La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 31 luglio 2015

Il disastro al Sud, la nostra Grecia

di Roberto Ciccarelli
Il Sud, la nostra Gre­cia. Al set­timo anno di crisi – sostiene un’anticipazione del rap­porto Svi­mez sull’economia del Mez­zo­giorno 2015 pre­sen­tata ieri a Roma – l’emergenza con­cla­mata oggi è un disa­stro accer­tato. Il crollo della domanda interna, dei con­sumi e degli inve­sti­menti pro­dur­ranno uno stra­vol­gi­mento demo­gra­fico impre­ve­di­bile che ampli­fi­cherà la deser­ti­fi­ca­zione indu­striale e alla civile.
Come in guerra
Per il set­timo anno con­se­cu­tivo il Pil del Mez­zo­giorno è nega­tivo (1,3%, nel 2013 era –2,7%), cre­sce il diva­rio rispetto al Centro-Nord (-0,2%). La mappa di que­sto immane slit­ta­mento è così com­po­sta: tra il 2008 e il 2014, la crisi ha pro­dotto le per­dite più pesanti in Molise (-22,8%), Basi­li­cata (-16,3%), Cam­pa­nia (-14,4%), Sici­lia (13,7%), Puglia (-12,6%). Con­si­de­rato il primo quin­di­cen­nio dell’unione mone­ta­ria 2001–2014, quella che avrebbe dovuto creare una «con­ver­genza» tra il Nord e il Sud dell’Europa, lo Svi­mez con­clude che il Sud Ita­lia sta molto peg­gio della Gre­cia. Lo si vede dal tasso di cre­scita cumu­lato: la Gre­cia ha regi­strato un calo dell’1,% (conta qui la «cre­scita» prima dei vari «memo­ran­dum»), men­tre il Sud affonda con il –9,4% e il Centro-Nord regi­stra ancora un segno posi­tivo con l’1,5%. Que­sta diva­ri­ca­zione geo-economica pesa sulla per­cen­tuale del Pil nazio­nale che ha regi­strato un meno 1,1%. È il ritratto di un paese diviso all’interno di un con­ti­nente spac­cato sia dal punto di vista eco­no­mico che da quello sociale. E le distanze con­ti­nue­ranno ad aumen­tare a causa delle poli­ti­che di auste­rità che pro­du­cono reces­sione e disoccupazione.
Mappe della povertà
Una per­sona su tre a Sud è a rischio povertà, men­tre a Nord lo è una su dieci. Dal 2011 al 2014, sostiene lo Svi­mez, le fami­glie asso­lu­ta­mente povere sono cre­sciute a livello nazio­nale di 390 mila nuclei. A Sud c’è stata un’impennata del 37,8%, ma i numeri sono impie­tosi anche al Centro-nord: il 34,4%. La regione ita­liana dove più forte è il rischio povertà è la Sici­lia con il 41,8%, seguita a ruota dalla Cam­pa­nia (37,7%). In que­sta selva di numeri e per­cen­tuali un ele­mento è certo: in con­creto, essere poveri signi­fica oggi gua­da­gnare meno di 12 mila euro all’anno. In que­sta con­di­zione si trova il 62% della popo­la­zione meri­dio­nale, con­tro il 28,5% del Centro-Nord. Dramma in Cam­pa­nia dove que­sto numero aumenta ancora al 66%.
Lo Svi­mez cal­cola solo il numero dei poveri che non lavo­rano, non quello dei cosid­detti wor­king poors che rap­pre­sen­tano un’altra fac­cia della crisi che stiamo vivendo. Tra il 2008 e il 2014 l’occupazione nel Mez­zo­giorno è crol­lata del 9%, a fronte del meno 1,4% del Centro-Nord, oltre sei volte in più. Delle 811 mila per­sone che in Ita­lia hanno perso un posto di lavoro, e dif­fi­cil­mente lo ritro­ve­ranno se e quando finirà la crisi, ben 576 mila vivono tra Abruzzo e le Isole. Pur essendo pre­sente solo il 26% della popo­la­zione attiva, a Sud si con­cen­tra dun­que il 70% delle per­dite pro­dotte dalla crisi. Gli occu­pati sono tor­nati a 5,8 milioni. L’impatto psi­co­lo­gico, e non solo sociale, è stato immenso.
Lo Svi­mez riprende i dati dell’Istat secondo la quale viviamo al livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono dispo­ni­bili le serie sto­ri­che dell’istituto nazio­nale di sta­ti­stica. Tra il primo tri­me­stre 2014 e quello del 2015 è arri­vato un riflesso di miglio­ra­mento: gli occu­pati sono saliti nel paese di 133 mila unità, 47 mila vivono al Sud e 86 nel Centro-Nord. Segnali festeg­giati a suo modo come il segnale della “ripresa” dal governo che non con­si­dera il calo delle per­sone in cerca di occu­pa­zione. Nel primo tri­me­stre 2015, cal­cola lo Svi­mez, sono scese a 3 milioni 302 unità, 145 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2014.
