di Antonio De Lellis
Due settimane fa ho partecipato ai funerali di Giulio Regeni perchè era amico di mio figlio. Ho seguito ogni istante della sua ricerca, del tragico ritrovamento, delle indagini e del saluto finale. Ho parlato con i genitori dicendo loro che potevo essere al loro posto e ascoltando la loro rabbia, il loro smarrimento, lo smisurato dolore ho pensato che nessuna persona dovrebbe perdere il proprio figlio e ancor di più nessuno dovrebbe subire quello che ha subito quel corpo.
Quando parlo con qualcuno di questo caso non posso fare a meno di sfiorare con il pensiero le atrocità subite da quel corpo nel pieno del suo vigore. Arrestato, torturato, ucciso e fatto ritrovare in un fosso accanto ad una strada. Ho ascoltato in silenzio, tra le lacrime, come tutti, quelle due ore di celebrazione ricche di spunti di riflessione, in italiano e in inglese, al freddo e sotto la pioggia.
Le parole del parroco e degli intervenuti hanno parlato di dolore, di tolleranza, di intelligenza, di capacità di ricerca di un giovane eccellente che ha unito con la sua breve esistenza il mondo accademico soprattutto inglese, statunitense, egiziano e italiano. E poi fino al cimitero, un lungo corteo silenzioso, con tanti giovani. Persino gli studenti di Cambridge con le loro divise eleganti. I giornalisti, tanti, ma tenuti a bada, infastidivano comunque perchè erano alla ricerca di emozioni che non potevano essere raccontate. Ciascuno con il suo dolore, ciascuno con la propria incredulità senza poter dar senso alla ferocia di un potere dittatoriale con cui l’Italia fa affari da molto tempo.
Le parole del parroco e degli intervenuti hanno parlato di dolore, di tolleranza, di intelligenza, di capacità di ricerca di un giovane eccellente che ha unito con la sua breve esistenza il mondo accademico soprattutto inglese, statunitense, egiziano e italiano. E poi fino al cimitero, un lungo corteo silenzioso, con tanti giovani. Persino gli studenti di Cambridge con le loro divise eleganti. I giornalisti, tanti, ma tenuti a bada, infastidivano comunque perchè erano alla ricerca di emozioni che non potevano essere raccontate. Ciascuno con il suo dolore, ciascuno con la propria incredulità senza poter dar senso alla ferocia di un potere dittatoriale con cui l’Italia fa affari da molto tempo.
Giulio è stato barbaramente torturato e ucciso perché faceva semplicemente il proprio dovere: studiava i fenomeni sociali laddove questi vengono considerati oppositori di una falsa stabilità che viene utilizzata dall’Occidente per controllare un’area strategica per l’economia e la finanza mondiale. Sì, è morto perchè studiava i fenomeni sindacali in mezzo ai poveri venditori ambulanti, tra i più poveri dell’Egitto. In questo amato territorio, la cui stoira antica tutti hanno studiato, che molti ancora vorrebbero visitare, si è consumato l’ennesimo atto di repressione, questa volta a danno di uno di noi, di un giovane, uno dei più capaci, dei più preparati, dei più curiosi che aveva un grande senso della libertà e della giustizia. Sin da piccolo era stato sindaco del governo dei ragazzi del suo paesello. I suoi amici raccontavano di questa grande visione dell’impegno per la libertà e per la giustizia. Ripetevano una sua frase: “ruolo dello Stato dovrebbe essere quello di supportare le genuine aspirazioni di libertà dei propri giovani”. E la domanda che ognuno di noi si è fatta è stata: questo Stato ha saputo supportare le legittime aspirazioni di questo giovane? Quando uno Stato fa affari con un regime dittatoriale supporta le legittime aspirazioni dei propri giovani? Io dico che invece è complice di quelle atrocità perchè con quegli affari li giustifica, li copre e le rende possibili.
La storia di Giulio e la sua ricerca incompiuta è stata la più nota ricerca di un giovane dottorando sulla reale condizione di oppressione di un popolo. Peccato che è stata scritta e raccontata col sangue. Tutti hanno scoperto all’improvviso che cos’è l’Egitto di oggi e che l’Italia fa affari lucrosi con governi dittatoriali, oppressivi, feroci. I soldi non hanno odore, ma hanno colore. E quelli che l’Italia fa con il governo egiziano, vendendo anche armi, sono di colore rosso perchè insanguinati dai tanti arrestati, torturati, uccisi e fatti sparire. Giulio li ha rappresentati ed era quello che voleva fare, ma senza morire. Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto ad un semplice, capace, onesto ricercatore.
Quella crudeltà che ogni giorno viene utilizzata contro chi si oppone alla miseria, all’ingiustizia, alla mancanza di libertà si è scaricata su un giovane che poteva avere una vita splendida davanti a sè, ma che ha preferito conoscere e raccontare la verità dei soprusi quotidiani e della voglia di ribellarsi democraticamente. Sì l’ho detta: questa è l’unica verità che scopriremo sul caso di Giulio. Le altre, le tante falsità mostrate come verità, che sono state utilizzate per depistare e insabbiare non dovranno offuscare l’immagine e il ricordo di questo valido e coraggioso giovane italiano che aveva voglia di raccontare per svegliarci dal nostro torpore e dalla nostra passività.
Penso in tutta sincerità che Giulio è morto fisicamente, ma il suo spirito, la sua inesauribile volontà di testimoniare vivano in molti che considero “la meglio gioventù”. Non parliamo più male dei giovani perchè essi rappresentano il meglio dell’Italia che vuole lottare, vivere e far vivere.
Fonte: comune-info.net
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