di Giuseppe Civati
L'intervento dell'Antitrust sul mostro Mondazzoli ci ricordano perché il pluralismo, le regole per tutelarlo e la concorrenza leale sono fondamentali e sono condizioni per una migliore convivenza, per un mercato più maturo, per una maggiore qualità del sistema.
Il primo passo, necessario, sarebbe quello di distinguere le parti politiche, auspicando il pluralismo di parti in conflitto tra loro, piuttosto che l'unico partito del tutti-dentro e sistemi elettorali congegnati apposta per costruirlo. A ciò è collegata la necessità di immaginare un sistema istituzionale fatto di pesi e contrappesi, di sedi decisionali e altre (!) di controllo, in una dialettica che finalmente liberi il sistema.
Il secondo, quello di liberare la politica dai condizionamenti eccessivi di gruppi di potere (vedi alla voce Sanders). Si può fare: si possono raccogliere decine di migliaia di euro, anche centinaia, da più sottoscrittori (come sta facendo Possibile: presto daremo i dati, tutti tracciati e rendicontati), senza dipendere da nessuno.
Il terzo, quello di dotarsi di normative più serie e rigorose (anche rispetto alla recente approvazione della legge sul conflitto di interessi, che fa solo un timido passo in avanti rispetto alla Frattini di berlusconiana cultura e memoria). I richiami della Ue sulla corruzione e la dura presa di posizione di Cantone, che lamenta la scarsità di risorse, ce la dicono lungo sulle scelte che riguardano le priorità.
Il quarto, quello di allontanare personaggi che alla politica guardano solo con interesse personale e diretto e hanno una concezione proprietaria del potere. E magari non allearsi con loro: dal punto di vista diciamo così pedagogico, Verdini e i cosentiniani non sono proprio un simbolo della politica della trasparenza e dell'autonomia.
Il quinto, quello di non chiudersi in cerchi di potere, anche geografici. Ricordate quando Renzi diceva di voler superare il sistema degli «amici degli amici»? In effetti, per questo governo contano solo «gli amici», quelli conosciuti bene, che hanno fatto le scuole insieme, che vivono nel raggio di un centinaio (massimo!) di chilometri o che hanno espresso la chiara fedeltà (per non dire consonanza) con le cerchie più strette (e i cerchi sono sempre più stretti, fino al primo, «che men loco cinghia», come diceva un fiorentino di qualche tempo fa).
Le concentrazioni eccessive in un sistema democratico e in un mercato in cui si possa parlare davvero di merito senza dire le stronzate che si sentono ogni giorno sull'argomento, non vanno autorizzate. Mai. Si chiama liberalismo, nella migliore accezione del termine (più Gobetti che Trump, per capirci): tutti si dicono liberali, ma in Italia sono rimasti pochi. Pochissimi.
Fonte: ciwati.it
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