di Alfonso Gianni
La vicenda greca si sta avviluppando attorno ad alcuni evidenti paradossi su cui riflettere, anche per i riverberi che il loro svolgersi avrà sul fragilissimo quadro delle sinistre d’alternativa europee. Nella cronaca del manifesto di sabato si parla di una «distesa di macerie», senza che si intraveda neppure l’angelus novus di Klee-Benjamin proiettato a spalle voltate verso un incerto futuro. Un giudizio duro, tutt’altro che peregrino, motivato da un lato dal contenuto del terzo memorandum, che del resto né Tsipras, né Nikos Pappàs nell’intervista a questo giornale, hanno mai messo in ombra.
Dall’altro dalle minacce, che parrebbero ormai un processo semiconcluso, di scissione di Syriza. Il che ci porta al primo dei tanti paradossi. Le scelte del governo greco, la sua resistenza al tentativo di Schauble di fare passare la tesi della Grexit avevano aperto un varco nel fronte degli avversari.
La stessa troika appare spaccata visto il differente giudizio del Fmi, favorevole a un taglio nominale del debito greco essendo convinto della sua insostenibilità.
Negli ultimi giorni, falchi fedelissimi alla Germania si sono vestiti da colombe, almeno per l’occasione, mandando in soffitta il tentativo della Merkel di proporre un prestito ponte per tenere al laccio i greci e allontanare l’operazione degli 85 miliardi. Olanda e Finlandia per la prima volta hanno preso le distanze dal gigante teutonico. Persino la stampa europea più mainstream ha parlato di un isolamento della Merkel e della Germania, anche se qualcuno lo ha fatto per sottolineare che questo potrebbe essere il prezzo necessario dell’egemonia. Ovvero “molti nemici, molto onore” , vecchia formula riciclata.
Negli ultimi giorni, falchi fedelissimi alla Germania si sono vestiti da colombe, almeno per l’occasione, mandando in soffitta il tentativo della Merkel di proporre un prestito ponte per tenere al laccio i greci e allontanare l’operazione degli 85 miliardi. Olanda e Finlandia per la prima volta hanno preso le distanze dal gigante teutonico. Persino la stampa europea più mainstream ha parlato di un isolamento della Merkel e della Germania, anche se qualcuno lo ha fatto per sottolineare che questo potrebbe essere il prezzo necessario dell’egemonia. Ovvero “molti nemici, molto onore” , vecchia formula riciclata.
In questo quadro acquistano ancora più pregnanza e significato le accorate parole di Pablo Iglesias a Tsipras che lo invitavano a mantenere la propria presenza conflittuale nella Ue, in attesa che le imminente elezioni in Spagna e altrove potessero mutare le condizioni geopolitiche dentro l’Europa stessa. Ma se in Grecia dovessero restare solo macerie, l’effetto sarebbe capovolto. E anche questo a suo modo è un paradosso.
Da ultimo poi, le tre fulminee svalutazioni dello yuan operate da Bank of China stanno delineando un quadro mondiale assai diverso e mosso. Le Borse di tutto il mondo hanno accusato il colpo, pur riprendendosi di lì a poco. Ma soprattutto strategie economiche e geopolitiche vengono rimesse in discussione. Non ultime le stesse prospettive della Germania che tanto poggiava sul mercato asiatico per implementare oltre i confini della Ue la sua politica mercantilista e giocare così, praticamente per proprio conto, la sfida della globalizzazione. E questo è un altro paradosso che deve esplicitare ancora tutte le sue conseguenze.
Quindi il contesto era ed è assai meglio del testo dell’accordo con cui si era conclusa la drammatica maratona negoziale tra la Grecia e tutto il resto della Ue. Questo fa sì che quanto ha detto Tsipras nel Parlamento greco e ripetuto da Pappàs nella già richiamata intervista, ossia della possibilità malgrado tutto di difendere i redditi più bassi e di operare nel paese una progressiva resistenza alla applicazione delle parti più regressive (per usare l’aggettivo ripetuto dal premier greco) del Memorandum e riproporre condizioni per un diverso sviluppo, non appare una sfida del tutto disperata, per quanto difficile.
