di Peter Schaber
Nei giorni scorsi una serie di attentati hanno scosso la Turchia: il 7 giugno vicino a un pullman della polizia è esplosa una macchina carica di esplosivo, sei componenti degli enti della repressione e cinque civili sono morti. L’azione è stata rivendicata dai Falchi della Libertà del Kurdistan (Teyrebazen Azadiya Kurdistan, TAK), un gruppo militante che opera in clandestinità. Il giorno dopo, l’8 giugno, nella cittadina di Midyat nel sudest della Turchia una bomba ha completamente distrutto la locale stazione di polizia. Nella rivendicazione le Forze di Difesa del Popolo HPG, il braccio armato del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), si legge che sono stati uccisi 30 poliziotti, distrutti due veicoli blindati e dieci macchine della polizia.A Van le Unità di Difesa Civili curde YPS questa settimana hanno ucciso tre poliziotti, tra le province di Trabzon e Gümüshane sono morti sei soldati in un agguato del Movimento Unito della Rivoluzione dei Popoli (HBDH), un’alleanza di gruppi armati turchi e curdi.
Nei rapporti dei media mainstream occidentali, che da mesi chiudono gli occhi davanti alla politica dello Stato turco contro la popolazione curda nel sudest del Paese, le cause di queste azioni militari spariscono sistematicamente in dissolvenza. Eppure non potrebbero essere più evidenti: per il consolidamento e il mantenimento del potere di governo autocratico del Presidente turco Recep Tayyip Erdogan la Turchia da un anno conduce una brutale guerra contro il Movimento di Liberazione Curdo. Quasi tutte le maggiori città curde, da Diyarbakir passando per Cizre fino a Yüksekova, sono state attaccate con carri armati, artiglieria e – come nel caso di Nusaybin – con l’aviazione, centinaia di civili sono morti, centinaia di migliaia di persone sono in fuga.
In una recente presa di posizione, Cemil Bayik, co-presidente del Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), un’organizzazione ombrello di gruppi curdi alla quale ha dato vita il PKK, ha fatto notare che la politica assassina di Erdogan e del suo AKP porterà anche la Turchia sull’orlo dell’abisso: »Città in Kurdistan vengono completamente bruciate e appese bandiere turche dappertutto. I soldati e poliziotti che vengono mandati a morire in Kurdistan, vengono spacciati per eroi della patria. Questa è una bugia. L’AKP manda soldati e poliziotti a morire per la sua egemonia. I curdi non vogliono altro che una vita libera e democratica, la loro lingua e la loro identità.« Il modo di procedere di Erdogan mette »la Turchia in grave pericolo«, ha sottolineato Bayik nella dichiarazione, diffusa anche dall’agenzia stampa curda Firat.
È stato lo stesso governo turco nel luglio del 2015 a mettere fine al processo di pace in atto dalla fine del 2012 con il PKK. Da allora ha sistematicamente impedito ogni forma di protesta civile, parlamentare e pacifica. Manifestazioni della sinistra sono diventate obiettivo di attentati di islamisti, rispetto ai quali si parla di collegamenti con lo Stato. Su manifestazioni pacifiche si è sparato con proiettili veri, i parlamentari del Partito Democratico dei Popoli (HDP) di opposizione e filo-curdo sono stati dichiarati fuorilegge per decreto e devono essere criminalizzati.
L’aumento delle azioni della guerriglia curda è una risposta a questa escalation da parte del regime di Erdogan che sta sottoponendo la Turchia ad un rapidissimo processo di fascistizzazione. Per questo le bombe contro presidi militari e di polizia sono espressione del fatto che i curdi ora non vedono altre possibilità che rispondere al terrore con le bombe.
Articolo pubblicato su Junge Welt
Fonte: Contropiano
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