Intervista a Jean-Paul Fitoussi di Eugenio Occorsio
"L'Europa paga la carenza di domanda interna, di fiducia, di investimenti. E' una situazione che si sta avvitando e dalla quale si può uscire solo con un importante progetto espansivo".
Jean-Paul Fitoussi, il guru di SciencesPo che ha anche una cattedra alla Luiss, è a pieno titolo un keynesiano: da anni non si stanca di ammonire sulle controindicazioni di una politica troppo sbilanciata sulla stabilità dei conti pubblici. "La solidità è importante, per carità. Solo che viene interpretata dal pensiero economico dominante di marca tedesca in modo troppo rigido. Le conseguenze sono questi miserrimi dati di crescita nell'eurozona".
Chi dovrebbe finanziare questa specie di piano Marshall per l'Europa?
"In parte la commissione: ma l'unica iniziativa espansiva è il piano Juncker che non riesce a partire e nasce con il piede sbagliato. L'Ue contribuirà con non più di 7-8 miliardi l'anno, pochi per impostare l'inversione di tendenza.
Perfino il quantitative easing della Bce incontra difficoltà perché è difficile il passaggio all'economia reale in un momento in cui tutti hanno paura a investire. Del resto, tenendo la struttura degli interessi reali bassi scoraggia gli investimenti a lungo termine che si finanziano con obbligazioni, private o pubbliche, penalizzate dai bassi rendimenti. Così gli investimenti non si riescono a finanziare. E poi la Germania dovrebbe destinare il suo surplus a investimenti paneuropei, in Paesi dove possono essere redditizi ma sono in deficit. Si chiama simmetria finanziaria".
Perfino il quantitative easing della Bce incontra difficoltà perché è difficile il passaggio all'economia reale in un momento in cui tutti hanno paura a investire. Del resto, tenendo la struttura degli interessi reali bassi scoraggia gli investimenti a lungo termine che si finanziano con obbligazioni, private o pubbliche, penalizzate dai bassi rendimenti. Così gli investimenti non si riescono a finanziare. E poi la Germania dovrebbe destinare il suo surplus a investimenti paneuropei, in Paesi dove possono essere redditizi ma sono in deficit. Si chiama simmetria finanziaria".
A quali Paesi pensa?
"Alla Francia, la cui frenata non lascia presagire nulla di buono, o all'Italia, per ora il centro- nord ma anche il Sud quando si saranno create condizioni di contorno sufficienti. Tutti posti dove si può investire con una certezza di ritorni adeguati. Il problema è ideologico: la Germania non è psicologicamente pronta a investire neanche parte delle sue riserve, ossessionata dalla finanza pubblica. E ha dato quest'impronta alla politica europea, con il risultato che tutto è fermo. Alla stessa Germania, che cresce ormai pochissimo, manca il terreno sotto i piedi per la sua ostinazione sui bilanci pubblici. Il polmone dell'export non le basta più, così come non basta più ad altri Paesi esportatori come l'Italia. La vivacità negli scambi all'interno dell'area euro si sta perdendo schiacciata dalle politiche di austerity, dalla carenza di domanda e di investimenti, dalle ristrettezze dei bilanci, dal poco denaro disponibile per le alte tasse. L'eurozona, presa come un solo Paese, dipende per il 95% in media dall'economia interna: il 5% restante rischia di ridursi per la frenata cinese".
A proposito di Cina, ma è vero che il taglio d'ufficio del cambio è vietato dal G20?
"Non esattamente. Si auspicano manovre di mercato, ma ogni Paese ha il suo modello, e in Cina comanda il partito comunista. Hanno bisogno di svalutare perché la loro economia frana, questo ci deve preoccupare. Ma in fondo la Bce fa quasi la stessa cosa".
Fonte: La Repubblica
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