di Alessandro Robecchi
Dunque mettiamola così: il medico che per curarti la polmonite ti ha
amputato una gamba ora ti guarda perplesso. Dannazione, la polmonite non
è passata. Dunque propone di amputarti l’altra gamba. Sembra
una storiella per chirurghi, e invece è la storia del prodigioso Fondo
Monetario Internazionale, quello che di fatto gestisce e controlla
l’economia mondiale, un medico che se lavorasse in corsia farebbe più
morti della peste del Seicento.
La nuova vulgata ora è questa: bravini, avete fatto qualche sforzo
nella direzione da noi indicata (traduco: vi siete tagliati una gamba),
ma non basta. Per essere felici e tornare a correre nelle praterie del
benessere dovrete tagliarvi pure quell’altra. Quasi tutti riportano con
grande enfasi le parole dell’illustre medico, invece di rincorrerlo,
come sarebbe più comprensibile, con un martello molto pesante. E dunque
ecco: per riavere il tasso di occupazione pre-crisi, l’Italia dovrà
aspettare ancora una ventina d’anni, e questo se tutto va bene e si
fanno le riforme che il Fondo Monetario prescrive.
Tra queste, tenetevi
forte, la contrattazione decentrata di secondo livello (in italiano:
basta contratti nazionali, ogni fabbrica discuta col proprio
imprenditore), rivedere i modelli retributivi (in italiano: guadagnare
tutti un po’ meno), cambiare il sistema educativo (in italiano:
trasformare la scuola in una fabbrica di mano d’opera). Siamo ancora lì:
invece di alzarsi e cominciare a inveire, come farebbero in ogni
ospedale del mondo i parenti del degente, al ministero dell’economia
dicono che insomma, loro quelle cose le stanno già facendo. Disperante.
Fortunatamente, nota qualcuno, non è raro che il Fondo Monetario
prenda della cantonate, ma pare che questo non infici in alcun modo il
fatto che le sue ricette vengano accolte come sacre e inviolabili.
Insomma: la politica economica degli Stati la fanno quei signori lì, e
gli stati si adeguano. Ne fa in qualche modo fede l’accanirsi del
ministero del lavoro sui dati dell’occupazione, diffusi a piene mani
anche con criteri un po’ risibili. Esempio: se nella famiglia Brambilla
lavorava solo il padre e ora, avventurosamente o per merito, ha trovato
lavoro anche il figlio, è possibile rintracciare i titoloni sui
giornali: “Brambilla: raddoppiata l’occupazione!”, segue dibattito.
Invece si dice poco e male che i contratti a tempo indeterminato (si fa
per dire, perché senza articolo 18 sono tutti a termine a capriccio del
padrone) sono quasi tutti sostitutivi di altre posizioni, cha la
disoccupazione resta mostruosa, che l’80 per cento e più dei nuovi
contratti è a tempo determinato, cioè il vecchio caro precariato che si
voleva (ehmm…) sconfiggere.
Sono numeri che schiantano il paese, ma che in qualche caso – solo
per osservatori attenti – sotterrano anche una certa retorica farlocca
dispiegata a piene mani. Basta pensare all’enfasi con cui si propugna
come vincente e risolutiva la figura dell’imprenditore. Non c’è talk
show, pagina economica o rotocalco che non abbia in bella vista il
geniale imprenditore (delle salsicce, dei gelati, delle giacche a vento
in piuma d’oca) che tiene la lezioncina su quanto è bello fare i
padroni, con conseguente invito ai “giovani”: dai fatelo anche voi!
Risultati devastanti. Da un lato frustrazione per chi non ha un papà
finanziatore. Dall’altro gradi applausi per piccole, a volte geniali,
start-up, salvo poi andare a vedere e scoprire che fatturano milioni e
hanno un dipendente: la segretaria (se va bene). Creare valore per sé e
non lavoro e benessere per tutti, insomma, è considerato modernissimo e à
la page. Sempre in attesa, ovviamente, che il medico dica: perbacco,
nemmeno tagliare un’altra gamba ha fatto passare questa fastidiosa
polmonite, propongo di amputare un braccio. Applauso del paziente.
Fonte: MicroMega online
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