di Norma Rangeri
Venerdì scorso dopo la scoperta scientifica di “un’altra terra”
nella Via Lattea, molti hanno sostenuto che un altro mondo
è possibile. Noi siamo più modesti e vogliamo scoprire se un’altra
sinistra è possibile.
Pensare a un’altra sinistra significa percorrere molte strade nel prossimo futuro, ma prioritaria è una discussione libera e schietta.
Pensare a un’altra sinistra significa percorrere molte strade nel prossimo futuro, ma prioritaria è una discussione libera e schietta.
Perciò il manifesto — da domani — mette a disposizione
le proprie pagine, che ospiteranno interventi, opinioni, commenti
delle donne e degli uomini che vogliono ragionare e confrontarsi sul
presente e sul domani del nostro Paese. Per iniziare ecco, secondo me,
alcuni spunti necessari alla riflessione.
E proprio perché si tratta di spunti — tanti altri possono essere
aggiunti — non è importante l’ordine in cui vengono esposti. Dunque.
1) La formazione di un partito alla vecchia maniera?
Sarebbe opportuno tentare un’evoluzione della specie. La nascita di
un nuovo soggetto politico? Auspicabile ma sarebbe ancora meglio
mettere insieme diversi “soggetti” politici, sociali, culturali.
Nelle forme più ampie possibile. Più aperte. Le meno settarie. Le
più alternative. Perché c’è vita a sinistra (del Pd), e si tratta di
milioni di persone che vorrebbero vedere trasformate in realtà le
loro volontà di cambiamento.
2) Potremmo ragionare a lungo sul ruolo avuto dall’ex Pci nell’ultimo trentennio.
Ci aiuterebbe a capire quanto sono profonde le ragioni che hanno
ostacolato la nascita di una nuova sinistra (nella quale va inserita
anche la storia del gruppo del Manifesto e del Pdup). Ma andremmo
troppo lontano.
Concentriamoci invece sullo spazio lasciato dal Pd alla sua
sinistra. Ampio sicuramente, eppure sempre estremamente
frammentato: dai movimenti per i diritti sociali a quelli per
i diritti civili (emersi nel nostro arretrato paese anche grazie allo
scavo costante della cultura femminista, protagonista e madre di
un altro modo di pensare la politica).
Un ampio fronte che passa anche per alcune forme di aggregazione
politica strutturate in organizzazioni e partiti. Un fronte
diffuso e variegato, privo però di una spinta unitaria
convincente. Si possono trovare diverse ragioni per spiegare
l’autoreferenzialità, magari anche utile per puntare l’attenzione sulle
idee diverse di alternativa. Ma nessuna identità può bloccare la
necessità, e ormai l’urgenza, di trovare forme, obiettivi, unitari.
Con l’ambizione di essere un’alternativa politica oggi e di governo
domani. E quindi in grado di presentarsi con programmi e alleanze
sociali larghe e trasversali. In Italia e in Europa.
3) Oggi all’ordine del giorno non c’è la rivoluzione ma un’idea di riformismo di sinistra
in grado di persuadere milioni di persone. Kark Marx ai critici del
suo sostegno alla legge delle dieci ore rispondeva così: «Per la
prima volta alla chiara luce del sole, l’economia politica del
proletariato ha prevalso sull’economia politica del Capitale».
Nessuna rivoluzione, ideologica e auto contemplativa ma
cambiamenti radicali, di base.
Quei cambiamenti che un tempo si chiamavano “riforme di
struttura”, per indicare un metodo pacifico e progressivo di
mutazioni profonde nell’assetto economico e sociale. Fino a poco
tempo fa pensavamo che questa idea forte di riformismo fosse
impossibile da realizzare. La conquista del governo di Tsipras
e la recente affermazione di Podemos, hanno dimostrato che le nuove
idee possono avere grande riscontro trasversalmente nei diversi
strati sociali ridisegnati dall’impoverimento provocato dalla crisi,
e dentro le forme della democrazia. Diretta, referendaria,
internettiana, assembleare, e comunque rappresentativa.
Ma il consenso arriva solo quando tutto questo riesce ad essere
convincente perché viene rappresentato da persone, gruppi,
movimenti che hanno saputo interpretare con serietà e pragmatismo
la lotta per il cambiamento.
4) Tutto quello che si muove al di fuori del Pd è convincente, significativo?
