di Giovanna Ricoveri
“Finita la festa, gabbato lo santo”. Questo proverbio calza a pennello per l’accordo sul clima raggiunto a Parigi nel dicembre scorso, su cui è calato un silenzio di tomba.
Tutti d’accordo a parole, ma nei fatti niente è cambiato: in Italia e in Europa, la politica ruota intorno al debito pubblico, non al debito verso la biosfera.
Il debito pubblico fa male ma non è mortale per la popolazione, mentre quello verso la biosfera lo è, perché crea uno squilibrio crescente tra il prelievo di risorse naturali e la capacita di rigenerazione della natura, distruggendo così le condizioni di sopravvivenza delle comunità.
Il grido dell’America latina nella crisi del debito estero degli anni 1970, “Pagar es morir, queremons vivir”, riassume il problema: il destino dei popoli del Sud è segnato in entrambi i casi, perché restituire il debito con gli interessi alle banche straniere significa trasformare l’economia, la società e l’ambiente naturale in funzione dei paesi creditori, invece che delle popolazioni locali. Come spiega Wendell Berry, lo scrittore-contadino statunitense nel suo libro La strada dell’ignoranza, accettare la distruzione delle proprie comunità significa perdere parte della nostra memoria, e dunque di noi stessi.
Il grido dell’America latina nella crisi del debito estero degli anni 1970, “Pagar es morir, queremons vivir”, riassume il problema: il destino dei popoli del Sud è segnato in entrambi i casi, perché restituire il debito con gli interessi alle banche straniere significa trasformare l’economia, la società e l’ambiente naturale in funzione dei paesi creditori, invece che delle popolazioni locali. Come spiega Wendell Berry, lo scrittore-contadino statunitense nel suo libro La strada dell’ignoranza, accettare la distruzione delle proprie comunità significa perdere parte della nostra memoria, e dunque di noi stessi.
L'imperativo è, oggi come ieri, “salvare le banche, non i profughi”, che muoiono annegati o di fame e di sete, o di freddo, assiepati davanti ai fili spinati alzati in fretta e furia da molti paesi europei, senza che Bruxelles abbia aperto nessuna “procedura d’infrazione”, non prevista dai regolamenti europei. Nessuno parla di come salvare i profughi – i boat people, come quelli della guerra in Vietnam nel secolo scorso, che non si fermeranno quali che siano le politiche di respingimento nei loro confronti. Non ne parla neppure chi riconosce e racconta le condizioni disumane imposte dall’Europa a milioni di vittime di guerre e devastazioni ambientali, causate anche - se non soprattutto - dagli interessi geopolitici dei paesi occidentali.
Fonte: Ecologia Politica
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