Ma la condizione affinché essa possa essere condotta è senza dubbio la sostanziale coesione interna al popolo greco e alla sua rappresentanza politica maggioritaria. Ma proprio questa è messa in discussione in queste ore. L’intero capolavoro politico di Syriza, di riunificare le diverse anime della sinistra e di costruire le condizioni per una clamorosa vittoria, nelle elezioni e nel referendum, che ha riaperto le speranze e le concrete possibilità per un’Europa diversa, rischia di franare. Se tra gli avversari della Grecia si è aperta una breccia, per la seconda si profila un burrone. Il paradosso è evidente. Chiedersi se tale disastrosa soluzione sia proprio inevitabile è doveroso. Per queste ragioni il nostro sostegno a Tsipras, o meglio a ciò che rappresenta, non deve venire meno, tanto più che il momento è difficilissimo. In fondo è il primo tentativo, in questo millennio, di verticalizzazione di un processo di politicizzazione dei conflitti sociali.
So bene che non spetta a noi italiani dire cosa i greci devono fare. Del resto temo che non ne saremmo capaci. Soprattutto vista la frammentazione a sinistra di cui siamo impenitenti e pervicaci protagonisti. Da che pulpito la predica, si direbbe subito. Ma forse proprio per questo siamo tra i primi ad essere interessati all’evoluzione del quadro politico greco e del suo principale soggetto politico.
Eppure, ma questo più che un paradosso è una triste conferma, si sente ancora dire che Tsipras avrebbe sperato lui stesso che il pronunciamento popolare dicesse sì al piano dei creditori per consegnarsi a questi ultimi come novello Cristo. Oppure che il referendum avrebbe dimostrato che il popolo greco era disposto a tutto, compresa la Grexit e l’uscita definitiva dall’euro, mentre il suo governo no (naturalmente tutti sondaggi sulla volontà di restare nell’euro sarebbero stati spudoratamente mentitori, secondo le solite dietrologie). Che Schauble sarebbe la mente più lucida nella partita e che quindi alla Grecia ( e all’Italia) conviene fare quanto lui dice: ridurre la Ue a un protettorato tedesco, togliendo il disturbo il più in fretta possibile andandosene dall’euro. Non mancano neppure voci disperate che assicurano che proprio la vicenda di Syriza dimostrerebbe l’inanità di qualunque progetto di alternativa e persino di resistenza attiva.
E’ il principio di realtà quello che manca. Si badi bene, non la vecchia questione dei “rapporti di forza”, che ha paralizzato a sinistra, lungo i decenni, più di un’iniziativa trasformatrice o insorgente e ridotto il pensiero critico nella camicia di forza di quello dominante, fino a soffocarlo del tutto. Quello che difetta – o così almeno mi pare – è il concreto senso processuale degli avvenimenti sociali e politici. In questi non vi è alcuna linearità, né tantomeno predeterminazione, in senso positivo – e su questo è assai facile essere d’accordo -, ma neppure in quello negativo. Un improvviso rovesciamento del quadro da positivo a negativo non indica affatto di per sé una inversione di tendenza definitiva. La partita greca, come quella del sud dell’Europa, di un’Europa mediterranea (ma non dimentichiamo lassù la piccola Irlanda) è tutt’altro che chiusa. Il governo greco non ha presentato al parlamento e al paese l’accordo come una vittoria. Ed è una novità rispetto alle modalità comunicative dei governi europei. Ha piuttosto indicato gli spazi e gli spiragli per forzare i nuovi vincoli imposti.
Decretarne la sconfitta è incauto. Del resto non tutte le sconfitte sono uguali. Ce ne sono alcune che aprono nuove prospettive , innanzitutto nelle coscienze di milioni di donne e uomini, che fino a prova contraria sono il vero soggetto trasformativo. Altre invece sono gelidamente mute, perché sono maturate nella disperazione del potere fare. Spesso neppure avvertite come tali.
Fonte: Il manifesto
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