Intanto una parte dell’area sociale e culturale alternativa —
soprattutto quella giovanile — si è riconosciuta nel Movimento
5Stelle. Non perché (non solo) non esisteva un’altra proposta forte,
ma perché il M5S è andato a fondo contro il sistema corrotto dei
partiti, puntando sull’onestà amministrativa, sulla lotta al
malaffare e ai privilegi della casta, sulla capacità di fare
opposizione sui temi dei diritti civili e dell’ambientalismo.
Tuttavia anche i 5Stelle, per diventare una forza egemonica,
dovranno liberarsi da una struttura autoritaria costituita da un
capo politico e da uno ideologico. Da una vocazione settaria che
può diventare pericolosa, proprio perché convince milioni di
persone. Il M5S l’ha già vinta e potrà vincere altre importanti
partite elettorali, tuttavia l’ideologia del “chi non è con me
è contro di me” non ci piace, perché dispotica e violenta.
5) Una vasta area di italiani, milioni di donne, uomini, giovani, anziani hanno scelto Sel, l’altra Europa di Tsipras,
più piccole organizzazioni che si richiamano al comunismo,
oppure solo la lotta di piazza, per i diritti civili e sociali o su
obiettivi specifici (i no Tav, i no Triv quelli che Renzi chiama
“comitati e comitatini”) e anche il non voto.
C’è la parte di società rappresentata da Landini e quella che si
riconosce direttamente nei fuoriusciti del Pd (Civati e Fassina)
e nella minoranza antirenziana. La lotta che il movimento
sindacale ha organizzato, trainato dalla Cgil, contro il Jobs Act
e contro le nuove leggi sulla scuola ha espresso una potente
soggettività, guadagnandosi l’attacco duro e costante del
premier/segretario dell’ex partito di riferimento. Queste e altre
sono le potenzialità di una “cosa” di nuova sinistra.
Ma qui ripeto una riflessione che Vittorio Foa ci proponeva già
nel fatidico 1977: «Come mai le sconfitte elettorali, sociali
e politiche non scalfiscono le nostre sicurezze?». Una domanda che
faceva riferimento a un sistema politico ancora fondato sui grandi
partiti di massa. Quei partiti sono scomparsi, ma l’errore rischia di
permanere perché la tentazione di piantare ciascuno la propria
bandierina, la cattiva abitudine di non saper rinunciare a parti
della propria identità in favore dell’unità, è una sorta di tara
genetica difficile da curare.
6) Naturalmente è vitale per la sinistra essere in grado
di misurarsi con i profondi cambiamenti intervenuti negli ultimi
anni nel mondo del lavoro, sempre più difficile da
rappresentare per la progressiva, profonda, inedita
parcellizzazione delle figure professionali. Accanto a lavori
immateriali che proiettano lo sguardo nel mondo delle reti dove
tempo di vita e tempo di lavoro non sono più distinguibili,
convivono lavori primitivi, poveri, di sfruttamento ottocentesco.
Chi sono oggi i lavoratori? Cos’è il lavoro? E come e quanto viene
riconosciuto? Su questo aspetto della vita collettiva sono
avvenuti i cambiamenti più forti, che hanno portato ad un
indebolimento della rappresenta tradizionale e ad un nuovo
sfruttamento, con lavori sottopagati, provvisori, precari. Per
milioni di persone c’è povertà e non c’è futuro: una sinistra vera
deve pensare non solo a chi ha un posto assicurato, ma ai più deboli,
ai più fragili, a quei milioni di donne e di uomini costretti alla
sopravvivenza da pensioni da fame. Una forza nuova di sinistra
dovrebbe avere come priorità l’impegno per i giovani senza lavoro
o precari e i pensionati meno protetti.
7) L’immigrazione dei nostri tempi è un fenomeno strutturale
che insieme alla crisi economica, ai nuovi conflitti che
alimentiamo (nella spirale guerra-terrorismo-guerra),
all’invecchiamento della popolazione europea stimola progetti
e alternative visioni del mondo. Mettendo in discussione e a dura
prova uno degli aspetti fondanti dell’economia e della società
occidentale: il welfare. Sempre più povero, sempre meno inclusivo.
Ma quale sarà la struttura economica di base se il capitalismo
temperato dalla socialdemocrazia non ha trovato nemmeno una voce
nella lunga, aspra, rivelatrice lotta del piccolo David greco
contro il gigante Golia europeo? Sul nostro giornale alcuni e diversi
intellettuali hanno iniziato ad abbozzare idee e linee di un piano
su immigrazione-lavoro-beni culturali e ambientali che andrebbe
sviluppato. Ma la risposta alla tragedia che coinvolge in
particolare i disperati del Sud del mondo non può essere l’egoismo,
la riproposizione del privilegio.
