di Andrea Incorvaia
Tra i meandri della nostra costituzione, tra i principi fondamentali che la compongono ve ne sono alcuni che, a causa del loro pregnante significato, costituiscono dei veri e propri cardini per la vita quotidiana del nostro Paese. L' articolo 9 ad esempio è uno di questi, “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Il focus è la tutela, un termine nobile e imprescindibile se ritiene opportuno salvaguardare la memoria storica collettiva.La tutela che oggi, a causa di una discutibile riforma, sembra completamente messa in secondo piano rispetto a delle mere esigenze di profitto. La riforma del codice degli appalti, il famigerato silenzio-assenso, la “supervisione” delle Prefetture: tutti dati inequivocabili dello smantellamento in atto di un altro pezzo della nostra legge fondamentale.
Come asserisce Salvatore Settis in un articolo edito qualche giorno orsono - “Il disegno era sopprimere le Soprintendenze archeologiche (e la relativa Direzione Generale), accorpandole con Belle Arti e Paesaggio. Perché, invece, non vengano accorpate le restanti direzioni generali (dieci !) è un mysterium fidei che sfugge alla comprensione degli umani. Contorcendosi come un’anguilla, il Superiore Ministero prima accorpa tre tipi di Soprintendenza in un anno, poi triplica i sottosegretari in una notte (29 gennaio). Prima spiega che porre i Soprintendenti alla «dipendenza funzionale» dai prefetti (legge Madia) non li esautora, ora insinua che azzerare le Soprintendenze archeologiche serve a “resistere” ai prefetti nelle conferenze dei servizi. Prima sussurra che il silenzio-assenso targato Madia non è poi così grave, ora sostiene che spegnere le Soprintendenze archeologiche è «necessario e urgente per attuare il silenzio assenso”- parole condivisibilissime.
Se da una parte infatti una riforma era necessaria per provare a rilanciare veramente il settore, ormai dilaniato da lotte intestine tra funzionari e dirigenti, “invecchiato” nel personale e nella mente con un blocco delle assunzioni tragico e infausto, non s capisce il perché del concretizzarsi infine di una riforma al ribasso. A che serve tagliare, “razionalizzare” quando le direzioni regionali rimangono intonse e i sottosegretari triplicano? La macchinosità di un Ministero ormai completamente legato alla governance centrale, piegato a logiche “illogiche”.
In tutto questo tourbillon d'eventi che caratterizzano e caratterizzeranno i mesi a seguire, il ministro Franceschini padre della riforma, dichiara ad esempio che il passaggio della linea TAV nell'alto vicentino porterà al paesaggio, anzi lo valorizzerà rendendolo migliore. Le dichiarazioni istituzionali, in questo caso non stupiscono più di tanto poiché episodi simili sono ben noti: basti pensare alla firma e al consequenziale accordo scritto nel 2014 per la realizzazione di un autogrill su una porzione dell'Appia antica. Il bene culturale, il paesaggio che lo contiene concepito solo ed esclusivamente come contorno. Si pensa alla valorizzazione dei musei andando però a scorporarli completamente dalle soprintendenze. Siamo sicuri che questo taglio del cordone ombelicale, possa generare risvolti positivi? Un errore imperdonabile per un paese dai più e legittimamente considerato alla stregue di un “museo a cielo aperto”. Snellire i procedimenti burocratici, modernizzare il settore, superare il deleterio e insensato blocco delle assunzioni: tutti temi fondamentali se il paese vuole veramente essere rimesso in moto.
La direzione sembra però opposta; al netto dell'analisi generale sulla riforma (criticata da molti, ma “apprezzata” da altri) sembra alquanto inopportuno provare a rilanciare il settore investendo sul volontariato, servizio civile (il bando sul giubileo è l'apice di questo discorso) e concorsi teleguidati precostituiti da bandi poco “inclusivi”. Salvare chi dovrebbe occuparsi di tutela equivale a salvare il tutelato,cioè il paesaggio. I dati del rapporto ISPRA sul consumo di suolo infatti sono allarmanti: se la media nazionale risulta essere del 7% ( in grande aumento rispetto alle percentuali degli anni '60 dove si registrava un 2% del dato ndr), esistono comparti territoriali che presentano scarti altissimi; più del doppio rispetto alla meda nazionale, senza bisogno di citare casi conclamati come quelli di Roma e Milano ( es. Modena presenta un dato che sfiora i 20 punti di percentuale).
Una tendenza che bisogna assolutamente invertire, poiché dal paesaggio passa tutto: vita, storia e futuro.
Fonte: Il Becco
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