di Tiziana Barillà
Centri in cui identificare rapidamente, fotosegnalare e registrare le impronte digitali dei migranti in arrivo. Centri che ci chiede l’Europa, a noi italiani e ai greci. Questo sono gli hotspot. Strutture di transito – e non di accoglienza – che hanno lo scopo di classificare i migranti: migranti “economici” o richiedenti asilo. In 48 ore (estensibili al massimo a 72 ore), dunque, si decide il destino di chi sbarca: rimpatrio per i primi (economici) domanda di protezione internazionale per i secondi. Quarantotto ore, solo quarantotto ore. Tempi strettissimi. Ne consegue che la classificazione avviene per lo più in base alla nazionalità del migrante. E, talvolta, come denunciano Marco Bova, Francesco Bellina e Marta Gentilucci, l’immediatezza si traduce in una classificazione basata sul colore della pelle: nero? Migrante economico; più chiaro? Richiedente.
A chi è classificato migrante economico, poi, viene rilasciato un foglio di via (per l’auto-rimpatrio) e mandato in strada. Ne è un esempio l’hotspot di Trapani (uno dei tre attivi in Italia, insieme a Lampedusa e Pozzallo). Dove, come denunciano gli autori, i 196 migranti sbarcati a inizio gennaio sono stati frettolosamente classificati “migranti economici” ed è stato intimato loro l’ordine di lasciare il territorio italiano entro 7 giorni. Morale della favola: 196 persone abbandonate a loro stesse, si riversano per le strade di Trapani.
Hotspot Factory è un sistema che – insieme a frontiere e muri – mette a nudo l’incapacità della Commissione Europea di far fronte al problema senza cadere nell’ideologia dell’emergenza. Nell’istant doc gli autori e gli ospiti intervistati, tra cui il professor Fulvio Vassallo dell’Università di Palermo.
Allarmismi e approssimazione. Fretta e perseveranza nell’ostinarsi a non considerare le persone come individui, ma come “fogli bianchi” sui quali apporre un numero, un codice e una data di espulsione. Per la cronaca, i migranti in arrivo nell’intera Europa rappresentano lo 0,1% della popolazione europea; in un Paese come il Libano rappresentano il 25% della popolazione libanese. L’Europa si sgretola sotto gli occhi di Schengen.
Fonte: Left
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