La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 5 novembre 2015

Il federalismo di una superstar

di Marco Bascetta
L’autore c’è, eccome! È Tho­mas Piketty, una super­star, il cele­brato autore de Il Capi­tale nel XXI secolo. Il titolo anche: Si può sal­vare l’Europa? Chi mai sarebbe tanto nichi­li­sta o indif­fe­rente dal non porsi que­sta domanda? Quello che non c’è, invece, è pro­prio il libro, a dispetto delle quasi 400 pagine (Bom­piani, euro 20) che ci tro­viamo tra le mani. Ma, in fondo, era­vamo stati avver­titi: «il libro rac­co­glie l’insieme delle Cro­na­che men­sili dell’autore, pub­bli­cate su Libé­ra­tion dal set­tem­bre 2004 al giu­gno 2015, senza alcuna cor­re­zione o riscrit­tura» . E, va aggiunto, senza alcuna nota o ele­mento di cura e sele­zione per l’edizione italiana.
Si può imma­gi­nare quanto risulti ostico, o tedioso, per il let­tore ita­liano un arti­colo scritto per un quo­ti­diano fran­cese, magari una decina di anni fa, rife­ren­dosi a una spe­ci­fica con­tin­genza nel qua­dro poli­tico tran­sal­pino dell’epoca.
O seguire com­menti e affondi cri­tici con­tro deter­mi­nate poli­ti­che e misure legi­sla­tive senza cogni­zione alcuna del sistema pre­vi­den­ziale , fiscale o sco­la­stico fran­cese. Dif­fi­coltà per le quali que­sta edi­zione non offre il minimo aiuto, né ha ope­rato alcuna ragio­ne­vole sele­zione, tanto da pro­pi­narci nume­rose e fasti­diose ripe­ti­zioni. Insomma, un libro «but­tato lì» dall’indifferenza dell’autore e dalle le pre­vi­sioni di mar­ke­ting dell’editore secondo il prin­ci­pio del minimo sforzo per un risul­tato quale che sia, salvo che in ter­mini di vendite.
Dif­fi­denze francesi
Mal­grado la discu­ti­bile qua­lità dell’operazione edi­to­riale non man­cano, tut­ta­via, arti­coli sin­te­ti­ca­mente effi­caci soprat­tutto su due que­stioni asso­lu­ta­mente cen­trali nell’argomentazione cri­tica di Piketty, quella fiscale e quella del debito. Che l’autore tratta sag­gia­mente in modo stret­ta­mente col­le­gato. La pres­sione fiscale sui cit­ta­dini euro­pei dei paesi medi­ter­ra­nei, con i suoi effetti depres­sivi, accom­pa­gnata da un ridi­men­sio­na­mento del wel­fare invece che dalla sua esten­sione, è infatti lar­ga­mente deter­mi­nata dagli ele­vati inte­ressi sul debito e dalle irrea­li­sti­che regole di rien­tro pre­vi­ste dalle isti­tu­zioni euro­pee per que­sti paesi.
La pro­spet­tiva sto­rica adot­tata dall’economista fran­cese ha il merito di illu­mi­nare l’infondatezza delle pre­vi­sioni e l’inefficacia degli stru­menti pre­scritti dalla dot­trina ordo­li­be­rale al Vec­chio con­ti­nente. Nem­meno con gli alti livelli di cre­scita dell’immediato dopo­guerra Fran­cia e Ger­ma­nia avreb­bero potuto sba­raz­zarsi del loro enorme debito pub­blico senza l’inflazione e un taglio bello e buono. Eppure con tassi di cre­scita infi­ni­ta­mente minori anche nelle più rosee pre­vi­sioni, e senza poter fare ricorso allo stru­mento della sva­lu­ta­zione, Parigi e Ber­lino con­ti­nuano a pre­ten­dere dai paesi più inde­bi­tati dell’eurozona l’obbligo di rim­bor­sare fino all’ultimo euro. Inne­scando così una spi­rale senza fine desti­nata ad accen­tuare gli squilibri.
Piketty non è certo tenero con le timi­dezze, le reti­cenze e gli egoi­smi, peral­tro a lungo ter­mine poco van­tag­giosi, delle poli­ti­che euro­pee del pre­mier socia­li­sta fran­cese Fra­nçois Hol­lande. Aldilà dalle posi­zioni di fac­ciata, la dif­fi­denza fran­cese per l’Europa poli­tica costi­tui­sce uno sfondo per­ma­nente. Ma l’eurozona, così come è stata con­ce­pita e poi gestita nel corso della crisi, non è in grado di fun­zio­nare e viag­gia sem­pre sull’orlo di una pos­si­bile cata­strofe. Senza una decisa cor­re­zione di rotta gli attuali squi­li­bri non faranno altro che aggra­varsi, spia­nando la strada alle forze euro­scet­ti­che della destra.
