La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 29 luglio 2015

Roma e le altre

di Michele Prospero
Per­ché a Roma emerge solo un ceto poli­tico di scarsa qua­lità? Per­ché il sup­porto ammi­ni­stra­tivo fidu­cia­rio di sin­daci e gover­na­tori, cioè i più alti fun­zio­nari, erano per­so­naggi ambi­gui, finiti nelle cro­na­che di mafia capi­tale? La per­so­na­liz­za­zione senza par­titi pro­duce mostri, altro che modello-Roma, nuovo rina­sci­mento.
Con la sua comu­ni­ca­zione poli­tica volu­ta­mente priva di sim­boli di par­tito, Marino por­tava alle estreme con­se­guenze il rac­conto che nel corso degli anni ‘90 ha avuto un suo fascino, ma che era ormai ridotto a un chiac­chie­ric­cio spento: quello dell’uomo della società civile, garan­zia di disin­te­resse e com­pe­tenza.
Il suo slo­gan era non per la poli­tica, ma per Roma. Un’integrale spo­li­ti­ciz­za­zione del mes­sag­gio era ricer­cata anche dal suo vice sin­daco i cui mani­fe­sti si segna­la­vano per una dub­bia crea­ti­vità «Nieri non per caso», «Nieri, oggi e domani».
Il mes­sag­gio sco­lo­rito e spo­li­ti­ciz­zato è in fondo la foto­gra­fia per­fetta della con­di­zione romana che mostra un’amministrazione senza poli­tica, una pro­gres­siva subal­ter­nità del ceto poli­tico alla ragna­tela degli affari. Oltre alle trame ille­cite affio­rate con le inchie­ste “Mafia Capi­tale”, c’è un più pro­fondo rap­porto di dipen­denza che lega le ammi­ni­stra­zioni capi­to­line e i grandi inte­ressi. Lon­tani i tempi del Pci che com­bat­teva la ren­dita urbana, che si mobi­li­tava per la riqua­li­fi­ca­zione delle bor­gate e per poli­ti­che di pro­gram­ma­zione urba­ni­stica, le giunte di sini­stra hanno con­sen­tito auten­tici sac­chi di Roma, con il mat­tone come loco­mo­tiva di un effi­mero svi­luppo.
Non solo con le poli­ti­che dell’immaginario (notti bian­che) hanno inse­guito i fan­ta­smi di una città post-materialista, nella quale la dimen­sione este­tica pre­va­leva sul sociale, la parata di stelle aveva la pre­fe­renza sulla que­stione delle abi­ta­zioni, della vivi­bi­lità delle peri­fe­rie. Ma hanno con­sen­tito, con gli scambi tra modici ser­vizi verdi desti­nati pre­sto all’incuria e gene­rose con­ces­sioni edi­li­zie, che Roma diven­tasse una città infi­nita, con illi­mi­tate dero­ghe ai piani rego­la­tori, con cen­tri com­mer­ciali immensi ovun­que dis­se­mi­nati.
Non avendo più par­titi a loro soste­gno, e quindi ritro­van­dosi privi di una potenza orga­niz­za­tiva auto­noma che con­senta di resi­stere alle pres­sioni, i sin­daci sono espo­sti al vento dei media e del denaro. Gli inqui­lini dei palazzi del potere sono costretti a più miti con­si­gli dai gior­nali di pro­prietà dei palaz­zi­nari, in grado di creare opi­nione e quindi di deter­mi­nare le car­riere poli­ti­che. Il fug­ge­vole corpo elet­to­rale e l’ossequioso staff per­so­nale che occupa le giunte, non con­fe­ri­scono auto­no­mia deci­sio­nale ma accen­tuano l’esposizione degli ammi­ni­stra­tori ai piani dei gruppi di pressione.
Il mat­tone e l’immaginario diven­tano i sim­boli delle poli­ti­che urbane prive di ogni pro­get­tua­lità e orien­ta­mento secondo un senso sociale. La for­tuna dei sin­daci dipende dall’amicizia con il grande con­cen­trato di potere eco­no­mico e media­tico ope­rante nella capi­tale.
Nel luglio del 2000, per deci­dere la lea­der­ship dell’Ulivo, si tenne un ver­tice riser­vato in Sar­de­gna tra Vel­troni, un espo­nente della Mar­ghe­rita e l’imprenditore De Bene­detti. Dal cilin­dro uscì il nome del sin­daco Rutelli come sfi­dante di Ber­lu­sconi al posto del pre­mier in carica Amato.
La poli­tica pre­si­den­zia­liz­zata, che vende il mito del lea­de­ri­smo asso­luto, è in realtà debole, suc­cube verso i gio­chi dei grandi inte­ressi. Le stesse cam­pa­gne di stampa con­tro i dis­ser­vizi capi­to­lini non nascono solo per denun­ciare il degrado che si espande, ma anche per asse­con­dare la fame spe­cu­la­tiva dei padroni dei media, che annu­sano il lucro di pri­va­tiz­za­zioni a buon mercato.
Men­tre in tanti par­lano di sac­che di socia­li­smo muni­ci­pale da sman­tel­lare con le pri­va­tiz­za­zioni, l’evento nuovo di que­sti anni è pro­prio la cre­scita del numero di impren­di­tori, di uomini del com­mer­cio e delle pro­fes­sioni che si but­tano in poli­tica in vista di una città-azienda da con­qui­stare, incu­ranti di ogni con­flitto di inte­resse. La pri­va­tiz­za­zione del potere è la vera ano­ma­lia del pre­si­den­zia­li­smo muni­ci­pale che sfio­ri­sce nel deserto di una poli­tica orga­niz­zata.
Quello che più col­pi­sce nella deca­denza romana è la dif­fi­coltà di varare una giunta di qua­lità nella capi­tale, con tre grandi uni­ver­sità, con il cen­tro nevral­gico dell’amministrazione sta­tale, con il mondo delle pro­fes­sioni, delle arti crea­tive, dell’informazione. Il rim­pa­sto di giunta non risolve que­sto defi­cit. Una metro­poli in declino non si salva con asses­sori impo­sti da logi­che interne al Pd e che accet­tano un inca­rico d’emergenza con­ti­nuando a fare i par­la­men­tari.
L’autunno di Roma, che ha avuto per sin­daci i segre­tari della Mar­ghe­rita, dei Ds e poi del Pd inter­roga il senso deca­dente del ven­ten­nio. Con­si­glieri comu­nali che hanno le risorse e la pos­si­bi­lità poli­tica per aprire sezioni ter­ri­to­riali per­so­nali, zone rosse come il Testac­cio con­qui­state da ex Udc per con­durre poli­ti­che fami­li­sti­che di ascesa, il feno­meno di tes­sere false, il mer­cato delle pre­fe­renze sve­lano i costi cor­rut­tivi della per­so­na­liz­za­zione della poli­tica.
Il mar­ziano Marino è solo un meteo­rite caduto per caso sulla capi­tale, ma il deserto etico-politico della città, e il mar­chio d’infamia di una sini­stra subal­terna ai signori dei media e del denaro, evoca altre respon­sa­bi­lità e sol­leva la que­stione capi­tale della rina­scita di una sini­stra cri­tica e autonoma. 

Fonte: il manifesto

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