Intervista a Stefano Rodotà di Silvia Truzzi
Le parole del giorno sono “fedeltà” e “fiducia”: concetti che si potrebbero estendere anche alle promesse e ai valori sbandierati. Il professor Rodotà da poco ha pubblicato un saggio che s’intitola Diritto d’amore: gli abbiamo chiesto di cosa sono la spia forma e sostanza del pasticcio legislativo del ddl Cirinnà.
«La procedura – risponde – è un effetto dell’incapacità politica di gestire la situazione. Quando Renzi si è trovato di fronte a divisioni che mettevano in discussione punti essenziali della legge, non ha scelto la strada del confronto, ha pensato di aggirare il problema con il solito espediente procedurale: il supercanguro. Strumento che non era necessario visto che era caduta la maggioranza degli emendamenti: era possibile aprire una trattativa politica. Quandol’Unità pubblica l’sms di Airola alla Cirinnà dà la prova che si è cercato un accordo sottobanco».
La trattativa l’hanno fatta con l’Ncd, un partito che ha più ministri che elettori.
«E così si è arrivati alla mozione di fiducia. Molti del Pd hanno ammesso l’inadeguatezza della gestione politica, per non aprire la questione con i cattodem. Il M5s ha chiesto perché non c’è stato un incontro ufficiale con i capigruppo. Semplice: per non svelare le divisioni interne».
La stepchild adoption era una fattispecie circoscritta. Ma l’hanno fatta passare come l’anticamera delle adozioni gay tout court.
«Sono state dette cose inaudite, razziste e omofobe. E gravi inesattezze scientifiche come nell’intervento del presidente dei pediatri italiani. Bisognava discutere partendo dagli orientamenti della giurisprudenza sulla base della legge dell’83 sulle adozioni. Siamo di fronte a una situazione già affrontata da una molteplicità di sentenze – due capitali:una della Corte d’appello di Torino e una del Tribunale di Roma – e la strada era già tracciata. Nel mio libro c’è un capitolo che s’intitola ‘Giudici attenti, legislatori impotenti’. Il tema è stato affrontato quasi sempre con grande oculatezza e realismo dalla magistratura, ma ancora una volta il legislatore ha perso un’occasione».
È una mezza vittoria?
«Per celebrare il risultato ora dicono che è solo l’inizio. Ovvio: meglio che ci sia una regolamentazione, ma non dimentichiamo i suoi enormi limiti. Purtroppo gli interventi sono stati, tutti, finalizzati a segnare il massimo di distanza possibile tra le unioni civili e il matrimonio. In assoluta controtendenza con la Carta europea dei diritti fondamentali che ha modificato la Convenzione europea cancellando la diversità di sesso per tutte le forme di organizzazione familiare. L’ultimo esempio è l’esclusione della fedeltà, una forzatura che si risolve in un’ulteriore discriminazione per le coppie dello stesso sesso. Non si tiene conto che il divieto di discriminazione per l’orientamento sessuale è una delle novità più importanti della Carta dei diritti, dove non si parla solo della discriminazione in base al sesso, che è un dato biologico, ma anche in base all’orientamento sessuale, che è una costruzione culturale. Nella Cirinnà l’orientamento sessuale è stato il confine per abbandonare l’articolo 5 sulle adozioni parentali. Causando una doppia discriminazione: ai danni della coppia e dei figli».
Si aspettava questo esito?
«Ho sentito evocare la sentenza 138/2010 della Consulta, che porrebbe un vincolo insuperabile: non si può andare verso il matrimonio egualitario. Nella discussione sulla legge se ne è data una lettura ancora più restrittiva sottolineando in ogni occasione la distanza tra matrimonio e unioni civili. Ma c’è un fondamento comune nell’affetto, nella gestione della vita familiare, nella costruzione della genitorialità: i due istituti s’incontrano. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2015 lo dice esplicitamente. Questa legge, che avrebbe dovuto sanare una discriminazione, non fa altro che ribadirla. La discussione deve restare aperta per riaffermare una linea di politica del diritto che possa farci andare oltre questa infelice giornata».
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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