di Marta Fana
Gira voce che il Ministero dell’Economia italiano e l’Ocse abbiamo cambiato idea sulla politica economica. Chiedono oggi più investimenti, perché la crescita, dopo qualche trimestre di labile ripresa, ha subito un rallentamento, la domanda aggregata langue e i rischi di instabilità finanziaria si sono riaffacciati all’orizzonte. Questo «cambia verso» di facciata nasconde in sé il conservatorismo della politica e quindi degli interessi che guidano le istituzioni nazionali, europee e internazionali.
Nel documento «A Shared European Policy Strategy for Growth, Jobs, and Stability», il Ministero dell’Economia italiano riconosce la necessità di un intervento misto, basato sugli sforzi della politica monetaria, già avviati dalla Banca Centrale Europea, e su una politica economica più espansiva.
Bisogna sostenere la domanda e l’occupazione per rendere stabile e sostenibile la fragile ripresa che ha caratterizzato la zona euro. Insomma, è il momento degli investimenti, soprattutto di quelli ad alto contenuto di conoscenza, ricerca e innovazione. Tutto questo senza fare un passo indietro sulle riforme strutturali, che devono accelerare ed essere armonizzate in tutta la zona giacché, a detta del Mef «un forte impegno dal lato delle riforme strutturali darebbe la spinta alle opportunità di investimento e profitti».
Bisogna sostenere la domanda e l’occupazione per rendere stabile e sostenibile la fragile ripresa che ha caratterizzato la zona euro. Insomma, è il momento degli investimenti, soprattutto di quelli ad alto contenuto di conoscenza, ricerca e innovazione. Tutto questo senza fare un passo indietro sulle riforme strutturali, che devono accelerare ed essere armonizzate in tutta la zona giacché, a detta del Mef «un forte impegno dal lato delle riforme strutturali darebbe la spinta alle opportunità di investimento e profitti».
Sulla stessa linea d’onda si posiziona l’Economic Outlook dell’Ocse, secondo cui un programma di investimenti comune insieme alle riforme strutturali avrebbe un impatto sulla crescita del Pil più robusto, riducendo il rapporto debito/pil nel breve periodo. Inoltre, l’Ocse sottolinea come, di fronte a un contesto di diseguaglianza, le politiche da adottare devono essere tali da generare un impatto sui guadagni lungo l’intera distribuzione dei redditi. Nulla su cui perder tempo con i «ve l’avevamo detto». Al contrario, è necessario che tutte le forze a sinistra, alternative e progressiste (sindacati compresi) colgano l’ennesima occasione per smascherare le contraddizioni della strategia in atto e proporne una coerente con gli obiettivi che le competono.
Il governo italiano, dopo aver abbassato tutele e poter contrattuale ai lavoratori e ai disoccupati, chiede oggi maggiori investimenti. Per cosa? Per aumentare le opportunità di profitto. Gli investimenti aumenteranno l’occupazione, ma questo aumento non potrà più minare la quota profitti, che andrà alle imprese. Non è un caso se prima di sostenere la necessità degli investimenti, i governi nazionali e le istituzioni sovranazionali abbiano univocamente richiesto le riforme strutturali, prima tra tutte quella del mercato del lavoro accompagnata da una compressione della spesa sociale.
Una dinamica che rievoca, almeno per l’Italia, il periodo tra il 1992 e il 1993: l’allora governo aspettò che fosse concluso l’accordo sul costo del lavoro, prima di svalutare la lira. La stessa dinamica a cui, con elevata probabilità, assisteremo in Francia dove è attualmente in discussione la riforma del codice del lavoro, che mette in discussione non soltanto le 35 ore, ma anche le indennità di disoccupazione.
Ripartire dalla consapevolezza che le opinioni e richieste in atto non sono altro che una posizione in linea con gli interessi di ricomposizione del capitale e della sua profittabilità. Non bisogna cadere nell’inganno di un premio di consolazione dovuto all’accenno sull’innovazione, piuttosto generico e avanzato senza alcun riferimento ai settori nei quali le innovazioni dovrebbero applicarsi. La politica industriale che dovrebbe integrare e coordinare tali investimenti fa, non a caso, la parte del grande assente, così come non viene neppure menzionata la necessità non rinviabile di una politica salariale. Nessun accenno a tutti quegli investimenti a beneficio di quegli strati sociali maggiormente colpiti dalla crisi.
I bisogni di questi individui, scuola, casa, sanità sono volutamente ignorati in una visione elitaria dei processi di sviluppo, che omettono qualsiasi componente legata al progresso. Una politica che non lascia spazio a una realistica lotta alle disuguaglianze, di cui, attraverso una visione organica, dovrebbe farsi carico qualsiasi forza politica che si dichiari di sinistra.
Fonte: il manifesto
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