
di Piero Bevilacqua
Chi vive a Roma ha la possibilità di sperimentare tutti i giorni
l'asprezza di una condizione urbana e civile che non mostra ormai da
anni un barlume di miglioramento. La speranza che qualcosa sia
progredito nella qualità dei servizi, nell'agibilità dei trasporti,
nella pulizia e decoro dei luoghi. Tuttavia è proprio la lunga durata di
questo degrado che dovrebbe mettere in sospetto sull' eccessivo carico
di responsabilità che si fa ormai da mesi al sindaco Marino. Prima che
le amministrazioni, occorrerebbe “inquisire”, nel senso etimologico del
termine, i cittadini. Come ha fatto con una bella pagina Melania G.
Mazzucco ( Se questo è il volto di una capitale, La Repubblica,
26/7/20159 ) La Mazzucco, opportunamente, estende a tutto il Paese
l'analisi antropologica della cialtroneria civile degli italiani, su
cui gravano non poche responsabilità dello stato presente delle nostre
città. Oggi tuttavia alla lunga durata della nostra storia si aggiungono
nuovi guasti, insieme alla devastante diminuzione di risorse destinate
alle pubbliche amministrazioni. L'etica civile, che prevede il senso
del bene comune e la condivisione, è corrosa dall'individualismo
edonistico della cultura dominante. In un Paese che ha nella sua
storia un debole disciplinamento civile – dipendente dalle scarse
capacità egemoniche delle sue classi dirigenti – il veleno nichilistico
del capitalismo attuale ha effetti dirompenti.
Nessuno si sente
cittadino, membro di una civitas, tutti individui che producono e
consumano. Crescente è poi la sfiducia dei cittadini nei confronti di
ogni potere istituzionale, e dunque langue il contratto sociale
quotidiano che impegna ognuno a fare la propria parte.
Questo non sgrava certamente Marino dalle sue responsabilità. Una su
tutte: l'incapacità di far sentire Roma inserita in un grande progetto
di rinascita di cui si stanno gettando le fondamenta e che chiama tutti
i cittadini a fare la propria parte. Questa capacità Marino non l'ha
espressa e forse non la possiede. Benché dalle interviste che rilascia
si scorge un onesto e oscuro lavoro di cambiamento delle strutture
profonde del potere romano. Tuttavia, le polemiche e le contestazioni
anche violente subite dal sindaco a margine della questione “mafia
capitale” sono molto rivelatrici di un modo errato e superficiale di
concepire la politica e i poteri di un leader. Tramontata la concezione
della politica come agire collettivo, oggi viene surrogata dalla visione
demiurgica del leader che, così come vince le elezioni, trasforma la
realtà e il destino delle persone con il suo agire solitario.Si è, ad
esempio, rimproverato a Marino di non essersi accorto del malaffare che
trescava attorno a lui. E in effetti una maggiore attenzione sarebbe
stata benvenuta.Ma se ci son voluti mesi di intercettazioni e indagini
della magistratura per scoperchiare la pentola, vuol dire che gli
scantinati malavitosi sotto il Palazzo erano ben nascosti. Il
groviglio di interessi che teneva sotto controllo la capitale mostra al
contrario quante difficoltà e condizionamenti doveva e deve subire la
politica democratica a Roma. E quindi le scoperte della magistratura
militano a favore di Marino, mostrando i limiti storicamente sedimentati
entro cui egli ha dovuto collocare in questi due anni la sua azione di
primo cittadino.
E qui si dimentica un passaggio storico importante. Un tempo, quando
esistevano i partiti di massa, i sindaci e gli assessori avevano un più
ampio controllo di legalità sugli ambiti dell'economia pubblica, sulle
pratiche amministrative, sulle persone. La partecipazione volontaria dei
cittadini alla vita politica diventava essa stessa strumento di
controllo e di trasparenza. Dunque l'azione di un leader non era
isolata, ma era parte di un 'azione collettiva che operava assieme a
lui, che trasformava le sue scelte in iniziativa politica.
Oggi i partiti, non più strumenti di emancipazione collettiva, ma al
servizio di individui in competizione, sono un coacervo di comitati
elettorali in reciproca contesa. E non stupisce che nella polemica di
questi mesi non emerga, in alternativa alla giunta in carica, se non
qualche nome di leader e mai una idea, che sia un'idea di Roma, un
progetto visibile e condivisibile di città.
L'indagine impietosa compiuta da Fabrizio Barca sul PD romano ha
mostrato a quale grado erano giunti tanti circoli di quel partito.
Ebbene, Marino non solo non ha più attorno a sé un partito di massa, ma
non poteva contare neppure su quel PD, che gli era significativamente
ostile. Molte delle opposizioni che oggi convergono contro il sindaco
andrebbero in verità esaminate nelle loro segrete e innominabili
motivazioni. Perché non bisogna dimenticare che il più potente dei
poteri romani, accanto a quello del Vaticano, è stato quello dei
costruttori. In subordine e spesso legato ai primi due, quello della più
opaca macchina amministrativa d'Italia. Oggi tali poteri vengono
colpiti e sono in difficoltà. E' su questi obiettivi che bisognerebbe
richiamare l'attenzione dei romani e degli italiani, oltre che sul
traffico soffocante e la sporcizia delle strade.
Fonte: Eddyburg
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