La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 1 agosto 2015

La Rai di Renzi: rivince la Gasparri, perde il servizio pubblico

di Vincenzo Vita
Si è con­cluso il primo tempo, con l’approvazione a mag­gio­ranza del testo del governo da parte dell’aula del senato, della tri­ste com­me­dia della (contro)riforma della Rai. Il secondo atto avrà luogo a set­tem­bre alla camera dei deputati.
Tut­ta­via, come in un giallo sur­rea­li­sta, il finale sarà noto ai let­tori già la pros­sima set­ti­mana, quando — mar­tedì — si riu­nirà la com­mis­sione par­la­men­tare di vigi­lanza per eleg­gere sette dei nove com­po­nenti del con­si­glio di ammi­ni­stra­zione del ser­vi­zio pub­blico, cui si aggiun­ge­ranno imman­ti­nente i due del mini­stero dell’Economia, tra i quali il pre­si­dente dell’azienda in pec­tore.
E poi, l’indicazione del diret­tore gene­rale che, a legge appro­vata o magari attra­verso un pic­colo decreto (ci sarebbe da stu­pirsi?), dismet­terà la gri­sa­glia per indos­sare il maglion­cino di ordi­nanza «mar­chion­ne­sca», sim­bolo dell’amministratore dele­gato «che non deve chie­dere niente».
Il resto, forse, verrà. Tanto è chiaro che il dise­gno di legge varato in prima let­tura è un puro simu­la­cro, il cui unico punto di rilievo sta pro­prio nella figura del potente ad, in fieri a prescindere.
Il testo, per­sino peg­gio­rato dal pas­sag­gio in com­mis­sione con gen­tili aper­ture con­so­cia­tive, asse­gna senza meriti la meda­glia a Gasparri. Il nuovo ver­tice nasce con la legge dell’ex mini­stro e l’ipotetica novella in corso d’opera ne discende come un bignamino.
Delle belle pro­po­ste di Sel e Civati sulla for­ma­zione di un con­si­glio di garan­zia espresso dalla società civile, non­ché della inap­pun­ta­bile richie­sta 5Stelle di cono­scere con anti­cipo le com­pe­tenze dei ver­tici nulla rimane. Il rullo com­pres­sore ha tra­volto gli emen­da­menti, anche quelli timi­da­mente miglio­ra­tivi. Salvo la felice bat­ta­glia — pas­sata tra lo stu­pore di diversi com­men­ta­tori– con cui la «sini­stra dem» ha otte­nuto la can­cel­la­zione della delega in bianco al governo sulla ride­fi­ni­zione del canone.
Quest’ultimo — secondo alcuni — andrebbe abo­lito. Secondo altri è la pub­bli­cità che va estir­pata, per dare luogo a tanti mae­stri Manzi duri e puri. Magari in bianco e nero. Del resto, il «duo­po­lio» riguarda ormai Sky e Media­set. Con Net­flix in dirittura.
La Rai in serie B, se non più in basso. Que­sto è il sot­to­te­sto del testo. Il ser­vi­zio pub­blico è la vit­tima sacri­fi­cale di equi­li­bri che, se ci sono, al momento sem­brano un colpo ai fian­chi della stessa iden­tità col­let­tiva.
Viene il sospetto che l’intera trama verrà illu­mi­nata — e non al meglio — al momento del rin­novo della con­ven­zione con lo stato. A mag­gio del 2016, insomma domani.
Una Rai inde­bo­lita e fra­stor­nata arriva all’appuntamento cru­ciale senza cer­tezze e priva di una visione.
Infatti, il tema reale che sta inve­stendo gli anti­chi broa­d­ca­ster pub­blici riguarda la risco­perta delle moti­va­zioni in grado di infon­dere forza pro­get­tuale alla sfera pub­blica nell’era digi­tale: garan­zia per tutti di acce­dere gra­tui­ta­mente alle sva­riate piat­ta­forme tec­no­lo­gi­che, tutela del plu­ra­li­smo, pro­du­zione di film e audio­vi­sivi ita­liani ed euro­pei in accordo con Cine­città , navi­ga­zione libera e neu­trale nella rete, free soft­ware e con­di­vi­sione, aper­tura ai gio­vani e alla spe­ri­men­ta­zione crea­tiva. Nella migliore delle ipo­tesi diven­terà legge un medio­cre arti­co­lato sulla divi­sione dei poteri, con l’aggravante della lesione costi­tu­zio­nale avve­nuta mediante lo spo­sta­mento secco del bari­cen­tro dal par­la­mento al governo.
Tra­la­sciamo, per non rei­te­rare il disa­gio delle e nelle coscienze, la beffa del rin­novo del con­si­glio con la com­mis­sione par­la­men­tare, dopo la furia ico­no­cla­sta del «fuori i partiti».
Brutta, orri­bile sto­ria. C’è da essere soli­dali dav­vero con chi opera nel ser­vi­zio pub­blico con lo spi­rito giu­sto. Per citare qual­che clas­sico, l’antica lot­tiz­za­zione fu forse una tra­ge­dia (ma non solo), quella che ci aspetta rischia di essere una farsa. Amara e offensiva.
Non ci resta che pian­gere? Non ci si può arren­dere. Una linea e una pra­tica alter­na­tiva vanno pazien­te­mente costruite. Già in que­sti giorni. Non fini­sce qui.

Fonte: il manifesto

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