La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 29 luglio 2015

Doppia morale sulla crisi greca

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di Carlo Milani
Nel lungo e acceso dibattito sul terzo piano di salvataggio della Grecia, ancor più che nei precedenti, la discussione europea sembra essersi focalizzata su una visione moralistica e ideologica del problema.
La Grecia, secondo il punto di vista dei paesi creditori, ha diverse colpe da espiare: i) ha barato sui conti pubblici al fine di essere ammessa nell’area euro; ii) si è indebitata troppo per sostenere la sua domanda interna prima della crisi; iii) non ha fatto sufficienti sforzi in questi anni per realizzare completamente le ricette dell’austerity. Sul terzo punto non mi dilungo troppo, visto che anche uno dei principali sostenitori delle politiche basate sull’austerity, ovvero il Fondo monetario internazionale, ha avanzato forti dubbi sulla loro efficacia (si vedano Olivier Blanchard e Daniel Leigh e Luc Eyraud e Anke Weber).

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La bilancia commerciale
Voglio invece soffermarmi sugli altri due punti. Relativamente al maquillage contabile messo in atto per far apparire il deficit di bilancio ben più basso del suo livello effettivo, va in primo luogo sottolineato come questo sia stato reso possibile dalla finanza internazionale e dall’uso disinvolto dei derivati in quella pubblica, attitudine ancor oggi diffusa in Italia (si veda Marcello Esposito). Ma vi è di più: dal precoce accesso della Grecia nell’area euro gli altri paesi che già ne facevano parte hanno tratto un notevole vantaggio. Con l’ingresso nella moneta unica le esportazioni di Atene, al netto delle importazioni, verso i principali paesi dell’Eurozona sono andate nettamente peggiorando (grafico 1). Tra i principali beneficiari c’è in primo luogo la Germania, che con l’entrata della Grecia nell’euro ha visto aumentare il suo surplus delle partite correnti, finora, di quasi 70 miliardi di euro, seguita a stretto giro dall’Italia. Anche Francia e Spagna hanno incrementato le vendite di beni e servizi nel mercato greco nella prima parte degli anni Duemila. Al riguardo va notato come Regno Unito e Usa, paesi al di fuori dell’euro, non abbiano invece registrato gli stessi miglioramenti nei rapporti bilaterali con la Grecia. Dopo il primo piano di salvataggio, la Germania ha continuato a essere il primo esportatore netto verso il mercato ellenico, doppiando la quota dell’Italia (4 miliardi di euro della Germania contro meno di 2 miliardi dell’Italia nel 2014).
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I conti finanziari
Aspetto ancor più rilevante è su chi siano stati i finanziatori degli squilibri della bilancia commerciale greca. Come si nota dal grafico 2, con l’ingresso della Grecia nell’Eurozona c’è stato un progressivo incremento dei capitali prestati dalle banche francesi e tedesche. In altri termini, i paesi dell’Eurozona hanno erogato i finanziamenti necessari affinché i greci potessero importare beni e servizi prodotti in Europa (si veda Paolo Canofari, Piero Esposito, Marcello Messori e Carlo Milani).
Quando poi è scoppiata la crisi, i crediti concessi dalle banche francesi si sono di fatto annullati, mentre quelli provenienti dalla Germania si sono ridotti consistentemente. A incidere sulla riduzione dell’esposizione verso la Grecia ha contribuito anche il secondo piano di salvataggio condotto nel febbraio del 2012, che ha previsto un taglio dei crediti vantati dai soggetti privati (Nicola Borri e Pietro Reichlin).
I capitali prestati dai governi europei nei due salvataggi della Grecia hanno in ogni caso permesso la transizione, per cui il debito greco è passato dalle mani private a quelle pubbliche (si vedano Jeromin Zettelmeyer, Christoph Trebesch e Mitu Gulati e Luigi Zingales). In definitiva, le imprese private dei paesi creditori hanno tratto notevoli guadagni dall’atteggiamento disinvolto dei greci nel periodo successivo all’entrata nell’euro, da un lato vendendo loro prodotti made in Europe, e dall’altro incassando gli interessi sui finanziamenti erogati al fine di acquistare quei beni.

Fonte: lavoce.info

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