di Stefano Sylos Labini
La fotografia che emerge dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ
sull’economia del Mezzogiorno 2015 presentate il 30 luglio 2015 a Roma è
tragica. Il Sud scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il
settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo
(-1,3%); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni
fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali
sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso
stretto addirittura del 59%; nel 2014 quasi il 62% dei meridionali
guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord,
mentre la perdita occupazionale dopo sette anni crisi è stata di oltre
575.000 unità.
2. La “Green economy” come opportunità di crescita per il Mezzogiorno
Ma non dobbiamo considerare questa
situazione come qualcosa di immodificabile: il Mezzogiorno ha delle
grandi potenzialità di crescita, però, serve un impegno del governo
nazionale per farle realizzare.
I settori delle nuove tecnologie energetiche e più in generale le attività legate alla green economy
sono in forte espansione e sono caratterizzate da un notevole dinamismo
tecnologico e industriale a livello mondiale. Per un’area in ritardo di
sviluppo questa può rappresentare un’ottima occasione per entrare in
nuovi settori emergenti non ancora consolidati e per diventare essa
stessa un luogo di localizzazione di produzioni che hanno un alto
contenuto di ricerca e di innovazione. Al riguardo è importante
segnalare che il Mezzogiorno dispone di una rete universitaria di alto
livello con Dipartimenti specializzati in aree scientifiche che possono
ben raccordarsi ai settori dell’industria ambientale: nel Sud sono
presenti 35 strutture universitarie che operano in comparti
scientifico-tecnologici, pari ad oltre il 25% del totale nazionale.
Inoltre, sono presenti anche importanti centri di ricerca pubblici del
CNR e dell’ENEA che svolgono attività di R&S nei settori delle nuove
tecnologie energetiche, dell’efficienza energetica e dei nuovi
materiali. Tale situazione costituisce un terreno molto favorevole per
gli spin-off della ricerca pubblica e più in generale per la nascita e la crescita di imprese innovative.
Le energie rinnovabili e l’efficienza energetica rappresentano la componente principale della green economy,
ossia di un’economia a basso impatto ambientale, che comprende una
vasta gamma di attività. Un’economia più ecologica può essere infatti
costruita anche attraverso lo sviluppo dell’agricoltura di qualità, la
riconversione dell’industria manifatturiera, la produzione di beni a più
basso impatto ambientale, gli interventi nel sistema dei trasporti e
nel settore dei rifiuti e attraverso la ristrutturazione del
patrimonio edilizio.
La crescita delle nuove tecnologie per
le energie rinnovabili e per l’efficienza energetica, oltre a permettere
di ridurre i consumi di combustibili fossili, l’inquinamento e le
emissioni di anidride carbonica, costituisce una grande opportunità per
stimolare la crescita. E ciò vale per la produzione di nuovi beni, per
la nascita di imprese in settori innovativi, per una riconversione
industriale volta ad innalzare l’efficienza energetica dei processi
produttivi, a ridurre le emissioni inquinanti e la produzione di
rifiuti, a usare in modo più efficiente acqua, materie prime e prodotti
intermedi, a utilizzare materiali a minore impatto ambientale, a
riciclare gli scarti della lavorazione. Dunque, la green economy
può avere sviluppi interessanti sia per quel che riguarda le
innovazioni di prodotti esistenti e il miglioramento dei processi
produttivi, sia per la progettazione di nuovi prodotti ad alto contenuto
di innovazione e quindi per la crescita di nuovi settori di attività,
sia per lo spostamento di settori tradizionali verso nuove produzioni.
Più precisamente, esistono grandi
margini di miglioramento in termini di efficienza energetica e di
riduzione dell’impatto ambientale in prodotti esistenti come
l’automobile, i mezzi navali, gli elettrodomestici, i motori elettrici
per l’industria, i prodotti in metallo; nei processi produttivi dei
settori ad alta intensità di energia come la metallurgia e la
petrolchimica; nei settori del Made in Italy come l’agroalimentare, il legno-arredamento, il tessile-abbigliamento e la ceramica; nel settore edilizio.
Tra i nuovi prodotti ad alto contenuto
di innovazione rivestono, ad esempio, particolare interesse i materiali
biodegradabili e le bioplastiche in sostituzione dei prodotti chimici e
delle materie plastiche; i nuovi autoveicoli ibridi, elettrici e a
idrogeno in sostituzione dei tradizionali veicoli a benzina; i prodotti
dell’agricoltura biologica.
