La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 30 luglio 2015

Il destino fatale dell'Occidente


di Marco Pacioni
Para­gone fra civiltà, ago­nia dell’occidente e agone della Ger­ma­nia. Metodo, destino e com­pito della ricerca di Spen­gler den­tro e intorno alla sua opera prin­ci­pale: Il tra­monto dell’occidente. Di due figure di rife­ri­mento di que­sto libro, dei pro­dromi e del pro­cesso che lo carat­te­riz­zano anche al cospetto di altri scritti di Spen­gler si occupa Fran­ce­sco Gagliardi, Il tra­monto di Faust. Oswald Spen­gler fra Goe­the e Nie­tzsche (Agua­plano, pp. 264, euro 20).
Seguendo Gagliardi nella sua rico­gni­zione di prima mano (tutta con­dotta sul tede­sco dell’autore), si evince il modo in cui, sin dalla tesi di dot­to­rato del 1904 dedi­cata a Era­clito, Spen­gler fac­cia pro­pria un’idea mor­fo­lo­gica e evo­lu­zio­ni­stica della vita delle civiltà. Per Spen­gler, nel pro­cesso meta­mor­fico delle cul­ture è cru­ciale il pas­sag­gio dalla Kul­turalla Zivi­li­sa­tion.

Allo sta­dio della Zivi­li­sa­tion appar­tiene il tra­monto di una civiltà, ma anche la disper­sione all’esterno di tutte le sue forze più signi­fi­ca­tive, quelle che in ori­gine ave­vano costi­tuito l’alba della sua Kul­tur. Tale con­ce­zione ciclico-vitalistica che com­porta il rifiuto di un’unica lineare pro­gres­si­vità della sto­ria e la con­se­guente accet­ta­zione della rela­ti­vità delle cul­ture non signi­fica però in Spen­gler il venir meno dell’idea dell’appuntamento sto­rico di una cul­tura spe­ci­fica con il destino uni­ver­sale delle civiltà.
Pro­prio attra­verso l’idea del destino epo­cale di una cul­tura Spen­gler cerca di ridare all’occidente e in par­ti­co­lar modo alla Ger­ma­nia una cen­tra­lità che non avreb­bero più potuto avere con il vec­chio sto­ri­ci­smo pro­gres­sivo e pro­gres­si­sta. E come in molta altra let­te­ra­tura sto­rica e poli­tica otto-novecentesca, anche nel Tra­monto dell’occidentea un certo punto si sente risuo­nare una parola d’ordine: il destino dei tede­schi per la Ger­ma­nia e l’occidente.
Segnato soprat­tutto dalla forma che Spen­gler chiama «socia­li­smo prus­siano» e ultima incar­na­zione occi­den­tale, il popolo tede­sco deveas­su­mersi un com­pito: «die eigen­tli­che Mis­sion der Deu­tschen als der Deu­tschen als der letz­ten Nation des Abend­lan­des».
Spen­gler serra le fila di una tra­di­zione di studi che, pur pre­sen­tan­dosi già alter­na­tivi allo sto­ri­ci­smo, ave­vano man­te­nuto un’ottica non nazio­nale, uni­ver­sale, uma­ni­stica nel riflet­tere sulle civiltà. Come ave­vano fatto Goe­the e Nie­tzsche che non ave­vano abban­do­nato una pro­spet­tiva glo­bale o quan­to­meno aperta, libera da destini civi­liz­za­tori ine­lut­ta­bili. E pro­prio con Goe­the e Nie­tzsche, come mostra il libro di Gagliardi, Spen­gler ingag­gia il con­fronto fon­da­men­tale per le sue tesi. Spen­gler impu­gna e neu­tra­lizza le idee del poeta e del filo­sofo e le inne­sta a un certo tipo di nazio­na­li­smo, all’inscindibilità del destino della Ger­ma­nia con quello dell’occidente – idea che molti faranno pro­pria fino alla fine della seconda guerra mon­diale. E gli spet­tri di una Ger­ma­nia über alles, a torto o a ragione, forse non a caso ven­gono agi­tati anche in que­sti mesi di scon­tro fra le diverse realtà euro­pee che sem­brano spin­gere con forza verso le iden­tità nazio­nali per sta­bi­lire quale di que­ste iden­tità sia la più degna inter­prete della civiltà e dell’occidente.
