di Luca Tancredi Barone
È da un anno e mezzo che la Spagna è in una campagna elettorale permanente. Prima le amministrative del maggio 2015, che hanno aperto una nuova era politica catapultando in comuni e comunità autonome politici e politiche nuove. Poi le consultazioni catalane anticipate a settembre con strascichi fino a gennaio quando il Parlament ha eletto il nuovo presidente. Infine il voto del 20 dicembre, che ha cambiato per sempre la mappa politica, ma che per il momento non ha schiodato Mariano Rajoy dalla Moncloa, la sede del governo. E ieri si è aperta ufficialmente la campagna elettorale, due settimane prima del voto del 26 giugno.
Questo ultimo periodo non ha portato ad accorti di governo, ma qualcosa è cambiato. Con questa nuova tornata elettorale non si valuteranno solo i pessimi 4 anni (e mezzo ormai) di governo popolare, ma anche gli ultimi mesi. Ora è diventato evidente che nessuno potrà governare in solitario «vincendo» le elezioni. Il fatto che i tre quarti dei preziosi voti di Izquierda Unida sia andato perduto per l’ingiusta legge elettorale, ha dato ragione a chi voleva un’alleanza con Podemos. E infatti, grazie all’accordo raggiunto, gli equilibri parlamentari potrebbero essere molto differenti, anche se non ci dovessero essere grandi movimenti di voti. Infine sono molto più chiare le scelte di fondo – e anche i limiti caratteriali di ciascuno.
Tutti i sondaggi elettorali di queste ultime settimane – il più importante dei quali reso noto giovedì – confermano quanto solo i socialisti e Pedro Sánchez sembrano non vedere: Unidos Podemos (questo il nome dell’alleanza fra Izquierda Unida e Podemos) è saldamente al secondo posto, a 4 punti percentuali dal Pp, che rimane fermo attorno al 29%. I socialisti, terzi, non superano il 20% e Ciudadanos non arriva al 15%. Ma la cosa più importante è che Unidos Podemos supererebbe i socialisti anche in seggi, che per il modo in cui è disegnata la legge elettorale in Spagna e per come è distribuito il voto nelle circoscrizioni elettorali, non era tanto scontato. D’altra parte, sembra chiaro che la somma dei seggi di Pp e Ciudadanos non arriva nemmeno vicino alla maggioranza assoluta, e che quella di Unidos Podemos e Psoe invece la sfiorerebbe molto da vicino.
Il nervosismo dalle parti di Pedro Sánchez è palpabile. Non è un caso che i due partiti che avevano firmato un effimero patto di governo in questi mesi siano i più castigati dagli elettori: ai socialisti si attribuisce la colpa di non aver fatto abbastanza sforzi per formare un governo. Gli elettori di Ciudadanos, un partito le cui basi sono francamente di destra, oggi bollano come innaturale l’accordo stretto con Sánchez a febbraio. Tant’è che la frontiera più porosa di votanti, lo dicono i dati, sembra essere proprio quella fra Pp e Ciudadanos. Mentre i più convinti sono gli elettori di Podemos, e in misura leggermente inferiore, quelli di Izquierda Unida. Che però nel frattempo ha rafforzato la sua leadership avendo avuto il coraggio – unico partito – di affrontare un congresso nel bel mezzo della campagna elettorale, con tanto di voto dei militanti e simpatizzanti, da cui Alberto Garzón è uscito eletto (con il 75% dei voti) nuovo portavoce di un partito che ha cambiato totalmente il suo look, con una classe dirigente più giovane (e molte donne).
Grazie all’accordo, Izquirda Unida stavolta si porterà a Madrid non meno di 10 deputati. Podemos si sente così forte che neppure l’immagine a volte ruvida di Pablo Iglesias (Garzón riceve da sempre valutazioni molto migliori in tutti i sondaggi) scalfisce la sua forza. Se la campagna di Unidos Podemos è un florilegio di cuoricini – nata per scherzo, proprio per l’antipatia che a volte Iglesias sa suscitare, tanto che la sempre velenosa presidente andalusa Susana Díaz, principale rivale interna di Pedro Sánchez, chiama lui e Garzón «orsetti amorosi» – quella dei socialisti è letteralmente ossessionata da Podemos. E questo è un problema: Iglesias e Garzón hanno detto da subito che l’accordo lo faranno con i socialisti e che il nemico da battere sono i popolari. Ma i socialisti fanno finta di vivere in una realtà parallela, con una campagna elettorale basata sui risultati sociali dei governi del passato. Il veleno verso Podemos si spreca, mentre giurano di non volere accordi con il Pp. Lasceranno governare Rajoy, faranno un accordo con Podemos? In entrambi i casi, la scelta sarà lancinante, e Sánchez sa molto bene che nel congresso (a luglio) la sua breve carriera è già segnata.
Fonte: il manifesto
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