di Tiziana Terranova
Nella ormai sterminata produzione di testi, studi e analisi sulle reti informatiche e i media digitali, non capita davvero spesso di imbattersi in un libro, quale quello scritto da Giorgio Griziotti, capace di coniugare un competente sguardo tecnico con una coerente prospettiva teorica e una evidente passione politica. Come questa sintesi sia stata possibile, Griziotti ce lo racconta nella sua premessa, il momento in cui sceglie di mettere la sua soggettività in campo seguendo quella esortazione femminista che ha insistito e continua a insistere (da Donna Haraway, Gayatri Spivak e Sandra Harding a Rosi Braidotti e Karen Barad) sull’importanza di un sapere situato e corporeo, parziale e partigiano, che si distende a partire da un luogo e un tempo specifico piuttosto che da una prospettiva disincarnata e ostentatamente imparziale.
Come non sottolineare dunque che questo è un testo in cui si incrociano, come Griziotti ci racconta all’inizio e come ci lascia intravedere attraverso tutto il libro, diverse dimensioni esistenziali in una ricerca animata da grande passione politica nutrita dal «comune dell’apprendimento» dell’auto-formazione collettiva.
Come non sottolineare dunque che questo è un testo in cui si incrociano, come Griziotti ci racconta all’inizio e come ci lascia intravedere attraverso tutto il libro, diverse dimensioni esistenziali in una ricerca animata da grande passione politica nutrita dal «comune dell’apprendimento» dell’auto-formazione collettiva.
Giorgio Griziotti è un ingegnere informatico, un programmatore e dunque è uso all’intensa attività di corpo a corpo solitario con il linguaggio e i codici che coraggiosamente estende dalla programmazione di software alla scrittura saggistica. Uno dei primi esperti informatici a laurearsi nella intensa atmosfera culturale, sociale e politica del caldo e lungo 1968 italiano (che alcuni dicono sia durato fino al 1977), egli rappresenta in un certo senso una inflessione italiana dell’esperienzahacker raccontata da Steven Levy nella sua classica storia degli hackers americani. A differenza di questi ultimi, il suo rapporto con il computer non è mediato dal libertarianismo americano che si esprime nella pulsione a liberare la macchina informatica dal controllo burocratico, ma dalla rivoluzione copernicana dell’operaismo marxista italiano, con la sua rilettura del Frammento sulle macchinedei Grundrisse, e la scoperta della scienza e della tecnologia come incarnazione delgeneral intellect, il sapere incarnato nella macchina produttiva capitalista su cui si gioca la danza aperta di sfruttamento, resistenza e liberazione. La militanza politica e l’esilio in Francia, dove continuerà a lavorare in una grande azienda multinazionale dei servizi informatici per la telefonia, lo spingono a sperimentare in prima persona sia le trasformazioni produttive del general intellect che mobilitano le tecnologie in quanto mezzi di sfruttamento, controllo e estrazione del plusvalore che quelle pratiche di auto-formazione e nomadismo a cui affida le speranze di nuove forme di organizzazione. È in questo contesto che la pratica operaista della conricerca si dispiega in una trasformazione in cui si mescolano, si avvicendano, e si sovrappongono le modalità della produzione industriale e quella post-industriale e le forme di controllo, resistenza e lotta che vi corrispondono. A differenza della classica politica epistemologica delle avanguardie che aspirano a dirigere le classi subalterne, Griziotti ha praticato la conricerca come modo per produrre una trasformazione della soggettività sia del ricercatore sia dei luoghi attraversati dalle mutazioni scientifiche e tecnologiche: il mondo del lavoro e della produzione rimodellati dalla nuova pervasività di tecniche e tecnologie quali il real time computing e la Enterprise Resource Planning, la tecnica che pianifica, integra e assoggetta nell’ecosistema-impresa le meccaniche delle fabbricazioni automatizzate ed i processi cognitivi tesi verso la massimizzazione di rendita e profitto; quello della vita e del consumo che si scoprono esse stesse biopoliticamente produttive attraverso una integrazione del lavoro gratuito, delle emozioni, degli affetti e delle virtualità del corpo nella valorizzazione economica; e quello dell’organizzazione animata da una spinta emancipatoria e inventiva che rivolta le tecnologie contro lo sfruttamento. È una scrittura dunque con una affinità profonda con gli scritti di programmatori ehackers, con i saggi di Richard Stallman sul copyleft o l’Eric S. Raymond di La Cattedrale e il Bazaar ma anche con quelli italiani del collettivo Ippolita o di Jaromil, dove la critica competente allo «stato di cose» dell’informatica e della computazione si apre sempre a possibilità liberatrici e emancipatorie.
