di Redattore sociale
Occupati prevalentemente nei settori a basso valore aggiunto (servizi alla persona, agricoltura, costruzioni, alberghi e ristoranti), dove la concorrenza con l'offerta di lavoro della componente italiana risulta marginale, con basse qualifiche e una retribuzione media netta inferiore di circa 360 euro al mese. E' questa la fotografia del lavoratore immigrato che emerge dallo studio "Le conseguenze della crisi sul lavoro degli immigrati in Italia" realizzato dalla Fondazione Di Vittorio della Cgil, nell'ambito delle attività dell'Osservatorio sulle migrazioni, che ha analizzato le condizioni dei lavoratori stranieri occupati in Italia nel quinquennio 2011 - 2015. Il lavoro degli immigrati ha contenuto il declino dell'occupazione nel nostro Paese e l'incidenza dell'occupazione straniera sul totale degli occupati è aumentata di 1,5 punti percentuali (+329 mila unità), attestandosi nel 2015 al 10,5%. Ma a quali condizioni?
La crisi ha colpito duramente anche la forza lavoro straniera, con un tasso di disoccupazione nel 2015 più alto di quasi 5 punti rispetto a quello relativo alla forza lavoro italiana (16,2 contro 11,4). Così come è aumentata la precarietà e il part time involontario.
Il tasso di sofferenza occupazionale (indicatore elaborato dalla FDV che comprende disoccupati, cassa integrati e scoraggiati disponibili a lavorare) degli immigrati in età da lavoro è nel 2015 pari al 15% (604 mila persone), 3,2 punti sopra quello italiano; mentre il tasso di disagio (precari e part time involontari sul totale degli occupati di 15-64 anni) è al 30% (pari a 706 mila persone), quasi il doppio di quello italiano.
La "segregazione occupazionale": mansioni poco qualificate e concorrenza marginale. Da tempo le ricerche FDV segnalano un meccanismo di "segregazione occupazionale" che confina la maggioranza dei lavoratori immigrati (circa il 70%) solo in alcuni settori, prevalentemente a basso valore aggiunto, in cui la concorrenza con l'offerta di lavoro italiana è del tutto marginale, smentendo allarmismi propagandistici che spesso vengono usati in modo strumentale (si tratta soprattutto di servizi alla persona, agricoltura, costruzioni, alberghi e ristoranti).
A questo aspetto va associato il tema delle professioni e delle qualifiche: i lavoratori stranieri, infatti, sono occupati nella maggior parte dei casi con mansioni poco o per nulla qualificate, nonostante oltre la metà degli immigrati residenti sia in Italia da oltre 10 anni. Le prime dieci professioni in cui sono impiegati (fra cui pulizie, servizi domestici, facchini, braccianti, ecc.) coprono quasi due terzi dell'occupazione straniera (63%) contro poco più di un quinto di quella italiana (21%).
Tutto questo si ripercuote sulle retribuzioni con il differenziale retributivo in crescita di 2 punti percentuali dal 2011. Oggi la retribuzione media di un lavoratore immigrato rispetto a quella di un lavoratore italiano è più bassa del 24% e il divario aumenta tra le donne. In valore, un lavoratore straniero dipendente a tempo pieno percepisce in media 362 euro netti al mese in meno rispetto ad uno italiano (-350 euro gli uomini; -385 euro le donne).
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Fonte: Redattoresociale.it
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