La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 16 agosto 2015

La psicosi dei normali


di Sarantis Thanopulos
Nelle ultime set­ti­mane due per­sone sono morte durante un TSO: il rico­vero coatto per i pazzi rite­nuti peri­co­losi per se stessi o per gli altri. Un debole allarme che già si è spento nel suo breve rumore media­tico. Come tutte le bar­ba­rie della nostra epoca tec­no­lo­gica, anche lo ster­mi­nio dei pazzi come sog­getti dotati di diritto di cit­ta­di­nanza e di dignità per­so­nale uni­sce all’efficienza tec­nica l’assenza di tracce visi­bili e scandalizzanti.
A dispetto dei perio­dici sin­tomi di un disa­gio for­tis­simo, che resta sepolto nell’omertà, la psi­chia­tria sta spro­fon­dando nella sua muta­zione defi­ni­tiva in stru­mento di puro con­trollo repres­sivo della devianza.
Una com­po­nente repres­siva la cul­tura psi­chia­trica l’ha sem­pre avuta a causa della forte domanda di difesa con­tro la destrut­tu­ra­zione delle cer­tezze psi­co­lo­gi­che col­let­tive che la fol­lia provoca.
Gli psi­chia­tri hanno dovuto mediare tra la sod­di­sfa­zione di que­sta domanda e l’impegno nella cura della sof­fe­renza psi­chica. Media­zione com­pli­cata dalla pres­sione pro­ve­niente dal paziente psi­chia­trico, il quale non fa domanda di assi­stenza ma di coin­vol­gi­mento umano, di rela­zione lon­tana dalle con­ven­zioni for­mali che smor­zano i con­tra­sti nel quieto vivere. Il met­tersi del sog­getto curante fuori dal vivere con­ven­zio­nale, com­porta una desta­bi­liz­za­zione del pro­prio assetto emo­tivo e men­tale che non è facile gestire e vivere.
Nono­stante le cor­renti oppo­ste che domi­nano il campo della sua azione, la psi­chia­tria ha man­te­nuto sem­pre viva una tra­di­zione nobile di pas­sione, un inte­resse a con­te­stare i pro­cessi di nor­ma­liz­za­zione e la reclu­sione isti­tu­zio­nale del malessere.
Tra poco, senza cam­bia­menti radi­cali, di que­sta tra­di­zione si vedranno solo le ceneri. I luo­ghi della cura psi­chia­trica sono deso­lati e demo­ti­vanti. I gio­vani psi­chia­tri, for­mati come “ragio­nieri” della scienza far­ma­co­lo­gica, sono privi di capa­cità rela­zio­nali ade­guate e di cono­scenza della com­ples­sità psi­chica. Si difen­dono dai loro pazienti con pre­scri­zioni medi­che e com­por­ta­men­tali e delle richie­ste dei fami­liari accol­gono solo la stan­chezza e l’esigenza di libe­ra­zione da un peso insopportabile.
L’uso spre­giu­di­cato della far­ma­co­lo­gia e delle neu­ro­scienze, che segue i det­tami dei “mer­cati” e se ne frega del discorso scien­ti­fico, ha instal­lato al governo della cura delle emo­zioni un orga­ni­ci­smo, tanto spre­giu­di­cato quanto stu­pido, che vede in ogni espres­sione dei nostri sen­ti­menti l’estrinsecazione diretta di un geno­tipo o di una for­mula neurochimica.
Nell’affermazione di uno stile di vita da psi­co­tici nor­mali (“nor­mo­tici”), gioca un ruolo deter­mi­nante l’alleanza incon­scia tra gli oppo­sti: i repres­sori e i pre­sunti liberatori.
I “poli­ti­ca­mente cor­retti” offrono alla nuova recin­zione della paz­zia un soste­gno cul­tu­rale impen­sa­bile. Costoro vedono la devianza come esten­sione diver­si­fi­cata del benes­sere psi­chico e rifiu­tano di rico­no­scerla come la sua più insa­na­bile ferita e la sua più impla­ca­bile contraddizione.
La men­ta­lità dif­fusa che tende a vedere in un ogni deviante un “diver­sa­mente nor­male” — la prova che l’ipocrisia non è la medio­crità del sin­golo ma una piaga di massa– dà man forte ai silen­zia­tori scien­ti­fici della follia.
La fol­lia inter­roga la nostra pre­tesa di una vita sana che vuole fare a meno dell’imprevisto, della sof­fe­renza e della per­dita. Le pil­lole che ci rispar­miano il dolore bastano a silen­ziarla e se un vivere troppo felice ci appa­rirà troppo insi­pido, si tro­verà pure un rime­dio arti­fi­ciale per rein­tro­durre un po’ di disagio.
I pazzi con­te­stano il per­se­gui­mento psi­co­tico di una società di nor­mali, ma una civiltà di dro­gati li sconfiggerà.

Fonte: il manifesto

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