di Federico Larsen
Il governo di Mauricio Macri, arrivato alla Casa Rosada il 10 dicembre scorso, ha già mostrato le proprie carte. Con un'inflazione prevista attorno al 40% e 40.000 licenziamenti tra settore pubblico e privato, è riuscito a riattivare l'assopito sindacalismo argentino in soli settanta giorni. Mercoledì scorso i sindacati dei lavoratori statali hanno realizzato il primo sciopero generale della nuova era macrista, culminato con una manifestazione che ha raccolto 50.000 persone di fronte alla casa di governo. Movimenti sociali, partiti di sinistra e sindacati hanno ripudiato la politica economica di Macri, proprio mentre il presidente si apprestava a ricevere Francoise Hollande, chiaro segnalo dell’ allineamento internazionale dell'Argentina con le grandi potenze mondiali.
Le prime decisioni del presidente (tutte emesse attraverso decreti-legge) hanno dimostrato sin da subito la natura liberista del suo governo. Esenzioni fiscali per i latifondi agrari e le multinazionali impegnate nel settore estrattivo minerario, liberalizzazione del cambio che, in un paese dipendente dall'import-export, si ripercuote direttamente sui prezzi dei beni di consumo, blocco degli aumenti salariali e, come se non bastasse, un nuovo protocollo di sicurezza che permette di sciogliere le manifestazioni che intralciano il traffico “in cinque o dieci minuti”. Ma il dato più allarmante è sicuramente quello relativo ai licenziamenti: dall'insediamento di Macri ad oggi, 350 lavoratori al giorno hanno perso il loro posto di lavoro nell'amministrazione pubblica. Secondo il Ministro dell'Economia Prat Gay, si tratta del “grasso militante” dello stato, gente sistemata dai governi precedenti in cambio di favori politici. Con la scusa di escludere chi percepisce uno stipendio senza aver mai lavorato, i governi locali hanno dato il via a una vera e propria caccia alle streghe mettendo in pratica una forte persecuzione ideologica, approfittando per aumentare i tagli alla spesa pubblica.
Tutto questo accade in un periodo tradizionalmente chiave per il conflitto sociale argentino: nel mese di febbraio infatti si dispongono le attualizzazioni salariali dei contratti collettivi di statali e docenti, che segnano il tasso degli aumenti di stipendio in tutte le categorie. A fronte di un'inflazione media vicina al 30% annuo, le negoziazioni tra sindacati e stato cercano di prevedere la perdita di potere d'acquisto dei salari e stipulare ogni anno un nuovo tasso di salario minimo percepito dai lavoratori. Le manovre del governo hanno catapultato le previsioni di inflazione per il 2016 al di sopra del 40%, ma il presidente Macri ha annunciato di non essere disposto non a concedere più del 25% di incremento salariale. Queste scelte hanno portato alla reazione dei sindacati, che hanno aperto la stagione degli scioperi questa settimana.
In questo quadro generale si inseriscono sia l’attacco duro contro i lavoratori che le misure che favoriscono i settori produttivi più ricchi, definiti dal nuovo governo i “motori del cambiamento”. A fronte di una situazione che vede gli enti locali paralizzati dalla mancanza di lavoratori o dall'incertezza sulla loro continuità occupazionale, con gli istituti del welfare svuotati, e gli ospedali pubblici a corto di garze, Macri ha annunciato nelle ultime ore che sborserà 6 miliardi di dollari a favore dei “fondi avvoltoio”. Si tratta di capitali speculativi che hanno approfittato della bancarotta argentina del 2001 per incassare ingenti somme del debito estero grazie alla complicità dei tribunali statunitensi. Una litania ormai nota in Argentina: indebitarsi per pagare interessi sul debito estero e stringere la cinghia in casa.
Le prossime settimane quindi si prefigurano piuttosto agitate nel paese. “El Cambio” promesso da Macri pare stia portando la sinistra argentina verso una nuova tappa di conflitto, che con lo sciopero di questa settimana ha solo dato il primo passo. Il 24 di marzo, giorno del quarantesimo anniversario del colpo di stato militare del 1976, Barack Obama arriverà in visita ufficiale in Argentina. Sebbene Washington e Buenos Aires abbiano assicurato che si tratta di pura coincidenza, il viaggio è stato interpretato come una vile provocazione, visto l'appoggio che gli Stati Uniti hanno dato al governo militare, colpevole di torture, di assassinii e dei 30.000 desaparecidos. Sarà probabilmente quello il prossimo appuntamento in piazza per i movimenti argentini, che stanno reagendo con una certa timidezza di fronte all’offensiva della destra contro diritti conquistati a partire dalle ribellioni popolari del dicembre del 2001.
Eppure, visto il susseguirsi di novità sul fronte del lavoro, non è da escludere che lo scontento si faccia sentire forte anche prima del 24 marzo. Di fatto i docenti hanno già messo in dubbio l'inizio delle lezioni in tutto il paese, previste per il il 29 di febbraio, in assenza di una risoluzione della questione salariale. Sembra abbia avuto termine l'ostinata moderatezza del conflitto sociale durante i dodici anni di governi peronisti. La nuova politica economica potrebbe addirittura riunire ciò che gli ex presidenti Nestor e Cristina Kirchner sono riusciti a dividere e contenere: il conflitto sociale e le lotte dei lavoratori.
Foto di Francesca Belotti da Buenos Aires.
Fonte: dinamopress.it
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