Le affi­nità mor­fo­lo­gi­che, quali quelle che com­pa­iono negli arditi para­goni fra civiltà dell’antichità e della moder­nità fatte da Spen­gler, pos­sono con­durre a risul­tati diversi da quelli che lo stesso autore argo­menta. Indi­vi­duare simi­la­rità tra periodi non vuol dire neces­sa­ria­mente pre­de­ter­mi­nare il destino di un’epoca come invece è quasi costretta a fare la pro­spet­tiva apo­ca­lit­tica del Tra­monto dell’occidente. Ed è forse anche a causa di que­sta pro­spet­tiva che lo sto­ri­ci­smo teleo­lo­gico che Spen­gler cac­cia dalla porta, in parte rien­tra dalla fine­stra e in una forma non meno inge­nua o ideo­lo­gica rispetto a quella che secondo l’autore carat­te­riz­ze­rebbe Hegel o Marx. In fondo, è in ragione del suo rin­no­vato pro­fe­ti­smo teleo­lo­gico che Il tra­monto dell’occidente ha salato il san­gue a gene­ra­zioni di intel­let­tuali fra loro molto diversi, ma tutti in qual­che modo in com­pe­ti­zione nello sta­bi­lire nuovi para­digmi mes­sia­nici della sto­ria e delle civiltà. Si pensi ad esem­pio a Jün­ger, Sch­mitt, Ben­ja­min, Heidegger.
Al di là della rin­no­vata idea mor­fo­lo­gica e evo­lu­zio­ni­stica delle civiltà, già pre­sente in Vico prima che in Goe­the, il por­tato del Tra­monto di Spen­gler non sem­bra tanto scon­trarsi con il pre­sunto aset­tico pro­gres­si­smo della sto­ria, ma con quelle visioni che non abbrac­ciano una nuova ver­sione dell’idea nazio­na­li­stica della Ger­ma­nia. Idea che a par­tire dal roman­ti­ci­smo con­tra­sta con quella uma­ni­stica e cosmo­po­lita di una parte della stessa cul­tura tede­sca della quale anche Goe­the e Nie­tzsche fanno parte. Il libro di Gagliardi, inqua­drando Spen­gler pro­prio fra Goe­the e Nie­tzsche, con­duce così a esplo­rare un para­digma più ampio e com­plesso che agi­sce nella cul­tura tede­sca e euro­pea in modi e con ruoli non sem­pre defi­niti e uni­formi. Come non sono defi­niti e uni­formi il Faust e il Mefi­sto­fele di Goe­the e lo Zara­thu­stra di Nie­tzsche, i quali sono anzi per­so­naggi sfac­cet­tati, calei­do­sco­pici, tanto che a ten­tare di guar­darli più da vicino danno facil­mente l’impressione di cam­biare forma acqui­sendo signi­fi­cati diversi da quelli che sem­brano avere ad un primo sguardo.
Se è vero l’aneddoto che vuole che Spen­gler abbia por­tato sem­pre con sé, e per­fino nella bara, libri di Goe­the e Nie­tzsche, forse è anche per­ché ha ten­tato fino alla fine di aver ragione del loro uni­ver­sa­li­smo e uma­ni­smo. Per Goe­the que­sti tratti uni­ver­sa­li­stici e uma­ni­stici sono evi­denti, fra gli altri scritti, pro­prio in uno di quelli che Spen­gler pre­di­li­geva: le Epo­che dello spi­rito. Per Nie­tzsche, una dimen­sione uni­ver­sa­li­stica e uma­ni­stica ben­ché cri­tica – poi svi­lup­pata da Adorno e Hor­khei­mer nella Dia­let­tica dell’illuminismo – è evi­dente non solo nello Zara­thu­stra, ma ad esem­pio anche in Umano, troppo umanoe Sull’utilità e il danno della sto­ria per la vita.
La stessa cri­tica alla Zivi­li­sa­tion di Nie­tzsche non porta alla rifon­da­zione di una Kul­tur desti­nale esclu­siva dei tede­schi. Inol­tre, la con­trap­po­si­zione tra Zivi­li­sa­tion e Kul­tur è in Nie­tzsche spesso anti­fra­stica e paro­dica. È una con­trap­po­si­zione sta­bi­lita per deco­struire sia l’idea della razio­na­lità pro­gres­siva sia l’epocalità della sto­ria, il suo sup­po­sto appun­ta­mento con il destino dell’occidente.
Per Goe­the e Nie­tzsche il destino, ancor­ché la deci­sione peren­to­ria dell’assunzione di una respon­sa­bi­lità epo­cale, sem­bra più essere il venire all’atto di ciò che è final­mente pos­si­bile nel tempo che non sta­bi­li­sce più forme, ma le acqui­si­sce per esserne esso stesso trasformato.

Fonte: il manifesto

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