di Carlo Milani
Nel lungo e acceso dibattito sul terzo piano di salvataggio della
Grecia, ancor più che nei precedenti, la discussione europea sembra
essersi focalizzata su una visione moralistica e ideologica del
problema.
La Grecia, secondo il punto di vista dei paesi creditori, ha diverse
colpe da espiare: i) ha barato sui conti pubblici al fine di essere
ammessa nell’area euro; ii) si è indebitata troppo per sostenere la sua
domanda interna prima della crisi; iii) non ha fatto sufficienti sforzi
in questi anni per realizzare completamente le ricette dell’austerity.
Sul terzo punto non mi dilungo troppo, visto che anche uno dei
principali sostenitori delle politiche basate sull’austerity, ovvero il
Fondo monetario internazionale, ha avanzato forti dubbi sulla loro
efficacia (si vedano Olivier Blanchard e Daniel Leigh e Luc Eyraud e Anke Weber).
La bilancia commerciale
Voglio invece soffermarmi sugli altri due punti. Relativamente al maquillage
contabile messo in atto per far apparire il deficit di bilancio ben più
basso del suo livello effettivo, va in primo luogo sottolineato come
questo sia stato reso possibile dalla finanza internazionale e dall’uso
disinvolto dei derivati in quella pubblica, attitudine ancor oggi
diffusa in Italia (si veda Marcello Esposito).
Ma vi è di più: dal precoce accesso della Grecia nell’area euro gli
altri paesi che già ne facevano parte hanno tratto un notevole
vantaggio. Con l’ingresso nella moneta unica le esportazioni di Atene,
al netto delle importazioni, verso i principali paesi dell’Eurozona sono
andate nettamente peggiorando (grafico 1). Tra i principali beneficiari
c’è in primo luogo la Germania, che con l’entrata della Grecia
nell’euro ha visto aumentare il suo surplus delle partite correnti,
finora, di quasi 70 miliardi di euro, seguita a stretto giro
dall’Italia. Anche Francia e Spagna hanno incrementato le vendite di
beni e servizi nel mercato greco nella prima parte degli anni Duemila.
Al riguardo va notato come Regno Unito e Usa, paesi al di fuori
dell’euro, non abbiano invece registrato gli stessi miglioramenti nei
rapporti bilaterali con la Grecia. Dopo il primo piano di salvataggio,
la Germania ha continuato a essere il primo esportatore netto verso il
mercato ellenico, doppiando la quota dell’Italia (4 miliardi di euro
della Germania contro meno di 2 miliardi dell’Italia nel 2014).
I conti finanziari
Aspetto ancor più rilevante è su chi siano stati i finanziatori degli
squilibri della bilancia commerciale greca. Come si nota dal grafico 2,
con l’ingresso della Grecia nell’Eurozona c’è stato un progressivo
incremento dei capitali prestati dalle banche francesi e tedesche. In
altri termini, i paesi dell’Eurozona hanno erogato i finanziamenti
necessari affinché i greci potessero importare beni e servizi prodotti
in Europa (si veda Paolo Canofari, Piero Esposito, Marcello Messori e Carlo Milani).
Quando poi è scoppiata la crisi, i crediti concessi dalle banche
francesi si sono di fatto annullati, mentre quelli provenienti dalla
Germania si sono ridotti consistentemente. A incidere sulla riduzione
dell’esposizione verso la Grecia ha contribuito anche il secondo piano
di salvataggio condotto nel febbraio del 2012, che ha previsto un taglio
dei crediti vantati dai soggetti privati (Nicola Borri e Pietro Reichlin).
I capitali prestati dai governi europei nei due salvataggi della Grecia
hanno in ogni caso permesso la transizione, per cui il debito greco è
passato dalle mani private a quelle pubbliche (si vedano Jeromin Zettelmeyer, Christoph Trebesch e Mitu Gulati e Luigi Zingales).
In definitiva, le imprese private dei paesi creditori hanno tratto
notevoli guadagni dall’atteggiamento disinvolto dei greci nel periodo
successivo all’entrata nell’euro, da un lato vendendo loro prodotti made in Europe, e dall’altro incassando gli interessi sui finanziamenti erogati al fine di acquistare quei beni.
Fonte: lavoce.info
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