Così come l’attività solitaria della programmazione è trasformata dalla messa in moto del comune della cooperazione sociale dell’open source e delle reti peer-to-peer, anche la scrittura solitaria del saggio teorico di Griziotti è nutrita e trasfigurata attraverso la partecipazione a modalità di auto-formazione attivate da reti di ricerca eccentriche e esterne al mondo dell’accademia ufficiale e mainstream, con i suoi steccati disciplinari e le sue dinamiche di cooptazione. La pratica di apprendimento costruita sulla base della cooperazione e della condivisione militante si differenzia inoltre dal metodo dalla modalità pubblica della ricerca (quale quella finanziata dagli stati o da organismi transnazionali come l’Unione Europea sulla base di «bandi» che specificano obiettivi e metodi) e quella privata (con la sua enfasi sulla monetizzazione dei risultati sotto forma di copyright e brevetti). Il metodo di conricerca operaista che sottende questo libro è in sintonia con lo spirito hacker, dei cui limiti pure Griziotti scrive, ma anche con l’idea dicommonfare, o welfare del comune su cui hanno scritto Andrea Fumagalli e Carlo Vercellone. Come ne La Cura, progetto di altri due meravigliosi hacker della conoscenza contemporanei, quali Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, una condizione esistenziale (per Iaconesi diventare «malato-di-cancro» nella macchina de-umanizzante degli ospedali e del sistema sanitario nazionale, per Griziotti esule e ingegnere informatico dentro una grande azienda de-sindacalizzata, precarizzata e sottoposta alla spinta devastante della competitività interna) è contrastata tramite una condivisione e co-produzione di sapere che innesta delle dinamiche di emancipazione da quella divisione del lavoro tra esperti e non esperti, tra erogatori di servizi e meri pazienti/clienti.
È alla sua partecipazione alle reti di auto-formazione politica collettiva (il seminarioDu public au commun a Parigi, le università libere Uninomade e Effimera) dunque che Griziotti deve la tesi fondamentale che attraversa il libro: quella delle trasformazioni del capitalismo dalla produzione industriale a quella postindustriale e biopolitica. È un libro popolato da concetti (bio-ipermedia, general intellect, aristocrazia cognitaria, capitalismo bio-cognitivo, sussunzione reale) ma anche di spaccati su tecnologie onnipresenti tanto quanto spesso invisibili e opache (il funzionamento della memoria del computer e degli algoritmi dei media sociali; ilCustomer Relationship Management e la Computer Telephony Integration; le onnipresenti apps e i videogiochi). Viviamo in una transizione sociale, economica e tecnologica che porta il capitalismo a farsi da industriale a bio-cognitivo, a estendere il produrre fino al cuore del vivere e delle forme di vita, in quella «bio-ipermedialità» fatta di reti sociali e dispositivi mobili e intimamente connessi al corpo che Griziotti da anni documenta in saggi e articoli apparsi in rete, sulle pagine di reti universitarie autonome o riviste sociologiche e culturali. Questa transizione si esprime non solo nella trasformazione e innovazione tecnologica, ma anche nel modo in cui la mediazione tecnologica investe il corpo sociale, dalle allergie e le malattie autoimmuni alle sindromi di burnout innescate dalla iper-competitività precaria, dall’ansia e stress costituite dal modo in cui l’attenzione diventa parte centrale e integrante del lavoro e il cellulare si materializza come dispositivo biopolitico nella compenetrazione tra coscienza e rete elettronica. Attraverso le tre sezioni (produrre, vivere, organizzarsi) e i loro intermezzi Griziotti ci conduce nel mezzo di queste trasformazioni con un occhio vigile, informato e percettivo sull’intersecarsi di produzione, politica e vita: la relazione tra architettura p2p e client/server, il diffondersi dell’Open Space e del Telelavoro, il social network di impresa e ilknowledge-management, il rapporto tra l’affermarsi di una intelligenza robotica e la richiesta politica di un reddito universale, la sfida ambientale costituita dall’accumulo di rifiuti elettronici (l’e-waste), l’aristocrazia cognitaria delle start up, l’integrazione capitalista delle criptomonete, le nuove soggettività dei makers e dei loro Fablab, e quindi anche il rapporto tra comune e finanziarizzazione, tra affermazione dell’autonomia del general intellect bio-ipermediato e nuove strategie di captazione del valore. Un libro complesso, articolato e appassionato, denso di informazioni, intuizioni e concetti che di per sé stesso è testimone della vitalità delgeneral intellect nell’epoca della produzione bio-ipermediata contemporanea.
Esce in questi giorni giorni, presso Mimesis, Neurocapitalismo. Mediazioni tecnologiche e linee di fuga di Giorgio Griziotti. Questa è l’Introduzione di Tiziana Terranova, anticipata su Alfabeta2 per gentile concessione dell’editore.
Fonte: Alfabeta2
Originale: http://www.alfabeta2.it/2016/02/26/10931/
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