di Marco Bertorello
Nell’economia contemporanea fondata sul debito i fondamentali ci dicono che il contesto non cambia neppure a fronte di una pallidissima ripresa. La Bce ultimamente ha rialzato le stime di crescita per il 2016 dell’Eurozona dello 0,2%, confermando però la distanza dagli obiettivi inflazionistici, dato che i prezzi per quest’anno dovrebbero crescere solo dello 0,2%. Nonostante la marea monetaria immessa il panorama non è dei più incoraggianti, anche al netto dell’esito del referendum britannico e degli affanni ellenici. I paesi periferici dentro tale contesto galleggiano con maggiori difficoltà. Il debito privato consegna un settore bancario in grande sofferenza nel recuperare crediti e rende difficile far ripartire i consueti meccanismi dato che il minimo segnale di ripresa suggerisce a imprese e cittadini di risparmiare e ridurre i debiti accumulati.
Ma anche sul fronte delle finanze pubbliche non si registrano miglioramenti. Per quanto riguarda l’Italia il suo debito continua a crescere in termini assoluti, l’ultima rivelazione di Banca d’Italia parla di 2.228 miliardi di euro, e non riesce a diminuire neppure in rapporto al Pil, nonostante quest’ultimo sia cresciuto dello 0,8% lo scorso anno e sempre Banca d’Italia ha appena rivisto al ribasso le previsioni per il 2016-2017, passando rispettivamente dall’1,5 all’1,1% e dall’1.4 all’1,2%. Eppure al crescere del denominatore la percentuale dovrebbe diminuire, ma solo a condizione che vi sia una crescita sufficiente oppure se i debiti non crescono parimenti. Nel caso italiano il rapporto debito su Pil sembra inchiodato ben oltre il 132%.
Carlo Cottarelli, illustre economista del Fmi poi incaricato di tagliare la spesa pubblica improduttiva e infine in rotta con il governo Renzi ha scritto un interessante libro dove definisce il debito pubblico un «macigno» che «ci schiaccia». Il testo dal carattere divulgativo costituisce anche un utile termometro di come un certo pensiero mainstream ipotizza di uscire dalla crisi. Cottarelli problematizza le difficoltà, non censura le varie soluzioni, anche quelle più estreme (come quella di non pagare i debiti), ma non si risparmia nel cercare una via d’uscita apparentemente più ragionevole e rassicurante. Evidenzia come non vi siano soluzioni salvifiche, semplici o indolori, e conclude proponendo una «moderata» dose di austerità combinata con una crescita frutto di attente riforme strutturali e di un cauto programma di privatizzazioni. Il tutto teso a far ripartire l’economia, in maniera graduale, ma credibile agli occhi degli investitori e dei mercati. Un progetto che non schiaccia l’acceleratore su nessuno di questi fattori, ma che ritiene che ognuno concorra alla soluzione del problema.
Un problema, quello dell’eccesso di debito pubblico, che non solo strozza l’attuale economia, ma impedirà di affrontare adeguatamente i prossimi shock economico-finanziari, non prevedendo un margine di risorse a disposizione per politiche espansive in caso di nuove crisi. Insomma in tempi di ripresa come questi si dovrebbe mettere legna in cascina per quando tornerà il freddo. Secondo i calcoli di Cottarelli per realizzare questo progetto, fondato su un ridotto ma prolungato rientro dall’enorme debito attraverso modeste dosi di austerità, sarà sufficiente, sempre che non vi siano nuovi problemi, far crescere il Pil a un ritmo del 3% annuo. All’incirca il triplo di quanto previsto per quest’anno. Una mancata coincidenza tra crescita e debito.
Tale sfasatura tra previsioni ottimistiche e realtà, però, non viene presa in considerazione spesso. Tant’è che all’inizio dell’ultimo capitolo del libro viene citato Renzi il quale annuncia che nel 2016 la migliore notizia sarebbe proprio che il debito inizierà a scendere. Per ora non sembra così.
Fonte: il manifesto
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