A quelli che vengono in Europa con una speranza di vita e con
energie intellettuali da offrire, dobbiamo dare un inserimento
rispettoso delle culture e delle tradizioni altrui. E dobbiamo
essere intransigenti contro chi specula e cerca consensi. Una
società non solidale non ci interessa.
8) Le riforme sono molto importanti, anche quelle istituzionali ed elettorali.
Solo chi è cieco non vede che con le nuove leggi si dà troppo potere ad
un solo partito e solo al capo di quel partito. Non a caso mentre si
mettono in un angolo i contrappesi istituzionali, si cavalca il
web come strumento di democrazia diretta, si indeboliscono le
rappresentanze di base, si orienta la macchina elettorale verso
forme di unzione popolare. Si punta — dall’avvento del
berlusconismo — a rafforzare il ruolo dell’uomo solo al comando.
(A questo proposito dovrebbe essere contrastata la tendenza al
leaderismo esasperato).
Comunque applicare la Costituzione non significa imbalsamarla
ma proporre una riforma del bicameralismo e della legge
elettorale per una nuova organizzazione dei poteri. Iniziando dal
modello comunale, possibile laboratorio di altre forme
partecipative (e ambientaliste), di esperienze sul campo per
l’applicazione dell’idea dei beni comuni, lontani da vecchie logiche
stataliste, nonostante l’interpretazione dei monotoni liberisti
che dilagano sul Corriere della Sera. Fino alla forma di governo
nazionale, al rapporto tra Legislativo e Esecutivo.
9) Non si può mettere tra parentesi o dimenticare ciò che
nel mondo contemporaneo tutto ingloba e restituisce: la
comunicazione. Cosa diversa dall’informazione,
dall’autonomia dei media dai poteri industriali e finanziari. La
comunicazione è oggi marketing politico, narrazione di nuove
leadership come dimostrano grillismo e M5S. Si tratta di strumenti
che la sinistra politica sa usare poco ma che per fortuna i giovani
dei movimenti riescono a maneggiare meglio (la maschera di
Anonymous, i flash mob, le modalità della piazza).
Tuttavia il potere dei media in Italia è ancora e soprattutto
televisivo, fin dai tempi della tv di Bernabei per arrivare
a Berlusconi. Un partito padrone della tv, più o meno magnanimo
e pluralista. E ancora oggi assistiamo a una non-riforma, a una
non-modernizzazione, ma semplicemente a una concentrazione del
potere in un’unica figura di decisore. Mentre la stampa risponde
a logiche di gruppi industriali nazionali sempre più deboli
e indebitati, sempre più disposti a omaggiare il potere politico,
in una commistione spesso inestricabile.
Com’è possibile che oggi tutti sia come e peggio di sessant’anni fa?
10) La vicenda greca, che ha impegnato e ancora
impegnerà a lungo tutti noi, ha chiarito che non c’è — e non c’è mai
stata — l’Europa pensata dai padri fondatori come Altiero Spinelli.
Oggi c’è un’Europa che viaggia a diverse velocità, divisa tra Nord
e Sud, che si regola sulle economie dei paesi più forti. L’idea degli
Stati Uniti d’Europa ha ancora una sua forza trainante? E’ la moneta
che decide o è uno strumento della politica che la determina?
Quindi la questione centrale è in una domanda: c’è vita
a sinistra? Sì, c’è, ed è un mondo. Però dopo viene tutto il resto. Chi
dovrebbe farne parte? Quali proposte di governo dovrebbe avere? Che
idea di futuro può proporre? Come deve organizzarsi? Ha bisogno di
un leader come nella sinistra greca e spagnola?
Questo è solo l'inizio della riflessione che il manifesto intende ospitare.
E che dovrà essere ampia, aperta, veritiera, libera da vecchi
schemi e ingessature politiche. Vedremo dove approderà. Ma sono
certa che potrà dare un senso a quel confronto ormai non più
rinviabile per tutti coloro che hanno creduto e credono in una
società democratica, diversa, attenta e impegnata sui diritti sociali
e civili di milioni di persone.
Cambiare si deve. Ma le esperienze greca e spagnola ci dicono soprattutto che si può.
Fonte: il manifesto
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