In sintesi, la crescita di nuovi settori
di produzione e la riconversione di quelli esistenti possono riguardare
processi di innovazione e di trasformazione della gran parte dei
settori economici, come l’agricoltura, l’industria, i trasporti, e
l’edilizia. Allo stesso modo, la transizione di un sistema energetico
basato su grandi impianti a combustibili fossili verso un sistema più
decentrato che sia in grado di sfruttare le fonti rinnovabili
rappresenta un cambiamento epocale per il nostro sistema economico. Tali
cambiamenti richiederebbero una programmazione e politiche energetiche e
industriali da parte del Governo, delle Regioni e degli Enti locali,
elevati investimenti sia pubblici sia privati e un coinvolgimento
sempre maggiore delle Università e dei centri di ricerca. Inoltre, la
riconversione energetica e produttiva implica un ruolo attivo del
lavoro, in quanto l’innovazione non passa solo attraverso gli
investimenti delle imprese ma dipende anche dal coinvolgimento dei
lavoratori che, attraverso le loro competenze, possono dare una spinta
determinante sia ai processi di innovazione della produzione e dei
prodotti sia all’organizzazione della produzione.
Infine, lo sviluppo di un’economia
ecologica permetterebbe di migliorare notevolmente la qualità
dell’ambiente e l’accoglienza del territorio e quindi consentirebbe di
aumentare l’attrattività turistica delle regioni meridionali che
costituisce un punto di forza per l’economia del Mezzogiorno.
3. La debolezza delle regioni e delle imprese meridionali e l’importanza di una politica industriale a livello nazionale
Forti criticità hanno impedito al
Mezzogiorno di utilizzare al meglio le risorse finanziarie nazionali ed
europee e di realizzare al massimo le potenzialità di crescita di cui
dispone. In linea generale si è parlato dell’assenza di una “strategia
unitaria” della politica di coesione, che non ha dato coerenza e
continuità alla realizzazione degli interventi e di un’eccessiva
frammentazione di tali interventi.
Un fattore negativo di particolare
importanza è derivato dal permanere di una bassa qualità delle
infrastrutture che affligge le regioni del Mezzogiorno. In primo luogo,
questa situazione scoraggia l’insediamento di imprese multinazionali che
potrebbero svolgere un ruolo trainante nei confronti delle piccole e
medie imprese locali con le commesse che verrebbero attivate
dall’attuazione di grandi investimenti e con la conseguente diffusione
di know-how sul territorio. In secondo luogo, il deficit
infrastrutturale condiziona la nascita e lo sviluppo delle imprese
locali e quindi rende più difficile innescare processi di sviluppo
industriale “dal basso”. Nel quadro della generale debolezza
infrastrutturale del Mezzogiorno, va sottolineata l’arretratezza della
rete elettrica che determina congestioni del sistema di trasmissione e
interruzioni del servizio elettrico nella rete di distribuzione e non
favorisce l’utilizzo diffuso delle tecnologie energetiche innovative che
sono caratterizzate da una certa variabilità nella produzione di
elettricità.
Inoltre, se è vero che le Regioni
meridionali spesso non sono dotate di personale qualificato in grado di
valutare e di selezionare i migliori progetti tecnologici e industriali
afferenti l’impiantistica ambientale, è altrettanto vero che spesso le
Regioni non hanno di fronte interlocutori industriali in grado di
presentare progetti di una certa consistenza. Il risultato è la
frammentazione e la dispersione delle iniziative senza che vengano
raggiunti obiettivi precisi e misurabili. In particolare, è emersa
l’incapacità di attivare filiere produttive, di costituire modelli
integrati di ricerca, produzione e utilizzo, anche con il coinvolgimento
di grandi imprese esterne al Mezzogiorno, e di lanciare progetti pilota
su cui aggregare le imprese locali.
4. Linee di intervento
Per promuovere lo sviluppo di
un’economia ecologica occorre un’azione politica su vari livelli:
industriale, infrastrutturale e di governance. Le Regioni
meridionali non devono essere lasciate sole nella gestione dei fondi
europei e nei rapporti con l’industria, ma dovrebbero essere affiancate
dal Governo centrale il quale potrebbe utilizzare tutti gli strumenti a
sua disposizione, a partire dalle grandi imprese, per mettere in campo
dei progetti tecnologici e industriali di respiro, in grado di
esercitare un’azione trainante sul tessuto produttivo locale.
Il settore dei trasporti presenta delle
problematiche particolari poiché una grande massa di finanziamenti è
rivolta verso il potenziamento del trasporto ferroviario e richiede
quindi un forte coinvolgimento delle Ferrovie dello Stato, che hanno le
competenze e le capacità per trainare il processo di modernizzazione e
di potenziamento delle rete ferroviaria e dei treni che vi devono
circolare.
