La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 6 novembre 2015

Trudeau mantiene le promesse: ex rifugiati e indiani nel governo

di Guido Caldiron
Il suono di un tam­buro della tribù Cree e il canto degli Inuit hanno preso il posto delle cor­na­muse nella ceri­mo­nia di inse­dia­mento del nuovo ese­cu­tivo cana­dese. «Il mio governo guarda al futuro, que­sto paese è forte non mal­grado la sua diver­sità cul­tu­rale, ma pro­prio gra­zie ad essa», ha spie­gato il nuovo pre­mier Justin Tru­deau, annun­ciando il cam­bio del ceri­mo­niale prima di entrare nella Rideau Hall di Ottawa per il giu­ra­mento di rito, accla­mato da migliaia di per­sone. E che quello intra­preso dal gio­vane lea­der libe­rale, arri­vato a soli 43 anni alla guida del paese, non sia solo un cam­bio di stile, lo ha con­fer­mato il pro­filo scelto per il suo governo. Com­po­sta in egual misura da mini­stre e mini­stri, 15 donne e 15 uomini, l’équipe di Tru­deau sem­bra infatti con­fer­mare le pro­messe fatte in cam­pa­gna elet­to­rale, riflet­tendo in modo attento le diverse anime, sia geo­gra­fi­che che cul­tu­rali, della società del grande nord americano.
Dopo una lunga ege­mo­nia wasp, resa negli ultimi anni ancor più aggres­siva dalla reto­rica sulle radici cri­stiane del Canada e la stig­ma­tiz­za­zione dell’Islam adot­tata dal pre­mier con­ser­va­tore Ste­phen Har­per, la foto­gra­fia che emerge dal nuovo ese­cu­tivo sem­bra ren­dere giu­sti­zia alla realtà di un paese che per sto­ria e voca­zione rap­pre­senta uno dei casi meglio riu­sciti di mul­ti­cul­tu­ra­li­smo. Se il governo pre­ce­dente aveva reso la vita sem­pre più dif­fi­cile a immi­grati e richie­denti asilo, Tru­deau ha scelto di offrire invece al mondo l’immagine di una società moderna e acco­gliente, nomi­nando al posto di mini­stra alle Isti­tu­zioni demo­cra­ti­che, Maryam Mon­sef, una donna di trent’anni arri­vata nel paese quando ne aveva 11 come rifu­giata dall’Afghanistan.
Allo stesso modo, il mini­stero della Difesa è andato al tenente colon­nello Har­jit Singh Saj­jan, che era già diven­tato nel 2011, il primo mili­tare di reli­gione sikh ad assu­mere il comando di un reg­gi­mento dell’esercito cana­dese. Il pre­mier libe­rale sem­bra essersi ricor­dato anche degli impe­gni assunti nei con­fronti delle popo­la­zioni indi­gene che gli ave­vano frut­tato l’appoggio, per quanto mai uffi­cia­liz­zato, dell’Assemblea della Nazioni Autoc­tone, il movi­mento che riu­ni­sce oltre 900mila dei 2 milioni di «indiani» del Canada. Così, nel nuovo ese­cu­tivo sie­de­ranno l’Inuit Hun­ter Too­too, nomi­nato mini­stro della Pesca e del mare, e l’avvocato Judy Wilson-Raybould, già respon­sa­bile del movi­mento indi­geno nella regione della Columbia-Britannica, che gui­derà la Giu­sti­zia, dica­stero cui spet­tano due dei dos­sier più caldi che atten­dono il nuovo ese­cu­tivo, quelli rela­tivi all’eutanasia e alla lega­liz­za­zione della marijuana.
Altri tre dica­steri di peso andranno invece a dei nomi noti della poli­tica locale. John McCal­lum, in pas­sato già respon­sa­bile della Difesa, dovrà ren­dere con­creta, dal suo posto di mini­stro all’Immigrazione, rifu­giati e cit­ta­di­nanza, la pro­messa fatta da Tru­deau di acco­gliere 25mila siriani entro fine d’anno. Bill Mor­neau, cele­bre impren­di­tore di Toronto, vigi­lerà su Eco­no­mia e finanze: la prima misura annun­ciata riguarda le tasse che saranno ridotte per il ceto medio e aumen­tate per i più ric­chi. Sté­phane Dion, già mini­stro dell’ambiente, si occu­perà invece degli Esteri, ter­reno altret­tanto deli­cato, visto che Tru­deau ha inten­zione di far tor­nare il paese sulla scena inter­na­zio­nale, smar­can­dosi in par­ti­co­lare dall’abbraccio del potente vicino sta­tu­ni­tense, come ha dimo­strato annun­ciando la sospen­sione delle azioni mili­tari cana­desi in Siria e in Irak.
Il tema su cui la svolta di Ottawa è però attesa con mag­giore ansia alla prova dei fatti, riguarda il cam­bia­mento cli­ma­tico e il peso che il Canada potrà avere in futuro su que­sto ter­reno, dopo che i con­ser­va­tori ave­vano por­tato il paese fuori dal pro­to­collo di Kyoto, favo­rendo solo gli inte­ressi delle mul­ti­na­zio­nali dell’energia. Da que­sto punto di vista, il suo primo esame la nuova mini­stra dell’ambiente Cathe­rine McKenna dovrà supe­rarlo già nelle pros­sime set­ti­mane a Parigi in occa­sione della Cop21, di cui il Canada è fin d’ora uno degli ospiti più attesi, anche se nello sco­modo ruolo di «sor­ve­gliato speciale».

Fonte: il manifesto 

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