parole per noi costituenti: beni comuni urbani.
Dopo mesi di intensa mobilitazione, sotto la minaccia concreta dello sgombero degli spazi sociali e associativi – avamposti di solidarietà, di welfare autogestito, di costruzione di comunità – qualcuno ha finalmente criticato la «politica della ruspa» (ci riferiamo alla posizione di Virginia Raggi, espressa nel corso dell’assemblea eribadita nelle pagine di questo giornale). Auspichiamo che l’impegno a bloccare le ruspe sia concreto e fattivo anche dopo il 19 giugno. È il tempo del cambiamento e delle proposte costituenti, non dell’uso della forza nei confronti delle formazioni sociali che difendono e rivendicano un uso comune di beni e servizi.
Il riconoscimento dei beni comuni urbani non è un’utopia. Sono più di 90 le città in Italia che hanno adottato regolamenti comunali in questo senso. A Napoli la sperimentazione è avanzatissima, nei termini di un rapporto virtuoso tra l’Amministrazione e le soggettività autonome che si prendono cura di parti importanti della città: un modello che funziona e che è stato premiato alle elezioni. D’altra parte, nella scorsa consigliatura, erano state presentate alcune proposte interessanti, come il regolamento dei beni comuni presentato dal gruppo consiliare del M5S, che già superava il meccanismo del bando pubblico e che prevedeva forme di “condivisione” tra Roma Capitale e le soggettività autonome che si costituiscono in relazione alla cura dei beni comuni urbani.
Ora, il tema è proprio questo: il bando pubblico e i beni comuni sono tra loro incompatibili. Il bando pubblico è strumento di competizione, di concorrenza, dunque di esclusione; i beni comuni sono strumenti di partecipazione, collaborazione, condivisione. Il bando pubblico è finalizzato a gestire gli appalti dentro il mercato, i beni comuni si pongono fuori dal mercato, dalle logiche della redditività e del commercio.
Siamo consapevoli della necessità di abbattere i muri di opacità che, per decenni, hanno favorito a Roma il riprodursi di meccanismi clientelari e corruttivi, animati soprattutto dai partiti. Da quando siamo nati, liberando spazi destinati alla speculazione e promuovendo una gestione collettiva dei servizi e del welfare, la nostra è stata una lotta attiva contro questi meccanismi. L’unica ricetta per un cambio di sistema è quella della partecipazione e del decentramento del potere. La corruzione nasce sempre quando al governo dei molti si sostituisce il governo dei pochi. Una politica coraggiosa è quella che riconosce nei cittadini, anche oltre il momento elettorale, la facoltà di decidere: non decidere solo chi governa, ma decidere come si governa.
Dopo le elezioni sarà necessario avviare un grande processo di riscrittura delle regole e dei principi fondativi del vivere in comune. Ormai la strada è segnata. Ciò che sta “in basso” si contrappone a ciò che sta “in alto”. In alto, c’è la via del ricatto del debito e delle compatibilità imposte dal governo e dall’Unione Europea. In basso, la riappropriazione della decisione politica, la partecipazione diretta e il municipalismo per pretendere il riconoscimento dei beni comuni urbani. Un percorso che ha fatto una scelta di campo e che non è disposta a retrocedere di un millimetro verso quel cammino di giustizia sociale che collettivamente abbiamo deciso di intraprendere.
Fonte: il manifesto
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