Il punto su cui lo stu­dioso fran­cese ritorna con­ti­nua­mente è la neces­sità di met­tere in comune il debito pub­blico dei paesi euro­pei onde garan­tire a tutti tassi d’interesse bassi e sta­bili, al riparo dalla spe­cu­la­zione e dall’inflazione. Per fare que­sto ser­vi­rebbe però un orga­ni­smo euro­peo di governo, che Piketty vedrebbe com­po­sto dai mem­bri delle Com­mis­sioni bilan­cio dei diversi par­la­menti nazio­nali. «La prio­rità asso­luta – scrive nel 2010 – deve essere rap­pre­sen­tata dal costi­tuirsi di un potere pub­blico euro­peo capace di lot­tare ad armi pari con i mer­cati finan­ziari». Dun­que un passo avanti verso il fede­ra­li­smo in Europa, ma senza impru­denze o fughe in avanti. Non si tratta di met­tere tutto in comune (sistemi pre­vi­den­ziali, sco­la­stici etc.), sostiene Piketty, ma solo quelle cose che un paese non è in grado di fare da solo. E cioè essen­zial­mente due: oltre al governo dei debiti sovrani nel mer­cato glo­bale, una impo­sta euro­pea sui red­diti d’impresa, tale da met­tere fine al dum­ping fiscale di cui si avvan­tag­giano le multinazionali.
Ma ciò che osta­cola nell’arena con­creta della poli­tica e dell’economia euro­pee ipo­tesi ragio­ne­voli come quelle avan­zate dallo stu­dioso fran­cese è il fatto che poteri pub­blici e mer­cati finan­ziari si sono sal­da­mente intrec­ciati nel corso degli ultimi decenni sia sul piano dell’ideologia che su quello delle pra­ti­che di governo, fino a con­vin­cere i con­tri­buenti dei paesi ric­chi a con­si­de­rarsi attori vin­centi nella com­pe­ti­zione sul mer­cato della finanza. Così la pro­por­zio­na­lità piatta dell’imposizione fiscale su patri­moni grandi e pic­coli, fino alla pura e sem­plice regres­si­vità delle impo­ste, il man­te­ni­mento di nic­chie ed esen­zioni a van­tag­gio delle ren­dite e degli alti red­diti, che Piketty si pro­pone giu­sta­mente di com­bat­tere, pog­giano su quella vit­to­ria poli­tica delle éli­tes che non ha ancora incon­trato sullo scac­chiere euro­peo una rea­zione capace di rove­sciarne il segno. Come l’esito della vicenda greca nello scorso luglio e l’atteggiamento, assog­get­tato agli inte­ressi dei cre­di­tori, assunto in quella occa­sione dalle social­de­mo­cra­zie euro­pee stanno chia­ra­mente a dimostrare.
Élite implose
L’ultimo arti­colo pre­sente in que­sta rac­colta si ferma tut­ta­via alla metà di giu­gno del 2015, prima della resa di Atene. Per modi­fi­care il corso di una unione mone­ta­ria che viag­gia, con una Banca cen­trale che la può con­tra­stare solo fino a un certo punto, verso l’implosione, tre sono, secondo Piketty, le even­tua­lità da pren­dere in con­si­de­ra­zione: una nuova, acuta, crisi eco­no­mica, uno scos­sone poli­tico pro­vo­cato dalla destra, o uno scos­sone poli­tico pro­vo­cato dalla sinistra.
Guar­dan­dosi intorno non è dif­fi­cile sco­prire quale delle tre even­tua­lità sia la meno pro­ba­bile. Per quanto riguarda i socia­li­sti al governo in Fran­cia gli arti­coli di que­sta rac­colta tol­gono ogni resi­dua illu­sione sul «social­mal­de­stro» Hol­lande. Quanto al Pd di Mat­teo Renzi non par­lia­mone neppure.

Fonte: il manifesto

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