La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 1 agosto 2015

È la disoccupazione, bellezza

di Marta Fana
Sostiene l’Istat che il primo seme­stre 2015 si è chiuso con un anda­mento del mer­cato del lavoro per nulla posi­tivo: a giu­gno il tasso di disoc­cu­pa­zione per l’intera popo­la­zione è tor­nato al 12.7% e quello gio­va­nile rag­giunge il 44.2%. Il numero di occu­pati con­ti­nua a dimi­nuire a giu­gno di 22 mila unità in un mese, dopo il calo di mag­gio di 74 mila unità. Dimi­nui­sce anche il tasso di inat­ti­vità, spie­gato dalle con­di­zioni dram­ma­ti­che in cui ver­sano le fami­glie e non dalla fidu­cia ritro­vata (che pro­prio a giu­gno mostra un calo signi­fi­ca­tivo), come invece vuole farci cre­dere il governo.


Il calo del numero di occu­pati a giu­gno è stato trai­nato inte­ra­mente dalla com­po­nente maschile e gio­va­nile. Nel con­fronto con giu­gno 2014, in Ita­lia ci sono 40 mila occu­pati in meno: men­tre per gli uomini il numero di occu­pati dimi­nui­sce (-82 mila), per le donne aumenta spe­cu­lar­mente (+42 mila unità). Rispetto allo stesso mese del 2014, il tasso di disoc­cu­pa­zione maschile è aumen­tato del 7.5% (da 11.5 a 12.3 per­cento), men­tre quello fem­mi­nile è dimi­nuito del 3%, rima­nendo comun­que a un livello (13.1%) di gran lunga supe­riore alla media euro­pea. Nello stesso periodo, il tasso di occu­pa­zione dei gio­vani tra i 14 e i 25 anni è crol­lato dell’8% in un anno.
Varia­zioni con­si­de­re­voli riguar­dano anche il numero di inat­tivi (-18 mila rispetto a mag­gio) e il cor­ri­spon­dente tasso di inat­ti­vità, entrambi in dimi­nu­zione e trai­nati dalla mag­gior ricerca di lavoro da parte delle donne (-34 mila), men­tre gli uomini sem­brano sem­pre più sco­rag­giati. Tut­ta­via, i dati con­fer­mano che tra mag­gio e giu­gno l’aumento del tasso di disoc­cu­pa­zione è dovuto più alla ridu­zione del numero di occu­pati che a quella rela­tiva agli inat­tivi. Al con­tra­rio, sul con­fronto ten­den­ziale con giu­gno dello scorso anno, è vero che la ridu­zione del tasso di disoc­cu­pa­zione è deter­mi­nato prin­ci­pal­mente dal calo degli inattivi.



Il governo che doveva risol­vere — come molti altri che l’hanno pre­ce­duto — la disoc­cu­pa­zione, feno­meno strut­tu­rale aggra­vato dalla crisi, si rivela di fatto ina­de­guato ad affron­tare il pro­blema: l’unica poli­tica attiva è stata quella di rega­lare alle imprese miliardi di sgravi sul costo del lavoro da uti­liz­zare libe­ra­mente per accre­scere la pro­pria liqui­dità e pro­fitti piut­to­sto che inve­stire e creare occu­pa­zione. Il governo non è sol­tanto inca­pace di far fronte a un feno­meno dram­ma­tico, ma appare anche dele­te­rio, data l’assenza di pro­gram­ma­zione e i tagli al wel­fare. Se è pre­sto per giu­di­care in modo esau­stivo il Job­sAct, rimane incon­te­sta­bile che dall’insediamento del governo Renzi, il tasso di disoc­cu­pa­zione sia aumen­tato del 3.5% a fronte di un calo del tasso di inat­ti­vità di un esi­guo 0.2%.
Il Job­sAct pare non avere alcun effetto miglio­ra­tivo sul mer­cato del lavoro. Di fronte a que­sto qua­dro per nulla posi­tivo, governo e entou­rage pro­vano ad eva­dere il dato sui disoc­cu­pati per mezzo di argo­men­ta­zioni stru­men­tali, quando non mani­fe­sta­mente fuor­vianti e par­ziali. Non si può dar torto al respon­sa­bile eco­no­mico Pd Filippo Tad­dei quando afferma che il tasso di occu­pa­zione segue quello del Pil, tut­ta­via il para­gone è quan­to­meno infe­lice: in Ita­lia, la cre­scita del Pil segnata nel primo tri­me­stre 2015 è di appena lo 0.3% rispetto al tri­me­stre pre­ce­dente quando era nega­tiva: a conti fatti la situa­zione, pur­troppo, è quella di un paese in piena sta­gna­zione e i cui deboli segnali posi­tivi pro­ven­gono dall’andamento dell’economia euro­pea e glo­bale e non certo da una ritro­vata vita­lità del sistema Ita­lia. Il Pil nel primo tri­me­stre del 2015 è cre­sciuto meno di 20 euro a per­sona, per un totale di 1.181 miliardi di euro in più rispetto all’ultimo tri­me­stre del 2014, men­tre nello stesso periodo la domanda per con­sumi delle fami­glie con­ti­nua a dimi­nuire dato che la cre­scita non è uguale per tutti.
Pur di tro­vare un segnale di miglio­ra­mento il mini­stro del lavoro Giu­liano Poletti con­si­dera la ridu­zione delle ore di cassa inte­gra­zione come un aspetto ine­qui­vo­ca­bil­mente posi­tivo. Ma i dati sulle ore lavo­rate pub­bli­cati dall’Istat riguardo al primo tri­me­stre di quest’anno segna­lano come le ore lavo­rate aumen­tino a fronte di una ridu­zione degli occu­pati, soprat­tutto i dipen­denti nell’industria. Ciò indica che sem­pre più lavo­ra­tori sono chia­mati a fare straor­di­nari a con­di­zioni non sem­pre van­tag­giose. Rispetto alla Cig si cela il fatto che la can­cel­la­zione di alcune tipo­lo­gie come quella per ces­sa­zione di atti­vità, ha modi­fi­cato lo sta­tus dei lavo­ra­tori, che sono adesso in mobi­lità e quindi il numero di ore di cig non può che dimi­nuire. Ma le ore di cig dimi­nui­scono anche data la minore coper­tura degli ammor­tiz­za­tori in con­ti­nuità di con­tratto e nel caso di ces­sa­zione di atti­vità. Un det­ta­glio non for­nito dal governo.

Fonte: il manifesto

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