Deser­ti­fi­ca­zione industriale
I sog­getti più col­piti sono le donne e i gio­vani under 34. Quanto alle prime, nel 2014 a fronte di un tasso di occu­pa­zione fem­mi­nile medio del 51% nell’Ue a 28, il Mez­zo­giorno era fermo al 20,8%tra le 35enni e le 64enni. Ancora peg­gio per le gio­vani donne con un’età com­presa tra i 15 e i 34 anni: solo una su 5 ha un lavoro. E quando si parla di lavoro, si parla nella mag­gio­ranza dei casi di pre­ca­riato. Que­sta frat­tura tra le gene­ra­zioni, e i sessi, si allarga nella tra­sfor­ma­zione della com­po­si­zione del mer­cato del lavoro che pena­lizza chi ha meno di 34 anni, e in par­ti­co­lare i gio­vani tra i 15 e i 24 anni, men­tre gli over 55 strap­pano qual­che posto di lavoro in più. 622 mila under 34 hanno perso un posto di lavoro tra il 2008 e il 2014, men­tre gli over 55 ne hanno gua­da­gnati 239 mila. Se a livello nazio­nale nel 2014 il tasso di disoc­cu­pa­zione era del 12,7%, al Sud que­sta per­cen­tuale arri­vava al 20,5% men­tre al Centro-Nord era al 9,5%.
Que­sta situa­zione è il pro­dotto di una «deser­ti­fi­ca­zione indu­striale» — così la defi­ni­sce lo Svi­mez – che ha visto crol­lare il valore aggiunto del set­tore mani­fat­tu­riero del 16,7% in Ita­lia, con­tro il 3,9% dell’Eurozona. A pesare è sem­pre il Sud che ha perso il 34,8% della pro­dut­ti­vità in que­sto set­tore e ha più che dimez­zato gli inve­sti­menti. In que­sto caso il crollo è totale: meno 59,3%. La crisi è pro­fonda anche al Centro-Nord dove la per­dita è stata però meno della metà del pro­dotto mani­fat­tu­riero (-13,7) e circa un terzo degli inve­sti­menti (-17%).
Tsu­nami demografico
Nel 2014 al Sud si sono regi­strate solo 174 mila nascite, livello al minimo sto­rico regi­strato oltre 150 anni fa, durante l’Unità d’Italia. Il tasso di fecon­dità è arri­vato a 1,31 figli per donna, ben distanti dai 2,1 neces­sari a garan­tire la sta­bi­lità demo­gra­fica e infe­riore comun­que all’1,43 del Centro-Nord. Que­sta con­di­zione riguarda anche i cit­ta­dini stra­nieri nel Centro-Nord. Il Sud è desti­nato a per­dere 4,2 milioni di abi­tanti nei pros­simi 50 anni, arri­vando così a pesare per il 27,3% sul totale nazio­nale a fronte dell’attuale 34,3%. Una pre­vi­sione sostan­ziata dai dati della migra­zione interna e infra-europea. Dal 2001 al 2014 sono migrate dal Mez­zo­giorno verso il Centro-Nord oltre 1,6 milioni di per­sone, rien­trate 923 mila, con un saldo migra­to­rio netto di 744 mila per­sone, di cui 526 mila under 34 e 205 mila laureati.
Sot­to­svi­luppo permanente
Que­sta deser­ti­fi­ca­zione è dovuta «all’assenza di risorse umane, impren­di­to­riali, finan­zia­rie che potreb­bero impe­dire di aggan­ciare la pos­si­bile ripresa e tra­sfor­mare la crisi ciclica in un sot­to­svi­luppo per­ma­nente». Si parla di denu­tri­zione, man­cati acqui­sti di vestia­rio e cal­za­ture (-16%, il dop­pio del resto del paese: 8%). Senza red­dito si rinun­cia ai ser­vizi per la cura della per­sona e non si inve­ste sull’istruzione. In altre parole, i tagli a que­sti set­tori pro­du­cono la per­ma­nenza del sot­to­svi­luppo e il sot­to­svi­luppo ali­menta la cre­scita dei ren­di­menti dei pochi ai danni dei molti. La cre­scita mini­male che sarà regi­strata nel 2015 in Ita­lia (+0,7% si dice) non sia il pro­dotto del sot­to­svi­luppo di alcune aree del paese a dispetto delle altre, e di que­ste rispetto ad altre zone dell’Eurozona. La «cre­scita» invo­cata è il risul­tato dell’impoverimento dra­stico e irre­ver­si­bile delle classi medio-basse e dei poveri che lavo­rano da dipen­denti pre­cari o da auto­nomi a favore di un’élite di oli­gar­chi sem­pre più ric­chi (lo 0,1% della popo­la­zione mon­diale). Que­sto è l’effetto del crollo dei con­sumi delle fami­glie, oltre due volte mag­giore a Sud (13,2%) rispetto a quella regi­strata in Ita­lia (-5,5%). Oggi ogni paese euro­peo ha il suo «Mezzogiorno».

Fonte: il manifesto

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