Anche per il potenziamento dei porti e
del trasporto navale devono essere coinvolte le grandi imprese che
operano nel settore: da un lato si tratta di potenziare le
infrastrutture portuali e dall’altro di aumentare i mezzi navali
adibiti al trasporto delle merci e delle persone.
Diverso è il caso del trasporto urbano
dove si possono mettere in campo nuovi veicoli innovativi: qui è
auspicabile anche un’azione sul piano della ricerca e sviluppo e della
sperimentazione di nuovi mezzi a basso impatto ambientale che possano
sostituire i tradizionali mezzi a benzina, specialmente nell’ambito del
trasporto pubblico.
Nel contempo, occorre mettere in campo
delle politiche industriali, infrastrutturali e organizzative per il
settore dei rifiuti che oggi presenta problemi enormi e che quindi ha
notevoli margini di miglioramento. Si tratta non solo di potenziare la
raccolta differenziata, ma di sviluppare un’industria per la selezione,
il trattamento e il riciclo dei rifiuti.
Per sostenere il rafforzamento
dell’industria impiantistica ambientale del Sud vi sono diverse strade
che potrebbero essere prese in considerazione e cioè: A. un più stretto
collegamento tra la ricerca e la produzione; B. il coinvolgimento delle
grandi imprese energetiche nei programmi di ricerca e negli investimenti
su grandi progetti; C. l’aggregazione tra centri di ricerca e imprese e
la costituzione di consorzi su progetti pilota; D. la messa a punto di
un sistema di incentivi che colleghi la domanda con la produzione di
nuove tecnologie energetiche, impianti e prodotti e che coinvolga il
sistema bancario; E. un piano di investimenti per ammodernare e per
ampliare la rete di trasmissione e di distribuzione dell’elettricità.
In particolare, le grandi imprese
potrebbero svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’industria
delle nuove tecnologie energetiche e ecologiche sia potenziando
l’impegno nella ricerca sia mettendo in campo dei grandi progetti
dimostrativi.
La crescita dell’impegno in ricerca e
sviluppo delle grandi imprese energetiche non solo è importante per i
loro processi di innovazione e di diversificazione energetica ma è
fondamentale anche per il ruolo trainante che tali imprese potrebbero
svolgere nei confronti dei Centri di Ricerca pubblici e del tessuto
industriale composto da piccole e medie imprese. In particolare, il
coinvolgimento delle grandi imprese può costituire un potente motore di
innovazione in grado di sfruttare da un punto di vista industriale i
risultati della ricerca che sono realizzati dalle Università e dai
Centri di Ricerca pubblici come l’Enea e il Cnr. Inoltre, i maggiori
investimenti nella ricerca e nella diversificazione energetica delle
grandi imprese sono cruciali anche per trainare lo sviluppo locale
poiché le grandi imprese possono essere una fonte di commesse e di
diffusione del know-how sul territorio, stimolando l’aggregazione e la crescita di nuove imprese innovative.
In questo quadro, per prima cosa
andrebbero maggiormente coinvolte le grandi imprese di cui lo Stato
detiene ancora la maggioranza relativa del capitale, e cioè ENI e ENEL e
Finmeccanica, a cui si dovrebbero aggiungere le aziende municipalizzate
controllate dai Comuni. In particolare, sembrerebbe necessario che ENI
ed ENEL, società con elevati profitti, aumentassero le spese in R&S,
che attualmente si collocano su una quota inferiore allo 0,2 % del
fatturato (molto distante dall’obiettivo del 3% indicato dalla
“Strategia di Lisbona”) e potenziassero gli investimenti nell’energia
rinnovabile sul territorio predisponendo dei progetti pilota con le
piccole e medie imprese locali.
Grandi imprese private potrebbero essere
attratte invece mettendo a punto una vera fiscalità di vantaggio,
intesa come fiscalità differenziata a favore delle regioni meridionali
nel loro complesso anche ai fini di stimolare la nascita, la crescita e
l’aggregazione delle piccole e medie imprese come nel caso dell’Etna Valley.
5. Conclusioni
In una situazione così negativa non
dobbiamo cadere nella rassegnazione, ma dobbiamo mettere in campo tutte
le risorse finanziarie, tecnologiche e professionali di cui il nostro
Paese dispone. Il Mezzogiorno ha delle potenzialità di crescita immense
che vanno sostenute attraverso adeguate politiche industriali,
infrastrutturali e sociali.
Fonte: syloslabini.info
Fonte: syloslabini.info
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